Archivio mensile:Ottobre 2016

La notte delle zucche.

Non mi ricordo da quando anche in Italia si è cominciato a festeggiare Halloween (il mio pargolo sostiene che tra i responsabili ci sia una nota marca di birra), ricordo che quando ero una ragazzina e leggevo le strisce di Schultz (spesso sotto il banco durante le lezioni più noiose), non capivo bene a cosa si riferisse Linus quando nella notte di Ognissanti attendeva il Grande Cocomero (una traduzione un po’ libera per indicare una zucca).

Comunque sia la festa americana, tutta zucche ghignanti e maquillage terrificanti, si è sovrapposta al ponte lungo di inizio novembre, quello che quando ero bambina inglobava, in quattro giorni di vacanza, Ognissanti, la commemorazione dei defunti e le celebrazioni del 4 novembre.

Per il giorno dei defunti andavamo al cimitero di Musocco, dove erano sepolti tutti i miei cari che erano mancati (e allora erano pochi), armati di fiori gialli da distribuire con equità dopo aver acceso i lumini.

Le brume novembrine erano rallegrate dal sapore tutto particolare del pane dei morti, dolce e speziato, che la mia mamma mi faceva trovare, come fosse un dono, sul tavolo della prima colazione.

Erano giorni di raccoglimento, di preghiera, giorni in cui il ricordo si stemperava nel rimpianto, giorni in cui anche noi che allora eravamo piccoli, venivamo richiamati ad una più composta consapevolezza, ad una comprensione ancora in embrione del mistero della vita e della morte.

Quel raccoglimento è quanto di più lontano possa esistere dal chiassoso vagare di ragazzini vestiti con costumi terrificanti in una notte illuminata da zucche vuote e, francamente, non so se siano più fortunati loro o se lo fossimo noi.

Monforte (Langhe)

Quando la terra trema.

Quando la terra trema noi uomini moderni, evoluti ed orgogliosi abitanti del terzo millennio, veniamo presi all’improvviso da una sorta di timore ancestrale ed è paura e panico e istinto di sopravvivenza.

Il primo pensiero è quello di fuggire, ma dove?

Non sulle scale, non con l’ascensore, non per strada dove è possibile che si abbattano le strutture più aeree di un edificio (come balconi, tegole, cornicioni e comignoli), ci vuole lucidità e freddezza per restare in casa, vicino ad un muro maestro mentre i lampadari oscillano e i libri cadono dalle mensole e le porte degli armadi si spalancano e gli infissi scricchiolano in modo sinistro e il pavimento sembra gonfiarsi, agitato da onde sempre più ampie.

E poi, quando il mondo si ferma, quando tutto sembra tornare alla normalità ci si guarda intorno, si cerca di valutare i danni e si ricomincia a parlare come se il racconto del terrore vissuto lo esorcizzasse.

E si resta come sospesi, nel timore che il movimento ricominci e ci trovi impreparati.

Il dopo terremoto è il momento delle parole, talvolta inutili se non dannose, e mentre chi si trova nel cuore del sisma lavora per mettere in sicurezza persone e cose, chi è lontano cede alla tentazione della deriva mistica e allora sono anatemi e “punizioni divine” e ricerca di colpe dal sapore complottista.

Il terremoto non si può prevedere, colpisce con la violenza che solo la natura, decisa a muoverci guerra, può mettere in atto e noi uomini siamo come formiche spaventate, non abbiamo colpa dei terremoti, ma possiamo tentare di prevenirne le conseguenze costruendo edifici antisismici o mettendo i sicurezza quegli edifici che per età e arte devono essere conservati perchè sono patrimonio di tutti.

Piango per il cuore dell’Italia così duramente colpito, ma non posso perdonare chi poteva fare e non ha fatto, chi per profitto o semplice ignoranza ha costruito come non si dovrebbe costruire, chi ha sperperato il denaro.

