Archivio mensile:Marzo 2018

Perché piangi?

“Donna, perché piangi? Chi cerchi?”.

Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”.

Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”.

Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro””. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto. (Gv 20, 11-18).

Buona Pasqua!

Maddalena (Giotto - Milano)

Sempre caro…

A Recanati si respira la presenza del Leopardi in ogni angolo, quando si attraversa la piazzetta tra il palazzo e la chiesa e lo sguardo sfiora i versi immortali scritti con una bella grafia sui muri, oppure quando si cammina per le strade strette verso palazzo Antici o quando, uscendo un poco dal borgo, si raggiunge il colle dell’Infinito e davanti agli occhi si squaderna la pianura.

Leopardi è ancora lì, il suo spirito è ancora lì come un “genius loci”.

E poi si entra nella casa, percorrendo lo scalone che il poeta percorreva, e si attraversa la biblioteca sfiorando con lo sguardo i volumi che recano ancora le sue impronte.

Ho guardato il paese dalla sua finestra, ho visto lo stesso “natio borgo selvaggio” che anche il Leopardi guardava quando sollevava lo sguardo dalle “sudate carte”, ho allungato la mano per sfiorare il piccolo tavolo sul quale il poeta si è chinato per anni e ho provato la forte emozione di entrare in contatto con un’anima che ho tanto amato, con un genio che ho  ammirato tanto da imparare a memoria i suoi versi.

Recanati (Marche)

Recanati (Marche)

L’ultima gita.

Anche se l’espressione “l’ultima gita” ha un suono un po’ sinistro, di fatto ieri sera, mentre scendevo dal pullman che ci ha riportato sani e salvi a casa dopo tre giorni nelle Marche, ho pensato che il viaggio con i miei ragazzi  è stato probabilmente l’ultimo viaggio di alcuni giorni con una terza, l’ultimo di tanti.

Anni fa il viaggio d’istruzione durava di più e le mete erano più esotiche: ho accompagnato le classi a Parigi, a Praga, a Strasburgo o in montagna a sciare, ma in seguito, anche a causa di una situazione economica sempre più precaria,  le gite sono diventate un po’ meno epiche, ma i ragazzi le vivono sempre nello stesso modo.

Per i ragazzi alzarsi a ore antelucane, condividere una camera d’albergo, gestire le finanze, rispettare gli orari, rifarsi la valigia riuscendo a farci stare tutto è già un’avventura.

Per loro, più che per noi adulti, la cosa veramente importante è il viaggio e non la meta, anche se poi riescono a farsi affascinare dai monumenti, dai paesaggi, dalle meraviglie naturali o, più semplicemente, dal mare che, soprattutto in questa stagione, ha la magia tutta particolare del vuoto e del silenzio.

Mi mancheranno questi viaggi, mi mancherà l’allegra confusione delle notti passate a fare la ronda in corridoio, mi mancheranno soprattutto loro, apprendisti viaggiatori, con uno smartphone in mano e gli occhi stupiti aperti sul mondo.

Urbino (Marche)

Senigallia (Marche)

Grotte di Frasassi - Genga (Marche)

La Sala Reale

Anche ai sovrani d’ Italia capitava di dover prendere il treno e, se arrivavano in stazione con un po’ di anticipo (o se il treno era in ritardo), c’era il problema di dove ospitarli per evitare che (non sia mai) si dovessero accomodare in una sala d’aspetto tra gli altri viaggiatori.

La Stazione Centrale di Milano si è così dotata, nel 1931, di una sala d’aspetto da re, con un’entrata riservata, sul fianco dell’edificio, con due piani, uno a livello della strada e ‘altro al livello dei binari, uniti da un imponente scalone, con una profusione di marmi e legni pregiati.

Un lato del grande pavimento in parquet del secondo piano è decorato con delle svastiche, inserite per onorare Hitler che, nel suo viaggio in Italia, aveva previsto una sosta a Milano: in realtà il cancelliere non passò mai da Milano, ma i simboli nazisti sono ancora lì.

Oggi, in occasione delle giornate di primavera del F.A.I., è stato possibile visitare questo angolo segreto della stazione che, abitualmente, è chiuso al pubblico.

Milano - Stazione Centrale - Sala Reale

Milano - Stazione Centrale - Sala Reale

Milano - Stazione Centrale - Sala Reale

Jet lag

L’ultimo week end di marzo segna il passaggio dall’ora solare all’ora legale e per me significa, in genere, qualche giorno di irritabilità, sonnolenza, poco appetito (o molto appetito).

Quell’ora in meno di sonno manda in confusione i miei organi interni e il mio umore, ho sempre l’impressione di essere un po’ fuori posto, come se il mio corpo continuasse ad adeguarsi ad un orologio interno che continua a scandire il tempo con il sole, come una meridiana.

Domenica mattina probabilmente mi sveglierò un po’ più tardi e dovrò bere un caffè doppio per cominciare a carburare.

E poi, lunedì mattina, partirò (partiremo) per il viaggio d’istruzione nelle Marche alle sei del mattino, che in realtà saranno le cinque, il che significa che il mio orologio interno suonerà la sveglia poco prima delle quattro.

Se è vero che l’ora legale mi procura irritabilità e svegliarmi presto mi rende irascibile i miei scolari sono avvertiti.

Milano - Orologio

Per riflettere…

I social sono praticamente invasi da immagini postate solo per scatenare l’indignazione popolare che hanno come soggetto i migranti (o presunti tali): migranti che trafiggono cani, migranti che si rotolano nel lusso più sfrenato mentre gli italiani fanno la fame, migranti che protestano contro la presenza di un canile, migranti che ci vogliono obbligare ad usare i numeri arabi (sic) e altre amenità del genere.

