Archivio mensile:Dicembre 2017

L’albero di Natale.

L’usanza di decorare una abete con piccoli oggetti è molto antica  e tipica della popolazioni di origine Celtica che  celebravano così i giorni precedenti e seguenti il solstizio d’inverno.

Nei primi secoli dell’era cristiana gli abeti e i pini furono rimpiazzati dall’agrifoglio che con le spine ricordava la passione di Cristo e con le bacche rosse il sangue versato.

Dal Medioevo in poi l’albero, quale simbolo di vita e della croce di Cristo, è riapparso nelle celebrazioni natalizia, soprattutto nei paesi di lingua tedesca dove, spesso, è affiancato al presepe e, lungi dall’essere considerato un simbolo pagano, trova la sua collocazione nelle chiese accanto all’altare.

Non molto tempo fa qualche polemica un po’pretestuosa ha contrapposto l’albero di Natale al presepe considerato, a torto, un più genuino simbolo dello spirito cristiano, ma ora la diatriba sembra sopita e gli alberi di Natale sono ricomparsi in tutto il loro splendore.

Quando ero bambina l’albero veniva decorato nel giorno dell’Immacolata (con gli addobbi acquistati il giorno prima alla “Fera di oh bej oh bej” vicina alla basilica di Sant’Ambrogio”) e troneggiava in sala da pranzo fino all’Epifania quando le decorazioni in vetro soffiato delicatissimo  venivano riposte in appositi scatoloni ben avvolte in carta di giornale perchè non si danneggiassero.

Ieri, passeggiando per Milano, siamo stati accolti dall’albero in Piazza Duomo, da quello di Swarovski in galleria e dal modernissimo albero di Piazza della Scala, luminoso e scoppiettante come un fuoco d’artificio.

Milano - Piazza della Scala

Milano - Galleria

Natale nell’aria.

Ormai manca poco a Natale e sta per iniziare il periodo, nefasto per la linea,  delle cene, dei buffet imbanditi, dei dolci traditori sul tavolo della sala professori ed è sempre più difficile non farsi tentare.

Le luci sono ormai tutte accese, i mercatini sono affollati, persino l’aria ha un profumo di vaniglia e di zucchero.

All’ombra degli abeti scintillanti è obbligatorio sentirsi felici, è indispensabile sentirsi più buoni anche se la bontà, di cui ci sentiamo pervasi, sembra svanire velocemente come una cometa che attraversa il firmamento tra Natale e l’Epifania.

Dovremmo imparare a vivere il Natale nella sua essenza più profonda che è quella di un Amore immenso, un Amore che si dona senza chiedere nulla in cambio, un Amore che salva e allora potremmo forse spegnere qualche luce, potremmo rinunciare a qualche tavola imbandita per non farci distrarre dalla contemplazione di un Bambino che di quell’Amore è l’incarnazione.

Forse allora riusciremmo ad assaporare lo spirito del Natale.

Scicli (Sicilia)

Puntini rossi.

Da un anno ho in tasca uno smartphone che mi segue sempre e registra, senza troppa discrezione, i miei spostamenti, le città che ho visitato, i luoghi dove torno spesso, quelli sconosciuti che ho scoperto in questo anno.

Dando un’occhiata alla cronologia di Google Maps ho.trovato la cartina segnata da tanti puntini rossi,ogni puntino rappresenta un  luogo, ogni puntino  significa un’emozione e un affollarsi di ricordi.

E così ho rivisto la splendida Cracovia nella sua luce invernale, ho ritrovato l’emozione senza tempo di Itaca, la bellezza della Sicilia, l’allegria di Malta, l’atmosfera eccitante e cosmopolita di Londra e i mille ricordi  di ogni luogo, di ogni esperienza che porto con me.

E ho risentito profumi e sapori e suoni.

 

 

 

 

 

 

 

fonte: Google Maps

Deliziosa Merano.

Quando, nella seconda metà dell’ottocento, Merano divenne un importante centro di cura e villeggiatura, grazie al suo clima gradevole anche nei mesi invernali, cominciò ad espandersi fuori dalle mura della città medievale e ad arricchirsi di edifici, che a quel tempo dovevano apparire modernissimi, in stile liberty .

Oggi la città ci accoglie con il suo aspetto un po’ retrò, elegante e ordinata, con la Promenade lungo il Passirio che, nel mese di dicembre, si anima dei colori e delle luci del mercatino di Natale.

Nel parco, ricco di alberi esotici, si staglia quieta la statua dell’imperatrice Sissi, che frequentava la città da privata cittadina, e come tale la ricordano gli abitanti con un monumento che la ritrae seduta su una semplice poltroncina di vimini, con un abito elegante, ma sobrio, senza gli orpelli del potere come la corona e lo scettro, ma con un libro tenuto quietamente fra le meni: il basamento reca semplicemente la scritta “Elisabeth”.

