La zia Dina.

La mia nonna materna aveva una sorella un po’ più giovane di lei, credo fosse nata nel 1903 (mentre la nonna era nata con il secolo), in gioventù aveva conosciuto, come la sorella, una grande povertà visto che il mio bisnonno, un imprenditore edile, era morto prematuramente in seguito ad un attacco di colera contratto mentre si trovava a Messina per la ricostruzione dopo il terremoto del 1908 ed aveva lasciato nella miseria una giovane vedova e due bimbe.

Erano cresciute in una dignitosa povertà e, durante l’adolescenza, avevano conosciuto le ristrettezze della Prima Guerra Mondiale e la paura per l’epidemia di spagnola che aveva colpito entrambe, ma che fortunatamente avevano superato.

La chiamavamo “zia Dina”, ma in realtà si chiamava Mafalda come la figlia del Re che era nata pochi mesi prima di lei, era una donna allegra e positiva, mentre mia nonna era l’opposto, e per questo motivo spesso le due sorelle si impegnavano in estenuanti litigi che si concludevano sempre con la promessa di non parlarsi più, ma il silenzio durava poco perchè, visto che comunque si volevano un gran bene, facevano subito pace.

Era una sarta, la zia Dina, e aveva vestito mia madre e anche me, quando ero bambina, copiando modelli elaborati dalle riviste di moda che si procurava in modi spesso fortunosi.

Dopo il matrimonio aveva lasciato il centro di Milano e si era trasferita in periferia, dalle parti di Crescenzago, e quando andavo a trovarla avevo l’impressione di andare in campagna.

Mi piaceva stare con lei perchè mi raccontava le storie di famiglia di cui la mia nonna, molto più riservata,  evitava di parlare, mi piaceva stare ad ascoltarla perchè dai suoi racconti emergevano nitide le immagini dei miei bisnonni e intravedevo le mie radici.

Anche da lei ho imparato il piacere della narrazione e del ricordo.

Milano - Galleria

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