Non credo nelle punizioni divine, ma nelle responsabilità degli uomini sì.

In viaggio verso Roma

Pubblicità e pubblicità

Ho la vaga impressione che negli ultimi tempi si siano moltiplicati gli spot pubblicitari nei quali si reclamizzano biscotti, merendine, prodotti dolciari vari tutti rigorosamente “senza olio di palma”.

Si allunga così la serie dei “senza”: senza zucchero, senza lattosio, senza glutine e compagnia cantando.

Non è tuttavia sempre chiaro che cosa sostituisca tutti quei “senza” visto che gusti e consistenze restano tutto sommato immutati e soprattutto non sempre è chiaro quanto i nuovi “con” siano più salutari dei vecchi.

Ultimamente una celebre industria dolciaria piemontese è scesa in campo per difendere la scelta di utilizzare l’olio di palma da tempo ormai demonizzato e accusato di varie nefandezze che, tuttavia, dipenderebbero più dalla quantità dei prodotti consumati che dalla qualità dei grassi vegetali (o animali) usati.

Come spesso accade, quando si sparge la voce che questo o quell’alimento può essere nocivo per la salute, dopo ampi dibattiti, discussioni, complotti, e pubblici processi si arriva alla conclusione (ovvia del resto) che nessun alimento, consumato in dosi adeguate e senza esagerazioni, sia sicuramente dannoso.

E’ da molto tempo che non mi capita di spalmare su di una fetta di pane quella famosa crema alle nocciole e cioccolato della celebre industria dolciaria piemontese, ma credo che se mi verrà voglia di farlo non sarà certo qualche grammo di olio di palma a fermarmi.

Ovviamente altro è “sbafarmi” un barattolo da tre chili in un pomeriggio……

Milano Expo 2015

 

La monetina nella fontana.

“Ce sta ‘na leggenda romana
legata a ‘sta vecchia fontana
per cui se ce butti un soldino
costringi er destino a fatte tornà”

cantava Renato Rascel, innamorato di Roma e della sua bellezza, e così tutti si affollano intorno alla Fontana di Trevi, girano le spalle all’acqua e gettano una moneta  nella speranza di tornare un giorno a respirare l’aria della città eterna.

Intorno alla fontana si affollano visi di ogni parte del mondo, lingue di ogni parte del mondo, si scattano fotografie e selfie a centinaia, dalla mattina a notte fonda, si acquistano i souvenir esposti nelle bancarelle: elmi (di Scipio?) e statuette raffiguranti il Pontefice regnante (e anche qualcuno dei precedenti) o copie in plastica della Pietà Vaticana, lupe capitoline e David di Michelangelo (quello di Firenze per intenderci).

La fontana resta lì, imponente e indifferente, splendida nella sua incredibile bellezza, mischia la voce delle sue acque con il brusio delle migliaia di turisti che le passano vicino, che si soffermano, che la ammirano.

Non ho gettato la monetina nella fontana e non perchè non voglia tornare a Roma (tante volte sono tornata senza l’aiuto di riti scaramantici), ma perchè, in qualche modo, mi sembrerebbe di mancare di rispetto alla sua arte e alla sua storia.

Roma

Roma

Oltre le emozioni.

Dopo il cammino da Castel Sant’Angelo lungo via della Conciliazione, dopo l’attesa nella grande piazza e il passaggio attraverso i controlli che il timore di attentati e disordini ha reso ancora più lenti e attenti, si arriva al cospetto della Porta Santa e la si attraversa insieme a tanti altri pellegrini, a tanti altri volti che raccontano attese, speranze, curiosità, emozione.

Ma la grande basilica che accoglie tante donne e tanti uomini che arrivano qui da ogni parte del mondo non è una semplice attrazione turistica, non è solo emozionante, la grande basilica con la sua imponenza, con tutta la sua arte e tutta la sua storia è soprattutto un luogo dello spirito.