Merano è così: elegante, ospitale e discreta.

Merano

Merano

Merano

Paura e allegria.

Secondo una leggenda delle zone di montagna di lingua tedesca, come l’Alto Adige,  tanto tempo fa, durante i periodi di carestia, i ragazzini dei paesi si travestivano con pelli e piume d’uccello e così mascherati facevano razzia di provviste nei paesi vicini, spaventando con il loro aspetto diabolico, gli abitanti dei villaggi.

Dopo qualche tempo i ragazzini si accorsero che nel loro gruppo si era insinuato Satana in persona che riusciva a mimetizzarsi tra loro con suo aspetto spaventoso ed era riconoscibile solo grazie agli zoccoli da capra che tradivano la sua identità.

Venne chiamato in aiuto il Vescovo Nicolò che, con un esorcismo, scacciò il diavolo e arruolò i ragazzini perchè lo aiutassero a portare i doni e a punire i “bambini cattivi”.

Anche oggi i Krampus, i giovani vestiti da demoni, si aggirano tra le bancarelle dei mercatini di Natale di Merano, nei giorni seguenti il 6 dicembre, festa di San Nicolò,  come inquietanti presenze tra gli ignari passanti, spaventando in modo giocoso grandi e piccoli con il loro aspetto spaventoso e malvagio.

Trovarseli accanto, tra un vin brulè e una decorazione natalizia, provoca un brivido che si trasforma subito in una risata.

Merano

In ostaggio.

Ho lavorato  nelle scuole statali (di ogni ordine e grado si diceva una volta) per circa trentotto anni che, sommati ai quattro del regolare corso di laurea, fanno giusto quarantadue anni (giorno più, giorno meno): in pratica gli anni necessari e sufficienti per andare in pensione (o meglio in trattamento di quiescenza) a settembre.

Sarebbe tutto bellissimo se, nel passaggio tra un’amministrazione e l’altra, sono fossero spariti i contributi previdenziali di un numero imprecisato di mesi che, se non dovessero comparire miracolosamente, mi lascerebbero in un limbo inquietante, ostaggio di una burocrazia che chiede a me di dimostrare di essere in regola.

Per fortuna (credevo) lo posso dimostrare visto che ho conservato certificati di servizio, estratti conto vecchissimi (e quasi illeggibili), buste paga antidiluviane e ricevute dei versamenti Inps ben organizzati per trimestre.

Eppure neppure tutta questa carta è sufficiente, come mi ha spiegato un gentile e un po’ costernato funzionario, è non sono stati fatti errori dalle segreterie, ma semplicemente sono cambiate le leggi, è cambiato il sistema previdenziale e nel passaggio da un ufficio all’altro i miei contributi si sono imboscati non si sa dove.

Ora dovrei imbarcarmi in una procedura di richiesta di rettifica (rigorosamente online) ed è quello che mi accingo a fare anche se non riesco a togliermi di dosso l’impressione di essere finita in un tunnel kafkiano ( e non si vede la luce).

E soprattutto ho l’impressione di aver lavorato in nero nei ruoli dello Stato per quattro anni.

(Il seguito alla prossima puntata e al prossimo attentato al mio equilibrio…..)

Firenze

Aria di città.

La città ormai vicina al Natale è tutta un accendersi di luci che le regalano un clima festoso anche se attraversare piazza del Duomo è quasi un’impresa.

Gli accessi ala piazza sono bloccati e bisogna sottostare di buon grado e con pazienza ai controlli piuttosto minuziosi degli agenti muniti di metal detector che presidiano i varchi.

I ragazzi sono piuttosto intimiditi da queste procedure a cui non sono abituati, consegnano riluttanti i tappi delle bottigliette di acqua minerale, mostrano gli zainetti con un sorriso un po’ forzato, ma anche gli agenti sorridono, quasi per rassicurarli e la tensione si stempera.

Poi, dopo la visita al Museo del ‘900, camminiamo velocemente verso la fermata di San Babila, il sole che poco prima illuminava le guglie del Duomo è tramontato e le strade si accendono delle mille luci del Natale, mentre la temperatura si fa più fresca.

I ragazzi hanno imparato presto il ritmo della città, si muovono veloci e sembrano più disinvolti anche se  di tanto in tanto si fanno incantare dalle vetrine illuminate, ma in fondo sono pur sempre ragazzini che vanno a zonzo per le vie di una città tanto più grande del loro paese e le vetrine del Corso sono come una calamita, sono una novità come sono una novità le luci e i suoni e i colori.

Milano

Calendario dell’Avvento.

Quando mio figlio era piccolo l’attesa del Natale era una faccenda seria, il tempo scorreva tra richieste di regali sempre più esose, scritture e riscritture di letterine a Gesù Bambino (o a Babbo Natale o a tutti e due), facili ricatti genitoriali della serie “Se non fai il bravo ti arriverà solo del carbone” ( ammesso che il pargolo riuscisse a immaginare una cosa che non aveva mai visto), lavoretti natalizi, poesie da imparare a memoria e una agitazione crescente.

