Archivio mensile:Marzo 2016

Con il sole negli occhi.

Dopo aver coccolato per mesi l’idea di tornare a Venezia mi sono ritrovata lì, seduta ad un tavolino di un caffè sulle Fordamenta delle Zattere di Dorsoduro, con il canale della Giudecca di fronte e la luce del sole negli occhi.

Non mi va di infilare gli occhiali da sole, strizzo gli occhi, ma resisto perchè mi piace farmi avvolgere da questa luce chiara, mi piace sentire la carezza del sole, di questo sole da preludio di estate, di questo sole così innaturale per la fine di marzo.

Davanti a me l’acqua cambia continuamente colore, accesa da mille riflessi, intorno a me sento “ciacole” in tante lingue diverse, mi godo l’atmosfera oziosa di questa città straordinaria, dove le vie non si chiamano vie, ma calli e liste e rughe e mercerie e rii terà e salizzade e sotoporteghi, dove ogni passeggiata prevede il superamento di ponti “a schiena d’asino” impervi come passi dolomitici, di questa città tradizionalmente accogliente dove neanche il più straniero si sente veramente straniero.

Anche se la mia città è tanto diversa da questa città quando cammino tra le sue viuzze strette, quando attraverso un campiello tranquillo, un po’ estraneo rispetto ai circuiti del turismo di massa, quando mi incanto a guardare i colori dei panni stesi attraverso un canale, quando mi lascio affascinare dalla perizia consumata di un gondoliere che fa scivolare la sua imbarcazione elegante sul pelo dell’acqua mi sento bene, mi sento a casa.

Venezia Marzo 2016

Come Dorian Gray.

Ogni tanto mi sento come Dorian Gray, ma alla rovescia.

Il personaggio di Oscar Wilde, infatti, nascondeva in soffitta un ritratto, somigliante e bellissimo, che invecchiava al posto suo e si deteriorava per la vita dissoluta del giovane che, invece, restava immutato nelle sembianze splendide e affascinanti di una bellezza pura e incontaminata.

Anch’io, dicevo, mi sento un po’ come Dorian Gray, ma alla rovescia, mi guardo allo specchio e vedo nuove rughe disegnate dal tempo, e i segni dell’età e di una vita non certo dissoluta come quella del protagonista del romanzo di Wilde, ma di una vita spesso faticosa e un po’ stressata, una vita di lavoro, di impegni, di appuntamenti, di scadenze, di piccoli grandi guai.

E poi entro in classe e vedo i visi dei miei ragazzi, visi sempre giovani, visi che non invecchiano mai (perchè quando i visi cominciano a mutare i ragazzi se ne vanno e ne arrivano di nuovi, sempre ugualmente giovani), i ragazzi sono come il ritratto in soffitta, non devono sopportare le ingiurie degli anni che passano, ma mi raccontano dei miei anni che passano, nella stessa aula, seduta alla stessa cattedra.

E’ forse questo specchiarsi in occhi che non invecchiano mai, in cuori che non si stancano mai che rende il nostro lavoro così difficile e così affascinante.

Solo una croce.

In visita al museo del Duomo di Monza, abbiamo osservato delle croci d’oro, tempestate di pietre preziose e il ragazzi hanno diligentemente imparato, a seconda della lunghezza dei bracci, a distinguere una croce greca da una croce latina.

Spesso altre croci d’oro, un po’ più moderne e un po’ meno opulente, vengono indossate come un ornamento, magari di una generosa scollatura.

Si tratta di oggetti preziosi che, qualche volta, rischiano di farci perdere di vista il significato più autentico del simbolo.

La croce altro non è che uno strumento di morte, e di morte atroce, che tuttavia, per i cristiani è il simbolo più alto del’amore di Dio, della redenzione che passa attraverso il dolore e la sofferenza, della morte da cui scaturisce la vita.

E’ difficile perdersi nella contemplazione della croce quando ci si trova al cospetto di oggetti ricchi e preziosi, è più facile coglierne il significato quando, camminando su un sentiero di montagna, ci si imbatte in una di quelle tante croci che segnano una vetta, un crocevia, una balza erbosa.

La pietà popolare, nella sua ingenua verità, innalza queste croci, spesso spoglie, talora con la figura di un Cristo sofferente, per ricordarci il dolore e la redenzione, per offrirci un attimo di meditazione lungo il cammino e, mentre si tira il fiato e il respiro ridiventa regolare, ci dona  il tempo per un pensiero, per una preghiera.