Spesso si tratta di “bufale”, di immagini tolte dal contesto e commentate con il classico “condividi se sei indignato”, immagini che nulla o poco hanno a che fare con il problema dell’immigrazione, problema che non si può certo affrontare scatenando manifestazioni d’odio e fomentando la rabbia.

E poi capita di entrare in una chiesa e essere colpiti, come un pugno nello stomaco, da una scultura a forma di croce costruita con i poveri resti di un barcone affondato con il suo carico umano (e sottolineo umano).

Quella croce ci spiega che il problema dei migranti non si risolve con l’emotività, con gli slogan, con le frasi fatte e ci fa comprendere che non esistono soluzioni semplici.

Noto (Sicilia)

E così….

Oggi, nel pomeriggio, è cominciata la primavera (quella astronomica) con qualche ora di anticipo rispetto alla data tradizionale del 21 marzo e poco dopo si è messo a piovere e la temperatura è scesa (di nuovo) e sembra di essere ripiombati nel bel mezzo dell’inverno.

Non ci sono gemme sui rami e i fiorellini azzurri, nel prato, si sono richiusi, quasi con un brivido dopo un timido tentativo di fioritura all’apparire di un sole smorto e appena tiepido.

Comincio a non poterne più di questo clima umido e freddo, comincio a non sopportare più sciarpa e cappello e l’ombrello troppo ingombrante e la sensazione che l’inverno non debba mai finire.

Ho bisogno del sole e della sensazione di rinnovamento che la primavera porta sempre con sé.

Parnassia palustris

Festa del papà.

Qualche giorno prima della festa la maestra ci faceva scrivere una letterina, tutta fiorellini e svolazzi, che alla sera avrei messo sotto il piatto dove mio padre l’avrebbe trovata, durante la cena, dopo il lavoro.

Io a quell’ora ero già a letto perché papà lavorava fino a tardi, ma sapevo che la mia letterina gli aveva strappato un sorriso orgoglioso.

Da bambina lo vedevo poco mio padre, perchè passava fuori di casa quasi tutta la giornata, ma alla domenica, finalmente, passavamo la giornata insieme, spesso al freddo e con gli sci ai piedi e ci raccontavamo tutto ciò che avremmo voluto dirci, ma che per mancanza di tempo eravamo costretti a rimandare a tempi migliori.

Poi sono cresciuta ed è cresciuta la nostra confidenza, a lui confidavo i miei dubbi di adolescenze, i problemi di giovane donna, le speranze, le delusioni, l’amore e poi le mie gioie di mamma.

Intanto il mio fantastico papà era diventato uno splendido nonno, sempre al fianco di mio figlio, compagno di giochi, confidente, amico.

Se n’è andato troppo presto e mi ha lasciato il vuoto delle parole non dette, della sua vicinanza forte e gentile, del suo coraggio e del suo infinito amore.

VERONA

I minuscoli borghi.

L’Italia è ricca di piccoli borghi, quelli che difficilmente si tramutano nelle mete del grande turismo internazionale, che meriterebbero di essere valorizzati e conosciuti almeno da coloro che vivono a pochi chilometri, magari nella stessa regione, e che vanno alla ricerca di luoghi ricchi di storia e di bellezza altrove.

Mi piacerebbe raccontare di queste piccole gemme, scoperte andando a zonzo per la Lombardia, magari per caso, perchè si era resa necessaria una sosta per bere un caffè o sgranchirsi le gambe.

Mi viene in mente, per esempio, Averara, un paesino di meno di duecento anime, situato nella valle omonima, laterale alla più celebre Valle Brembana.

Un tempo era un luogo importante in quanto era l’ultimo paese sulla via Mercatorum che collegava la valle Seriana con la Valtellina e il Canton Grigioni e quindi era sede di una dogana.

Lo attraversava una strada coperta che reca, ancora oggi, affreschi del XV e del XVI secolo, sulla quale passavano le merci in direzione dei valichi.

La strada venne abbandonata verso la fine del XVI secolo in seguito alla costruzione della via Priula che collegava la pianura con il Passo di Ca’ San Marco su cui si spostarono i traffici che, in precedenza, percorrevano la Via Mercatorum.

Oggi Averara è un luogo di villeggiatura, di riposo e di escursioni, ma nei suoi edifici conserva ancora i segni di una storia ormai quasi dimenticata, come la storia di tanti minuscoli borghi che spesso attraversiamo senza neppure vederli.

Non basta una vita per scoprire la bellezza del nostro Paese.

Averara

Averara

Un po’ di sano orgoglio.

A Milano oggi pioveva “che Dio la manda”, ma non ho potuto fare a meno di fare un giro in città con un amico straniero che aveva solo poche ore prima di recarsi a Malpensa.

Ma tanto Milano è bella anche con la pioggia.

Dopo un caffè veloce in un bar elegante, tutto splendente di luci e cristalli, visto il tempo limitato (e la coda chilometrica che ormai è una costante all’ingresso del Duomo) abbiamo optato per un giro al Castello Sforzesco che, comunque, è un gran bel vedere.

Siamo entrati, prima di tutto, nel padiglione dell’Ospedale Spagnolo per una visita di dovere alla “Pietà Rondanini”.

Come si fa a non provare un po’ di orgoglio quando si entra nella vasta sala dove troneggia, illuminata in modo impeccabile, la grande statua, suggestiva e quasi commovente nell’infinita bellezza della sua incompiutezza.

Milano - Castello Sforzesco