Presepe.

Quando ero bambina il presepe si preparava il giorno dell’Immacolata, dopo aver visitato il giorno precedente la “Fera di oh bej oh bej“, intorno alla Basilica di Sant’Ambrogio, per integrare le statuette e gli addobbi.

Dopo pranzo ci mettevamo all’opera liberando il piano della credenza su cui, dopo aver steso di fogli di carta da giornale, disponevamo il muschio (che durante l’estate avevamo raccolto nei boschi della Valsassina), poi stendevamo sul muro il foglio di carta lucido di stelle (che la mia mamma stirava con il ferro tiepido per eliminare le pieghe di un anno), tracciavamo dei vialetti con la ghiaia fine e con la carta stagnola simulavamo un improbabile torrentello.

Alla fine toccava alla capanna, messa sempre sul lato sinistro del paesaggio, e alle statuine che, essendo di misure diverse, venivano disposte in modo da rispettare un’idea vaga di prospettiva, con le più grandi in primo piano e le più minuscole sul fondo.

Le statuine erano di gesso e andavano maneggiate con cura per evitare che subissero incidenti: ricordo che c’era un pastorello di grandi dimensioni (che quindi stava sempre in primo piano) il quale, in seguito ad una serie di infortuni, era restato praticamente senza una gamba, era un personaggio bellissimo, vestito con una giubba rossa, con il cappello appoggiato sulla nuca e la mano posata sulla fronte quasi per poter scorgere meglio la cometa.

Nella mia famiglia, come in molte altre del resto, gli oggetti danneggiati non si buttavano via, ma si cercava di aggiustarli e di utilizzarli in qualche modo e così lo sfortunato pastorello trovava comunque una collocazione nel nostro presepe: bastava avere l’accortezza di celare l’anima di ferro della gamba danneggiata con un abbondante ciuffo di muschio.

E così anche lui, un po’ zoppicante e malfermo, aveva un posto d’onore nel nostro presepe, ma questa forse è la storia della mia famiglia, questo è quello che i miei genitori mi hanno sempre insegnato: nessuno deve essere messo da parte.

Moggio - Presepe

 

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