Archivio mensile:Gennaio 2017

Un sorriso nel buio.

Raramente ho visto uno spettacolo più confortante dei sorrisi, delle esclamazioni di gioia dei soccorritori impegnati a liberare un bambino dalla morsa di neve e macerie in cui era intrappolato.

Dopo ore di lavoro instancabile, animati da una speranza contro ogni speranza, con i volti tirati dalla tensione e dalla stanchezza gli uomini si sono illuminati all’improvviso come se, nell’ora più buia, si fosse accesa una piccola luce.

Oggi i soccorritori hanno ricevuto il premio più grande: la gioia indicibile di salvare delle vite che sembravano perdute.

A loro, ai loro sforzi, alla loro tenacia, al loro coraggio va tutto il nostro affetto e la nostra gratitudine.

Cracovia - fiamma

Senza fine.

Le scosse di terremoto, la neve che scende copiosa, il freddo, l’oscurità e inevitabilmente la paura e lo sconforto flagellano i paesi già colpiti dal sisma in una disgraziata sequenza che non sembra avere fine.

Le immagini dei paesi sommersi dalla neve, le storie di persone costrette ad affrontare un inverno terribile senza il conforto di vivere tra le proprie cose, nella propria casa scorrono sullo schermo televisivo e lasciano una scia di dolore sordo, di desolata impotenza.

Come sembrano piccoli, trascurabili e meschini i piccoli disagi quotidiani di cui ci ostiniamo a lamentarci.

Ogni tanto dovremmo soffermarci a meditare sul fatto che poter vivere in una casa calda, che poter riempire un frigorifero e decidere cosa e quando mangiare, che poter affrontare le giornate in tranquillità è un grande privilegio.

Cavenago

Quasi a metà.

Di solito, quando entro  in una nuova classe e incontro, per la prima volta, i ragazzi con i quali lavorerò per tre anni e i loro genitori (quasi più agitati dei ragazzi stessi), invito grandi e piccoli a riflettere sul fatto che i tre anni passano in un soffio e che, in men che non si dica, tutti quanti ci accorgeremo di essere già a metà del percorso.

Ed è proprio così visto che, tra una decina di giorni, terminerà il primo quadrimestre della seconda e comincerà la corsa a rotta di collo che ha come traguardo l’esame di terza media e il passaggio alle scuole superiori.

Anche se sembra incredibile, l’inizio di questa avventura insieme è ormai lontano e i ragazzi, ciascuno con il proprio ritmo, sono cresciuti fisicamente e psicologicamente, sono cresciuti come individui e come gruppo, talvolta sono ancora “casinisti” e un po’ bambini, ma sanno essere anche riflessivi e seri e adulti.

Magari, proprio quando mi verrebbe voglia di sgridarli perché riescono ad esasperarmi, mi stupiscono con un’osservazione, con un pensiero, con un comportamento.

Forse devono solo trovare il coraggio di spiccare il volo.

Cornello del Tasso - Volo

Duri risvegli.

Una delle cose che mi preoccupa da sempre  è il timore di non sentire la sveglia e restare tra le braccia di Morfeo quando devo iniziare a lavorare alla prima ora, o quando mi devo recare in aeroporto per partire ad ore improbabili, o quando ho un appuntamento importante.

Quando ero una ragazzina avevo una sveglia enorme, metallica, con due campanelli che, all’occorrenza, venivano percossi da un martelletto, una sveglia piena di personalità, dotata di un ticchettio che mi provocava tutti i sintomi dell’insonnia tanto che, di solito, mi addormentavo quando era quasi mattina e allora la sveglia malefica, forse anche a causa della mia imperizia nel programmarla, si dimenticava di suonare, mancando clamorosamente lo scopo per cui era stata creata.

In compenso se decideva di suonare aveva una potenza tale da svegliare l’intero condominio.

Quando è andata in pensione per sopraggiunti limiti di età (sua e mia) è stata la volta di una radiosveglia dal suono anonimo, che, in caso di improvvisa mancanza della corrente, mi abbandonava proditoriamente.

In compenso se partivo per il weekend e mi dimenticavo di spegnerla, suonava per ore infastidendo vicini e lontani.

Solo negli ultimi tempi ho deciso di farmi svegliare dall’allegra musichetta dello smartphone che incredibilmente, nonostante abbia un suono delicato, riesce a strapparmi dal sonno, ma forse l’età che avanza ha semplicemente reso il mio sonno più leggero.

