Di solito mi sforzo di stare un po’ attenta a quello che mangio, mi sento virtuosa quando opto per un’insalata, limito i carboidrati (e anche gli “idrocarburi” come affermava convinta una signora al bar) e tengo sotto controllo grassi e zuccheri, non ho particolari manie salutistiche, ma in genere non mi piace mangiare “pesante” soprattutto quando fa caldo.
E poi mi succede di passare qualche giorno in montagna e allora è possibile che mi lasci tentare da un negozio che, ai miei occhi, è una specie di antro delle meraviglie: gli scaffali, infatti, sono ingombri di formaggi di tutti i tipi, di latte vaccino, di pecora e di capra, dalle stagionature più diversi, formaggi ti pasta cruda e cotta, delicatissimi e freschi o profumati e consistenti.
Sono formaggi che provengono quasi tutti dagli alpeggi in quota, alpeggi che spesso mi è capitato di visitare e di apprezzare per la cura nell’allevamento degli animali che pascolano in assoluta libertà lungo i pendii erbosi.
Sono sempre un po’ indecisa nella scelta e le commesse, sempre gentilissime, mi allungano un assaggio sulla lama del coltello e così mi ritrovo ad acquistare più formaggi di quello che dovrei.
La conseguenza è sempre un vago senso di colpa che mi accompagna fino a casa… poi mi siedo a tavola e passa tutto.