Per aiutarlo a rendersi conto del passare dei giorni all’inizio di dicembre avevamo l’abitudine di regalargli un calendario dell’avvento, di solito coloratissimo, con le venticinque porticine che ogni mattina venivano aperte, ad una ad una, con un tenero rito familiare.

Di solito sotto ogni porta del calendario c’era una caramella o un cioccolatino e ne ricordo uno in particolare che ogni giorno regalava una piccola figurina che andava a comporre un coloratissimo presepe (inutile dire che l’ultima era un minuscolo Gesù bambino da mettere nella culla).

Qualche volta era arduo convincere il piccolo di casa a non aprire tutte le porte in una volta sola, ma si trattava di un esercizio di pazienza, un modo per imparare il piacere dell’attesa.

Scicli (Sicilia)

La zia Dina.

La mia nonna materna aveva una sorella un po’ più giovane di lei, credo fosse nata nel 1903 (mentre la nonna era nata con il secolo), in gioventù aveva conosciuto, come la sorella, una grande povertà visto che il mio bisnonno, un imprenditore edile, era morto prematuramente in seguito ad un attacco di colera contratto mentre si trovava a Messina per la ricostruzione dopo il terremoto del 1908 ed aveva lasciato nella miseria una giovane vedova e due bimbe.

Erano cresciute in una dignitosa povertà e, durante l’adolescenza, avevano conosciuto le ristrettezze della Prima Guerra Mondiale e la paura per l’epidemia di spagnola che aveva colpito entrambe, ma che fortunatamente avevano superato.

La chiamavamo “zia Dina”, ma in realtà si chiamava Mafalda come la figlia del Re che era nata pochi mesi prima di lei, era una donna allegra e positiva, mentre mia nonna era l’opposto, e per questo motivo spesso le due sorelle si impegnavano in estenuanti litigi che si concludevano sempre con la promessa di non parlarsi più, ma il silenzio durava poco perchè, visto che comunque si volevano un gran bene, facevano subito pace.

Era una sarta, la zia Dina, e aveva vestito mia madre e anche me, quando ero bambina, copiando modelli elaborati dalle riviste di moda che si procurava in modi spesso fortunosi.

Dopo il matrimonio aveva lasciato il centro di Milano e si era trasferita in periferia, dalle parti di Crescenzago, e quando andavo a trovarla avevo l’impressione di andare in campagna.

Mi piaceva stare con lei perchè mi raccontava le storie di famiglia di cui la mia nonna, molto più riservata,  evitava di parlare, mi piaceva stare ad ascoltarla perchè dai suoi racconti emergevano nitide le immagini dei miei bisnonni e intravedevo le mie radici.

Anche da lei ho imparato il piacere della narrazione e del ricordo.

Milano - Galleria

La casa del cuore.

Per tanto tempo avevamo sognato di acquistare una casa in montagna, una casa dove andare a vivere gli ultimi anni, dove invecchiare insieme passeggiando tra i boschi e i pascoli o sedendo su una panchina al sole per leggere un libro o il giornale, ma per un motivo o per l’altro abbiamo sempre rimandato.

E poi, una quindicina di anni fa, ci siamo decisi e abbiamo cominciato a visitare appartamenti, un numero quasi infinito di appartamenti, tutti diversi e tutti simili, arredati in modo sommario come lo sono spesso le case da vacanza, molti con un balcone o terrazzino, abbiamo confrontato prezzi e condizioni ma non riuscivamo a trovare nulla che ci convincesse veramente.

E poi, in autunno, visitammo la “nostra” casa e quando l’agente immobiliare che ci accompagnava aprì la finestra non vedemmo più null’altro se non il bosco e, tra i rami e le foglie secche, la sagoma delle montagne e sentimmo il rumore del torrente e decidemmo di acquistare subito la casa senza curarci della scomodità delle scale o dei lavori di ristrutturazione (pochi per la verità, ma li scoprimmo solo in seguito).

Ci eravamo innamorati di quel balcone, di quel bosco, di quella pace e ci immaginavamo che quello sarebbe stato lo spettacolo che avremmo visto al nostro risveglio ogni mattina.

Poi abbiamo acquistato la casa, ma la vita riserva sempre delle sorprese, tu ti sei ammalato e io non sono riuscita ad andare in pensione e la casa dove avremmo dovuto vivere è diventata il rifugio dove trascorrere il tempo libero, le vacanze estive e tutti i momenti che riuscivamo a strappare ai nostri problemi.

Sono stati momenti felici, giorni irripetibili e preziosi incorniciati dai colori del bosco che muta ad ogni stagione.

La nostra colonna sonora: il cinguettio degli uccelli, il canto del ruscello, il silenzio della neve che cade.

Moggio