Milano - Orologio

 

Le gioie del week end.

Anche se amo il mio lavoro aspetto il sabato come una boccata d’aria, mi piace alzarmi un po’ più tardi, fare colazione con calma e poi uscire di casa, fare un giro al mercato, magari fare quattro chiacchiere con qualche amica bevendo un caffè al bar.

Mi piace l’atmosfera di relax, un po’ da “Sabato del villaggio”, mi piace la piccola gioia del giorno che non è ancora di festa, ma che è già quasi festa, mi piace preoccuparmi della casa e della cucina senza dover per forza correre da una parte all’altra come una trottola.

Mi sarebbe piaciuto sicuramente di più se ieri, al mio risveglio, non avessi trovato la cucina allagata.

Mentre cercavo di capire  quale guasto avesse provocato l’ondata di marea mi sono accorta che l’acqua gocciolava allegramente dal lampadario della cucina.

Sono andata in panico perchè, mentre posso cercare di gestire un disastro in proprio, mi trovo completamente spiazzata se il problema viene dall’appartamento del piano di sopra (tra l’altro momentaneamente vuoto).

E così il mio giorno di relax è iniziato con l’affannosa ricerca della  custode delle chiavi, dopo aver coinvolto un numero impressionante di vicini strappati alla quieta serenità delle otto del mattino, seguita dall’altrettanto affannosa ricerca del guasto (rivelatosi poi uno squarcio nel termosifone).

La giornata è quindi proseguita con la raccolta delle acque, accompagnata da un incessante quanto impietoso stillicidio dal lampadario (prontamente rimosso per evitare un corto circuito).

Ad un certo punto, infastidita dal rumore del gocciolamento continuo sono andata a fare un giro dopo aver disposto per tutto il pavimento un numero imprecisato di catini e bacinelle.

Alla sera la pioggia si è conclusa, ma in cucina è rimasto un odore di muro bagnato quasi insopportabile.

Quasi quasi è meglio tornare a lavorare.

Trezzo sull'Adda - acqua

Gelicidio.

Ho scoperto il significato della parola “gelicidio” andando a scuola ieri mattina (che fosse venerdì 13 è puramente casuale), quando ho posato il piede su quello che sembrava un normalissimo asfalto e ho cominciato a produrmi in evoluzioni da pattinaggio sul ghiaccio che solo per una botta di fortuna non si sono trasformate in una rovinosa caduta.

Poi ho posato la mano priva di guanto sul cancello e mi sono resa conto che il metallo era praticamente vetrificato, tutto ricoperto da un sottile strato trasparente e gelido.

Solo all’uscita da scuola, ben dopo mezzogiorno, era iniziato il disgelo e dai rami degli alberi che circondano l’edificio cadeva una fitta pioggia, pesante e gelata.

Conoscevo la brina, conoscevo la galaverna, ma il gelicidio mi mancava e confesso che aver colmato questa lacuna non mi rende particolarmente felice.

Moggio Ghiaccio

Il suono di una tromba.

Tutti col naso all’insù nella grande piazza, in attesa di quella nota strozzata all’improvviso, come accadde in un  giorno non ben precisato del 1240, quando  una freccia scagliata da un tartaro riuscì a interrompere il suono della tromba che dalla Torre di Guardia avvisava la città dell’imminente pericolo.

Erano tempi duri e le città europee subivano spesso  attacchi da parte delle orde mongole o di vicini bellicosi, per scongiurare il pericolo di essere colti alla sprovvista il governo di Cracovia aveva disposto che sulla torre più alta della basilica ci fosse ogni giorno una sentinella che doveva vigilare e, in caso di attacco imminente, suonare l’Hejnał, la “chiamata a raccolta”.

Così, quando la cavalleria tartara giunse in prossimità dei bastioni, il trombettiere diede l’allarme, ma fu colpito alla gola da una freccia che lo uccise, tuttavia l’allarme venne udito da soldati e cittadini e gli aggressori non riuscirono a conquistare la città.

Oggi, in memoria del trombettiere che salvò la città, un soldato suona l’Hejnał dal campanile della chiesa della Vergine Maria allo scoccare di ogni ora, rivolto verso i quattro punti cardinali, e poi si interrompe bruscamente per ricordare il momento in cui la sentinella perse la vita.