Piani di Artavaggio - Marzo 2016

 

Nubi e neve.

E’ neve primaverile, molle e cedevole sotto i piedi, si fa fatica a camminare perchè è una continua lotta per mantenere l’equilibrio, per non sprofondare di colpo fino al polpaccio.

Ma il sole è così caldo, i cielo così azzurro, il panorama, che si stende a perdita d’occhio, così bello che vale la pena di fare un po’ di fatica, basta fare le cose con calma, senza fretta, senza strafare, basta fermarsi ogni tanto e guardarsi intorno per stare bene.

Le mie montagne, come sempre, riescono a riconciliarmi con me stessa e con i mondo: le piccole ansie, le preoccupazioni, i cattivi pensieri spariscono e dentro resta solo la gioia e il desiderio di bellezza e di pace.

Guardo le montagne innevate all’orizzonte, mi sorprendo a cercare infinite forme nele nubi che sembrano sfiorare i rami di un albero e il cuore diventa un’isola di quiete.

Piani di Artavaggio - Marzo 2016

Pilato.

Il quinto prefetto della prefettura di Giudea, in carica tra il 26 e il 36, il cavaliere Ponzio Pilato è una figura centrale del Venerdì Santo e della Passione di  Cristo, non tanto e non solo per aver presieduto, come narrano i Vangeli, il processo, per aver fatto flagellare un imputato innocente secondo la legge romana e  per averlo condannato a morte sulla spinta della reazione popolare, in fondo Pilato altro non era che un funzionario, forse un po’ ottuso, relegato in una provincia periferica e non tranquilla dell’Impero, alle prese con una situazione politica esplosiva e non deve essergli sembrato un errore assecondare la folla.

La centralità di Pilato nella storia della Passione sta tutta in quel gesto di lavarsi le mani, un gesto simbolico che forse avrebbe dovuto far riflettere gli astanti, ma il cui valore si perde nella concitazione del momento.

Pilato sa, o forse intuisce vagamente, che l’Uomo che gli hanno condotto davanti non è colpevole, ma non riesce ad assumersi la responsabilità di un gesto di rottura, o anche solo di giustizia: paradossalmente non fa nulla di male, ma non riesce a compiere nulla di bene.

Pilato è un po’ come noi quando, davanti all’ingiustizia, davanti al male, voltiamo la testa, non ci facciamo coinvolgere, anche solo per quieto vivere, e ce ne restiamo lì, con le nostre mani inutilmente pulite, con le nostre mani inerti.

Varallo Sesia

Se dovessi scegliere.

Oggi ho vissuto il  rito della “lavanda dei piedi”  insieme alla mia mamma e ad un folto gruppo di ospiti della casa di riposo, che hanno lietamente invaso, con le loro sedie a rotelle, la chiesa parrocchiale.

Tornando a casa  ho portato con me una preghiera, che ha la grazia di una poesia, della mistica francese Madeleine Delbrel che vorrei condividere perchè mi sembra che racchiuda in sé non solo quello che dovrebbe essere lo spirito della Settimana Santa, ma il senso stesso della vita quotidiana di ogni cristiano.

Se dovessi scegliere
una reliquia della tua Passione,
prenderei proprio quel catino
colmo d’acqua sporca.
Girerei il mondo con quel recipiente
e ad ogni piede
cingermi dell’asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio
per non distinguere
i nemici dagli amici,
e lavare i piedi del vagabondo,
dell’ateo, del drogato,
del carcerato, dell’omicida,
di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego mai,
in silenzio
finché tutti abbiano capito nel mio
il tuo amore.

croce
 

Non ho visto….

Oggi non ho visto la frase “Je suis Bruxelles” ripetuta sui social network e neppure ho visto le foto tingersi di nero, giallo e rosso, forse perchè la bandiera belga è un po’ meno familiare di quella francese.

E’ possibile che l’impatto degli attentati di Parigi abbia suscitato una risposta emotiva più forte, forse perchè Parigi è ben presente nell’immaginario collettivo di noi tutti.

E’ anche possibile che si faccia strada l’idea che non è più il momento della retorica e dell’emotività, ma della riflessione più composta, più matura.

O forse, è questo sarebbe terribile, stiamo facendo l’abitudine all’orrore e le immagini che ci giungono da questa città, che pure è il cuore dell’Europa, non ci sembrano altro che immagini simili ad altre immagini già viste, ad altri orrori che ormai si ripetono con tragica frequenza.

