Archivio mensile:Aprile 2016

Dove ci sono solo stelle.

Fin da piccola i miei genitori (ma soprattutto mio padre) mi hanno insegnato ad amare la montagna, a fare lunghe camminate, magari anche di notte alla luce tremolante e incerta di una torcia elettrica, e mi hanno insegnato a considerare una notte passata in rifugio una incredibile avventura.

Quando ero piccola i rifugi erano decisamente spartani, si dormiva sui letti a castello in grandi camerate, ci si lavava con l’acqua fredda della cisterna, si mangiava seduti tutti insieme sulle panche di legno, una scodella di minestra fumante sembrava, allora, una prelibatezza e poi si passava la serata a raccontare storie vicino al camino acceso.

Oggi molti rifugi delle Prealpi hanno l’aspetto di piccoli alberghi, alcuni persino con il lusso del bagno in camera (camera doppia naturalmente) e l’acqua calda.

Una cosa però è comune ai rifugi di oggi e di ieri: l’incanto della montagna di notte, un incanto che è fatto di silenzio rotto solo dal campanaccio di una mucca o dal latrato lontano di un cane, di pendii illuminati dal chiarore della luna, di ruscelli che, con il calar della sera, diventano più sonori e di stelle, di tante stelle che sembrano riempire il cielo in ogni angolo, di stelle così luminose da schiarire il cielo.

E’ incredibile che il buio delle vallate, dove l’inquinamento luminoso della città è solo un ricordo, riesca a restituire così tante stelle.

Piani di Artavaggio tra San Silvestro e Capodanno
 

L’avventura della vita.

Trentacinque anni fa, più o meno a quest’ora, entravo in ospedale, con la mia valigina che era pronta ormai da due mesi, entravo in ospedale con un po’ di paura e un po’ di incoscienza e con il desiderio di vedere finalmente in faccia la persona che aspettavo di incontrare da poco meno di nove mesi.

Ho cacciato via i miei genitori e mio marito perchè, incredibile a dirsi, nei momenti veramente importanti preferisco essere da sola e poi, allora, i papà in sala parto erano un fenomeno rarissimo e mio marito era così emotivo ed agitato che preferivo non dovermi preoccupare “anche” delle sue reazioni e non mi piaceva immaginarlo  aggirarsi ansioso nei corridoi dell’ospedale.

Preferivo immaginarlo in casa nostra, confortato dall’affetto un po’ preoccupato dei miei genitori ansiosi anche loro di diventare nonni.

Ho passato la notte fra monitoraggi e gialli di Agatha Christie e poi,  poco dopo mezzogiorno, il mio pargolo si è deciso finalmente a venire al mondo.

Non ricordo molto di quei momenti, ero stanchissima e avevo solo voglia di dormire, ma ricordo bene quando ho potuto stringerlo per la prima volta tra le braccia e mi sono incantata a guardare le unghiette delle piccole mani, il visetto roseo, i capelli incredibilmente lunghi e neri.

L’avventura di una nuova vita era cominciata e io mi sentivo orgogliosa e spaventata ed oggi faccio fatica a riconoscere in quel neonato l’uomo equilibrato e divertente e imprevedibile che è diventato mio figlio.

Milano - Gam - Segantini (maternità)

La mia cassettiera ideale.

Vivo in una casa piena di cassetti, perchè i cassetti rispondono alla mia esigenza (o sogno, o pia illusione) di fare ordine: essendo io una disordinata cronica ogni tanto ci provo, svuoto i cassetti e cerco di rimettere le cose a posto con una logica (che è sempre diversa dalla logica, che pure mi pareva molto logica, usata la volta precedente) e poi spesso mi aggiro disperata alla ricerca di ciò che ho accuratamente nascosto.

Nella cassettiera dell’aula professori dispongo di ben due cassetti (la vecchiaia ha i suoi privilegi) che ogni anno, a giugno, a giochi finiti, riordino senza tuttavia riuscire a ricavare neppure un centimetro cubo di spazio in più.

Anche la mia testa funziona a cassetti dove i pensieri, le idee, i ricordi, le nozioni indispensabili per il mio lavoro “sembrano” ben organizzati eppure non deve funzionare proprio bene visto che ogni tanto affiorano strane associazioni di idee che mi fanno giungere alla conclusione che anche lì ci vorrebbe un po’ di ordine.

E’ inutile: il disordine è una delle mie caratteristiche, ne sono consapevole anche se non mi rassegno.

Qualche giorno fa, al Museo Poldi Pezzoli, ho visto la mia cassettiera ideale, piena di cassetti e cassettini disposti in disordine, ma proprio per questo estremamente ordinati.

La metterò nella mia lista dei desideri…

Milano - Museo Poldi Pezzoli

In un pomeriggio ventoso.

Persino la Brianza, terra di colline e capannoni, chiusa dal profilo delle Prealpi può diventare bellissima in una giornata ventosa, quando l’aria disperde le foschie così usuali da queste parti e toglie il velo grigiastro dall’orizzonte risvegliando colori che sembrano usciti da un quadro dell’ottocento.

