Karkadè.

“Karkadè” è una parola dal suono un po’ buffo e un po’ esotico che sentivo spesso ripetere dalle nonne quando ero bambina, anche se non riuscivo ad associarla a nulla di conosciuto, mi piaceva però il suono di quelle tre sillabe così simili ad una filastrocca infantile o al chiocciare di una gallina.

Ho scoperto solo molto più tardi che il karkadè è un infuso che si ricava dai fiori di una particolare qualità di ibisco che cresce in Africa e nei paesi tropicali (uno dei suoi nomi è infatti “tè dell’Abissinia”) dalle mirabolanti qualità antisettiche e digestive.

Negli anni trenta, tuttavia, non era usato per le sue caratteristiche curative, ma perché, quando l’Italia dovette affrontare le sanzioni in seguito alla guerra d’Etiopia, l’uso del tè divenne molto raro e la bevanda tipica della “perfida Albione” fu sostituita dal karkadè che veniva annoverato tra i prodotti coloniali provenienti dall’Eritrea ed era quindi perfettamente idoneo alla politica autarchica del regime.

Personalmente l’infuso mi piace forse per il suo colore rosso acceso, forse per il gusto gradevolmente acidulo, forse per quella patina di passato che, almeno ai miei occhi, si porta ancora appresso.

Marocco -  Rabat

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