La storia dell’Hejnał è una delle tante storie di questa antica città, una delle storie che contribuiscono a rendere il suo fascino così particolare.

Cracovia - Torre della Basilica della Vergine Maria

Il mio primo viaggio a Roma.

Un pomeriggio di tantissimi anni fa, dopo una giornata di lavoro e pochissimo riposo, mio padre si mise alla guida della mitica 600 alla volta della Capitale, dopo aver imbarcato la famigliola, una borsa con il cambio di biancheria e un’altra con i generi di conforto (thermos con il caffè, bottiglie d’acqua rigorosamente del rubinetto e un po’ di panini assortiti).

Ero una ragazzina (avevo forse quattordici anni) e ricordo a tratti il viaggio di notte lungo l’Autostrada del Sole che allora, forse, non era neppure completa nella tratta tra Milano e Roma, non ricordo esattamente che mese fosse, ma, a giudicare dai banchi di nebbia e dai cappotti con i quali eravamo abbigliati nelle poche fotografie testimoni del viaggio, doveva essere inverno.

Il viaggio in realtà non fu una vacanza, ma doveva essere l’occasione, per mio padre, di incontrare dei vecchi amici.

Quando era prigioniero di guerra in Sudafrica era stato accolto dalla famiglia di un pastore protestante che aveva tre figliole con le quali mio padre aveva fatto amicizia e, dopo tanti anni, avevano scritto per comunicarci che avrebbero fatto un viaggio negli Stati Uniti con scalo di qualche ora a Roma.

Per questo motivo andammo a Roma, per incontrare dei vecchi amici, per conoscere le loro famiglie, per riallacciare legami che la guerra aveva stretto e che la fine della guerra e il rimpatrio di mio padre avevano attenuato, ma non cancellato.

Arrivammo a Fiumicino che l’aereo era decollato da poco e la delusione fu enorme, ma eravamo a Roma e ne approfittammo per visitare la Città Eterna che non conoscevamo.

Fu triste non incontrare dei vecchi amici, ma Roma era bellissima e fu amore a prima vista.

Roma

 

Kamienica Hipolitów

Nel cuore di Cracovia, proprio di fianco alla Basilica della Vergine Maria che sovrasta la Rynek Główny, sorge una casa patrizia che oggi è un interessante museo, forse non molto conosciuto, ma assolutamente meritevole di una visita.

Casa Hipolit (o Kamienica Hipolitów per dirla in polacco) regala un tuffo nel passato, tra arredi eleganti , una profusione incredibile di soprammobili, oggetti della vita quotidiana come il cestino da lavoro della nonna di casa, o il  banco di scuola della bambina accanto alla casa di bambola.

Ci si aggira tra salotti borghesi, passando accanto ad una tavola imbandita pronta per il rito del tè del pomeriggio o scivolando attraverso silenziose camere da letto per concludere in uno sgabuzzino con  sci e scarponi appesi accanto ad uno scaffale ingombro di valigie e borse che attendono solo di mettersi in viaggio.

Quasi ci si stupisce di non incrociare gli invisibili inquilini.

Cracovia - Casa Hipolit (Kamienica Hipolitów)

Cracovia - Casa Hipolit (Kamienica Hipolitów)

Niente selfie.

Sono tornata ad Auschwitz dopo tanti anni, con un gruppo di italiani giovani e meno giovani, accompagnati da una signora molto competente ed emotivamente coinvolta che ci ha guidati con delicatezza ed attenzione attraverso la più incredibile testimonianza della follia e della malvagità umane.

Mentre scivolavamo, quasi in punta di piedi, tra le sale del museo e lungo i binari di Birkenau sul gruppo è sceso un silenzio compunto e pesante: a nessuno veniva voglia di sorridere e neppure di parlare, se non sottovoce.

Quello che mi ha stupito di più è stato il fatto che a nessuno passasse per la mente di scattarsi un selfie, anzi i telefonini e le fotocamere uscivano dalle borse con discrezione, quasi che tutti fossero presi da un nuovo, sconosciuto pudore di fronte a tanto orrore, di fronte ai mucchi di scarpe, occhiali, valigie muti testimoni della tragedia.

Auschwitz - Birkenau

Auschwitz - Birkenau

Auschwitz - Birkenau