Dal balcone le montagne sembrano più vicine, i Corni di Canzo, dal profilo così caratteristico, si elevano imponenti e accanto, ancora più imponenti si stagliano le moli della Grigna e del Resegone.

Più vicine, quasi in primo piano, scivolano le dolci colline di Brianza, verdi e arrotondate, profili noti a chi è abituato a spingere lo sguardo fino ai monti, alture dai nomi spesso sconosciuti, ma ugualmente piacevoli per gli occhi ed il cuore.

Fra tutte spicca la collina di Montevecchia, con la sua chiesetta bianca che sembra brillare al sole, con le sue pendici a balze eleganti coperte di vigne e di boschi, con il suo profilo dalle curve gentili reso più evidente dall’aria limpida.

Mi piace Montevecchia perchè da lassù, benché l’altezza non sia così elevata, si può lasciar vagare lo sguardo fino all’orlo della pianura e  scorgere i grattacieli di Porta Nuova o soffermarsi sulla corona dei monti e seguirne la linea fino all’orizzonte.

Brianza

La trappola della memoria.

A volte basta un profumo, un sapore, una vecchia fotografia e scatta a tradimento la trappola della memoria, una trappola affascinante che ci imprigiona in un altro tempo, in un altro luogo, un “altrove” che riaffiora come se fosse sempre stato lì, nella nostra mente, un “altrove” che credevamo cancellato, ma, in realtà, era solo rimosso.

Un “altrove” in cui Milano (e anche la Brianza profonda), in inverno, era avvolta dalla nebbia, che era veramente nebbia, ma noi andavamo a scuola con i calzettoni al ginocchio e la gonna a pieghe, perché non c’erano i jeans e, per le ragazze, neanche i pantaloni.

I maschi, invece, portavano i pantaloni “all’inglese” (che oggi chiameremmo bermuda), ma comunque anche loro avevano i calzettoni al ginocchio che, col passare delle ore, scivolavano inesorabilmente lungo i polpacci o erano così stretti da lasciare sulla pelle un segno da laccio emostatico.

Non avevamo lo zaino (o il trolley), ma la cartella che ci obbligava a spostare tutto il peso di libri e quaderni da una sola parte, con buona pace della corretta postura e della salute della nostra colonna vertebrale.

Scrivevamo con penna e inchiostro, asciugavamo le pagine dei quaderni con la carta assorbente e i pennini con il nettapenne (chi se lo ricorda?), portavamo il grembiule, bianco alle elementari, nero alle medie e le classi erano solo maschili o femminili.

Alle medie, tra le materie obbligatorie e facoltative, c’erano due ore settimanali chiamate “applicazioni tecniche” che, per noi ragazze, di solito significavano maglia o ricamo (cosa facessero i maschi in quelle ore è ancora un mistero).

Al pomeriggio, in televisione, c’era “la tv dei ragazzi”, con Silvio Noto e Febo Conti e, più raramente, il mago Zurlì, le trasmissioni duravano un’ora ed erano sempre inesorabilmente istruttive, invece, alla sera, vigeva la ferrea regola “dopo Carosello tutti a nanna” (sì Perché ci divertivamo a guardare degli spot pubblicitari).

Eppure siamo qui, siamo sopravvissuti e quando restiamo incastrati nella trappola della memoria, riusciamo persino a farci prendere dalla nostalgia.

Cavenago - Nebbia

 

Perché ricordare?

Parlo con mia madre di quel 25 aprile di tanti anni fa a Milano, le notizie che correvano, la gioia, ma anche l’incredulità, , l’impressione di vivere un grande cambiamento, la difficoltà di comprendere il cambiamento.

Poi ci sarebbe stato il referendum tra monarchia e repubblica (ma mia madre non votò perchè aveva solo vent’anni) e poi le “mitiche” elezioni politiche del ’48 e una Nazione da ricostruire e una vita da inventare.

Le fa bene ricordare e anche a me fa bene.

E’ necessario ricordare e raccontare quei giorni ai figli e ai figli dei figli, non per perpetuare l’odio e il desiderio di vendetta, ma perché comprendano che bene incommensurabile sia la libertà (la libertà di ciascuno di noi e di tutti gli uomini) e imparino ad amarla e a difenderla.

Milano - Celebrazione del XXV Aprile

Aria e luce.

Dopo il temporale di ieri sera la giornata, tra le mie montagne, è limpida, c’è un vento un po’ freddo e c’è tanta luce che restituisce al cielo e ai monti tutti i colori del mondo.

E’ piacevole camminare di buon passo anche se il vento, a tratti, dà fastidio, anche se camminare in salita è un po’ più faticoso, ma bisogna salire sopra il paese per avere un panorama più aperto e poter scorgere i prati e gli alberi fioriti e le case sparse nel verde e le cime striate dell’ultima neve.

