Mai dire “mai”

Quando, meno di un anno fa, ho dovuto acquistare uno smartphone per poter utilizzare la mia identità digitale (lo Spid per intenderci) pensavo che non sarei mai riuscita a servirmi dell’aggeggio incriminato: “schermo troppo piccolo”, mi dicevo “… e polpastrelli troppo imbranati per usare la tastiera”.

Poi ho imparato e, adesso, faccio fatica persino a ricordarmi come riuscissi a sopravvivere nella mia vita precedente.

Ma la vita è sempre ricca di sorprese e, dopo aver realizzato che il portatile è un po’ troppo ingombrante per viaggiare con me mentre lo smartphone è un po’ troppo minuscolo per permettermi di leggere i documenti che ho bisogno di leggere, mi sono resa conto che sarebbe stato interessante entrare in possesso di un “tablet”.

E allora tablet sia.

E’ entrato in casa mia in punta di piedi, abbastanza leggero da stare in borsetta, con lo schermo abbastanza grande da non attentare alla mia vista, con una penna che mi permettere di prendere appunti senza usare la tastiera (ricorda quasi una “tabula” la tavoletta ricoperta di cera e dotata di stilo su cui scrivevano gli antichi romani).

E così mi trovo circondata da macchine che dialogano fra loro in modo abbastanza inquietante, qualche volta anche indipendentemente dalla mia volontà: si scambiano testi, immagini, e forse (chissà?) anche pensieri, idee, sensazioni.

Questa vita 2.0 mi affascina, ma un po’ mi spaventa… anche.

 

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