Laggiù, proprio sotto la immensa cupola dove sorge il baldacchino del Bernini, secondo un’antica tradizione che affonda le sue radici in una devozione ancora più antica è venerato il piccolo sepolcro di Pietro, che su questo colle, prima che sorgesse la basilica, prima che nascesse la chiesa costantiniana, affrontò il martirio.

Stare lì, pure nel tramestio dei curiosi, dei turisti, dei pellegrini non provoca solo un’emozione, ma un moto dello spirito che spinge a riconsiderare la propria spiritualità, la propria fede, il proprio personalissimo rapporto con Dio.

Alzo gli occhi sulla colomba sospesa al centro della grande finestra e cerco dentro di me le parole giuste e le trovo e mi ritaglio un attimo di silenzio.

Roma

 

Caput mundi.

Mi chiudo la porta alle spalle dopo tre giorni a Roma un po’ stanca , ma con la mente piena di pensieri, il cuore di emozioni, gli occhi di luce.

Sì perchè la prima cosa che ti colpisce di Roma è proprio la luce che esalta il bianco dei marmi, che disegna ombre nette, una luce limpida e tersa che sembra così innaturale per noi, brianzoli in trasferta, abituati ad un cielo senza colori.

E poi ci sono le emozioni davanti alla grandezza, agli spazi aperti, alla bellezza di questa città che scorre attraverso i secoli e la storia un po’ indolente, un po’ scanzonata, questa città che ha conosciuto e conosce il potere, ma lo tratta senza timore reverenziale, questa città che non si prende sul serio, ma che si commuove e fa commuovere chi attraversa le sue piazze, chi entra nelle sue chiese, chi si raccoglie in preghiera nei luoghi dove la fede è nata ed è ancora viva.

Infine ci sono i ricordi, quelli un po’ goliardici, che di solito fanno da contorno ad un viaggio di gruppo (soprattutto se si tratta di un gruppo di brianzoli in trasferta): ci sono le risate, la rissa sfiorata su un mezzo pubblico stracarico, la bocca della verità un po’ malandrina, le corse per arrivare in tempo a questo o a quell’appuntamento, l’allegria amplificata dalla stanchezza, la gioia di cantare insieme anche se non si conosce bene la melodia (…e anche i testi sono un problema).

Mi chiudo la porta alle spalle e mi scappa un sorriso.

Roma

Cronache marziane.

Ho amato molto i racconti di Ray Bradbury, il suo narrare l’esplorazione e poi la colonizzazione di Marte con storie che ricordano la colonizzazione del continente americano, ho amato molto la sua abilità nel raccontare lo stupore, l’inadeguatezza, la brutalità, la poetica generosità degli uomini che si muovono sul pianeta rosso, talora con la goffaggine di un elefante in una cristalleria, talora mossi dal desiderio di conoscenza, talora spinti solo dalla molla del profitto.

La sonda Schiaparelli che è scesa sul suolo marziano, a cinquecento milioni di chilometri dalla terra, quasi sicuramente non ha trovato il paesaggio e il clima raccontati da Bradbury, ma violente tempeste di sabbia e forse devastanti scariche elettriche, per ora si può solo tentare di raccogliere e decodificare i deboli segnali che la sonda ci sta inviando dallo spazio profondo, da distanze che a fatica riusciamo ad immaginare per cominciare a conoscere e a capire.

In fondo per persone come me, che alzano lo sguardo verso il cielo e cercano solo di conoscere e di capire, intimidite dalle distanze e intimorite dal buio vuoto dello spazio i risultati della missione contano relativamente, quel che conta veramente è aver tentato l’impresa.

“Fatti non foste a viver come bruti….” scriveva, dall’alto della sua saggezza, Dante.

Brembate Torre del Sole

Scuola in parete.

Ogni tanto vale la pena di provare ad abbandonare l’aula, i banchi e le “solite” lezioni per salire in montagna, magari in una giornata autunnale un po’ freddina, con il cielo che non sa decidersi tra la pioggia e il sereno.