E poi si arriva in alto e gli occhi si riempiono di luce e di aria e anche l’anima respira.

Moggio Aprile 2016

Inossidabile come Betty.

La regina Elisabetta II (per l’esattezza: Elizabeth Alexandra Mary) ha festeggiato il novantesimo compleanno proprio nei giorni scorsi, sorridente e inossidabile, con i suoi vestiti pastello, i cappellini a volte improbabili, le borsette sempre uguali al braccio e i cagnolini tra i piedi.

Visto che è stata incoronata proprio due settimane prima della mia nascita, il 2 giugno 1953, e ha battuto il record di durata della regina Vittoria l’ho sempre associata alla monarchia inglese e fatico ad immaginare il Regno Unito senza di lei.

Evidentemente appartiene ad una stirpe longeva soprattutto se si considera che la Regina Madre è morta alla veneranda età di 101 anni.

Come la regina anche mia madre tra qualche mese festeggerà il novantesimo compleanno (ma lei con un po’ di civetteria ha sempre precisato di essere più giovane) e, anche se è un po’ meno inossidabile, tutto sommato è ancora in buona salute.

Anche mia madre, come la regina Elisabetta, ha attraversato il ‘900, ha vissuto una guerra mondiale e mentre la sua illustre coscritta guidava le jeep in divisa, lei attraversava Milano per recarsi al lavoro, con gli occhi al cielo e le orecchie tese per sentire gli allarmi aerei, con la paura di un altro bombardamento come quello che aveva raso al suolo la sua casa.

Quando rivedo le foto di mia madre, mi sembrano così simili, con i sorrisi appena abbozzati, l’atteggiamento composto, le gonne lunghe a ruota e capelli sempre così ordinati.

Erano ragazze toste e ora sono anziane signore forse ancora più toste.

Dio salvi la Regina e un po’ anche la mia mamma.

MAMMA
 

La nostra casa.

Oggi è la “Giornata della Terra” che si celebra dal 1970 quando,  in seguito ad uno dei più gravi disastri ambientali degli Stati Uniti, il senatore Gaylord Nelson pensò che fosse il caso di portare all’attenzione dell’opinione pubblica le tematiche ambientali e  propose appunto di fissare una giornata dedicata alla riflessione sulla necessità di tutelare il pianeta.

E’ anche una giornata in cui soffermarci a pensare a quanto sia bella la nostra casa comune perchè a tutti noi, almeno una volta, è capitato di incantarci davanti ad un tramonto sul mare, di perderci nella bellezza verde di un bosco, di sentirci piccoli piccoli al cospetto di una montagna.

E sicuramente ci è capitato, se non siamo proprio insensibili, di commuoverci davanti alla bellezza di un paesaggio, magari anche di un paesaggio conosciuto e abituale, che tuttavia riesce a procurarci nuove emozioni.

Dobbiamo ricordarci di amare la nostra casa, dobbiamo ricordarci che le risorse del pianeta non sono infinite, che l’aria e l’acqua e gli ecosistemi sono delicati e preziosi, ma è qui che viviamo e non possiamo permetterci il lusso di sprecare le ricchezze che ci circondano.

Diceva il Mahatma Gandhi:

“Sulla terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi.

Sono le azioni che contano, i nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni.

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo” 

Pensiamoci su…

Culmine di San Pietro 2010

 

A me non succede….

Il terribile incidente della ragazzina investita da un treno mentre attraversava i binari con la musica nelle orecchie  mi offre uno spunto di dolorosa riflessione.

Ne parlo con i miei ragazzi di prima cercando di attirare la loro attenzione sulla necessità di rispettare le regole, sulla necessità di essere consapevoli dei propri atti e delle conseguenze dei propri atti, in fondo li vedo abbastanza spesso muoversi per strada, uscendo da scuola, andando al parco, a piedi o in bicicletta e non sempre il loro comportamento è attento come sarebbe richiesto persino dal traffico moderato delle strade del nostro paese.

“A me non sarebbe successo…” Commentano con l’incosciente sicurezza della loro età, loro sanno come comportarsi, anche se non sempre lo fanno, proprio perchè pensano che da piccole infrazioni non possano derivare gravi danni.

Credo che anche la ragazza investita dal treno sapesse che è pericoloso (oltre che vietato) attraversare i binari, penso che fosse consapevole che la musica nelle orecchie distrae da ciò che ci circonda e può impedirci di sentire i rumori, ma forse ha pensato che non fossero comportamenti così pericolosi da comportare conseguenze gravissime.

Non mi stancherò mai di ripetere loro che devono essere attenti a ciò che fanno, che devono sforzarsi di rispettare le regole anche se non le capiscono o se le considerano eccessive, esagerate, che non possono sfidare la sorte confidando solo nell’allegro ottimismo della loro giovane età.

So che rischio di sembrare noiosa e pedante, ma non posso stare zitta perché per me i miei ragazzi (tutti i ragazzi) sono troppo importanti.

Brescia