Se così fosse vorrebbe dire che abbiamo abdicato ad un altro frammento della nostra umanità

Mentre arrivano le notizie.

Guardo distrattamente lo schermo del televisore, davanti al bancone del bar, mentre bevo un caffè e mi rendo conto che Bruxelles è vittima di un attentato, sono uscita da casa da poco, da poco ho spento il computer che accendo, di solito, appena alzata per controllare la posta e dare un’occhiata ai quotidiani online, ma i quotidiani riportavano ancora le immagini delle giovani studentesse italiane morte nell’incidente in Catalogna.

Sullo schermo le notizie si susseguono frenetiche, le voci dei cronisti sono concitate, in basso scorrono continui aggiornamenti, arriva la notizia, poi smentita, poi di nuovo confermata di un’esplosione anche nel metrò, di due esplosioni nel metrò, di un orrore che non sembra aver fine.

Mentre guardo le immagini, quasi ipnotizzata, penso alla coda al check-in nell’aeroporto di Smirne, la noia dell’attesa, la valigia spinta avanti  con un po’ di fastidio, fastidio per quei controlli minuziosi (provvidenzialmente minuziosi?), per la puntigliosa lentezza dei poliziotti che ispezionano tutto, ma proprio tutto.

Oppure penso alle attese sul marciapiedi di una fermata del metrò, gremita di gente, attese distratte, senza allarmi, attese ingannate con la lettura di un libro, senza particolari patemi, ma, ancora una volta, con un po’ di fastidio.

E mi scopro a pensare che quella noia, quel fastidio derivano dall’impressione di sicurezza: se non ho paura posso permettermi il lusso della noia e del fastidio, se avessi paura non avrei né il tempo, né la voglia di annoiarmi.

E scopro che, in questi tempi terribili che viviamo, la noia può anche essere un privilegio.

Milano e dintorni Metro

E’ già Pasqua.

Quest’anno la Pasqua è insolitamente “bassa” ed è già qui, alle porte, la domenica successiva al primo plenilunio di primavera (visto che,  per la Chiesa,  l’equinozio di primavera cade sempre il 21 marzo), come stabilito dal Concilio di Nicea nel lontano 325.

Sembra un po’ insolito preoccuparsi delle uova di Pasqua quando i cappotti non sono ancora stati relegati nella parte più riposta dell’armadio in attesa del prossimo inverno, quando basta un cielo coperto per farci sentire un brivido di freddo, quando i fiori delicati che spuntano  timidi sui rami, sembrano temere un  improvviso calo di temperatura.

I giorni della quaresima mi sono scivolati tra le mani, tra ore di lezione, verifiche da correggere, riunioni e mi sembra di non avere più tanto tempo da spendere perchè è opinione comune, almeno nel mondo della scuola, che dopo le vacanze di Pasqua l’anno scolastico è praticamente finito e bisogna cominciare a tirare le somme e, per i ragazzi di terza, è ora di cominciare ad organizzarsi per affrontare l’esame.

Il tempo che fugge, però, non mi crea ansia perchè, anche se corre veloce, corre incontro alla bella stagione, al sole, alla libertà delle vacanze estive, al riposo, alla dolce noia delle giornate vuote, senza lavoro, senza orologi, senza scadenze pressanti.

Chiesa di Santa Maria Maddalena di Camuzzago (bellusco)

Primavera.

E’ primavera, esattamente dalle cinque e trenta di oggi, con buona pace dei proverbi, di San Benedetto e delle rondini che tuttavia non mi sembra di aver visto sotto il tetto e comunque, come è noto,una rondine non fa primavera.

L’equinozio, invece, fa primavera, almeno quella astronomica e, osservando il cielo, dobbiamo abituarci all’idea che la primavera continuerà ad iniziare il 20 marzo (se non addirittura il 19) almeno fino al 2102.

Sarà anche un’impressione, ma oggi c’è proprio un’atmosfera diversa, c’è il tepore del sole, c’è un’arietta fine e leggera, c’è il cielo terso (un po’ vuoto, ma terso) e soprattutto ci sono i fiori, le pratoline e le violette e i rami degli alberi che, come per magia, si riempiono di bianco e di rosa.

Ho voglia di ripartire, di uscire dal letargo, di riporre gli indumenti invernali e pazienza se, come da tradizione e saggezza popolare, il sole alla Domenica delle Palme è auspicio di una Pasqua piovosa.

Per ora godiamoci il sole.

Primavera