Saliamo a Introbio con la seconda media e già il viaggio in treno e con l’autobus di linea ha il sapore dell’avventura.

Quando, dopo un breve tratto di strada a piedi, i ragazzi si trovano ai piedi della parete, che sembra niente, ma è alta come un edificio di sette piani, la faccenda diventa un’avventura vera.

La guida alpina è pacata e paziente, ha tutta l’esperienza dei capelli grigi, dà istruzioni semplici, ma essenziali e poi porta i ragazzi davanti alla roccia.

Rompere il ghiaccio non è facile, nessuno vuole partire per primo per paura di fare una figuraccia, tutti vorrebbero partire per primi perchè la tentazione di mettersi alla prova è forte, si passano imbraghi e caschetti come se scottassero, poi finalmente una ragazza prende il coraggio a due mani e comincia la salita, apparentemente senza sforzo, e s’arrampica da un appiglio all’altro come se non avesse mai fatto altro nella vita, poi arriva lassù e, vista dal basso, sembra piccola piccola, ma si vede che è felice.

Poi, ad uno d uno, provano tutti, alcuni si scoprono insolitamente timorosi, altri rivelano attitudini e abilità che non immaginavano di avere e si fa veramente fatica a staccarli dalla roccia, e vogliono riprovare subito per perfezionare qualche passaggio o tentare vie più impervie, lungo pareti che sembrano lisce come il palmo della mano.

Alla fine si torna a casa con la soddisfazione di aver imparato una cosa nuova, con la gioia di aver scoperto di saper fare bene qualcosa, con la stanchezza fisica di una giornata all’aperto, ma con la mente leggera.

Introbio - Casa delle Guide - Lezione di arrampicata

Ritratto di donna con valigia.

Se mai dovessi farmi dipingere un ritratto vorrei che si intitolasse così e probabilmente mi rappresenterebbe a figura intera, con il cappellino e gli occhiali da sole, la macchina fotografica appesa al collo e l’immancabile trolley (dorato e ormai tutto ammaccato dai passaggi traumatici nelle stive dei vari aerei dove è stato imbarcato) al seguito.

Questo è il mio ritratto perchè il viaggio mi appartiene, mi piace, mi fa stare bene, perchè mi trovo a mio agio in un aeroporto o in una stazione, perchè amo sedermi e vedere il mondo che scorre fuori dal finestrino, perchè arrivare in una nuova città (vicina o lontana non importa) mi dà sempre un brivido, mi mette addosso una energia positiva e il desiderio di camminare, di vedere, di conoscere, di imparare.

Le immagini, le impressioni, le esperienze di viaggio mi tengono compagnia quando torno a casa e mi accompagnano nella vita di tutti i giorni, divisa tra casa e lavoro, regalandomi una carica che mi permette di affrontare ogni giornata con serenità

Poi, quando la carica sta per esaurirsi, è il momento di rifare la valigia e partire.

Milano Stazione Cadorna

Termosifoni accesi.

L’ordinanza del sindaco che autorizza l’accensione anticipata degli impianti di riscaldamento  annuncia in modo definitivo che l’autunno è proprio arrivato, ma in fondo l’avevo già capito  dalla scarsa luce che al mattino accompagna i miei passi verso la scuola.

Alla sera, dopo la giornata di pioggia, ricompare la tisana al profumo di cannella e anice stellato che ha anche un vago sentore di agrumi: è la tisana che mi accompagna nelle sere invernali quando me ne sto raggomitolata sul divano a leggere un libro, a guardare un film o, come spesso succede, a correggere compiti e verifiche avvolta in una vecchia coperta, un plaid scozzese dai colori vivaci.

La casa diventa un rifugio di tepore e di luce dove è piacevole tornare dopo la giornata trascorsa al lavoro e l’umidità fredda delle strade.

Sta per cominciare il letargo.

foglie dorate