Archivio mensile:Dicembre 2015

E poi basta un giorno di sole.

Dopo il grigiore degli ultimi giorni, dopo la nebbia gelida che ti si infila nelle ossa e non se ne va più, dopo tutti quei passi ovattati nel silenzio un po’ irreale dei giorni di festa oggi, al risveglio, sono stata accolta dal sole e subito il mio umore è migliorato, sono uscita dal letargo, ho bevuto il mio primo caffè piena di voglia di vivere e di uscire di casa.

Certo, la mattina è freddissima, con l’erba dei prati cristallizzata dal ghiaccio, ma è un piacere camminare cercando il sole.

E’ incredibile come basti così poco, un po’ di sole appunto, per aver subito voglia di muoversi, di uscire, camminare, magari anche provare a respirare (anche se l’aria in questo inverno senza pioggia non è molto respirabile), perché quando c’è il sole anche il cielo sembra più pulito e pazienza se si tratta di una pia illusione.

Alzo il bavero del cappotto, mi calco in testa il cappello, infilo i guanti e sfido il gelo.

E mi viene voglia di sorridere.

Cavenago di Brianza
 

Scarpe.

Ho un rapporto un po’ conflittuale con le scarpe perché, logicamente, mi piacciono comode, ma vorrei che fossero anche un po’ eleganti.

Se d’estate me la cavo con una serie di sandali che mi lasciano i piedi liberi e mi permettono di muovermi (quasi) su ogni terreno, d’inverno la faccenda si complica non poco.

E così, mentre mi accingo a preparare la valigia per una breve vacanza di quattro giorni in Slovenia, mi ritrovo a dover far posto a ben cinque paia di scarpe (che per quattro giorni non mi sembra poco).

Esagero?

Non vorrei passare per una novella Imelda Marcos, famosa anche per le sue 2700 (diconsi 2700) paia di scarpe, simbolo di lusso e di sperpero e divenute parte della storia nazionale delle Filippine, ma cinque paia di scarpe (ribadico, per quattro giorni) mi sembrano il minimo sindacale.

Spiego:

  1. un paio di scarpe comode per fare un po’ di sano turismo
  2. un paio di scarpe leganti, munite di tacco affilato, per il cenone di Capodanno
  3. le ciabatte da piscina (visto che alloggerò in una spa…)
  4. le ciabatte da camera (logicamente diverse da quelle da piscina)
  5. gli scarponi da trekking per il nordic walking previsto per la mattina di Capodanno (dopo il cenone è tutta salute, almeno spero)

Ecco spiegata l’abbondanza di scarpe nel mio bagaglio.

Perché ho l’impressione che per i maschietti sia tutto più semplice?

Scarponi

Bilanci e bilance.

Verso la fine dell’anno sui giornali e nelle trasmissioni televisive imperversa la sagra dei bilanci: è tutto un incrociarsi di dati statistici, di impressioni soggettive e di chiacchiere che dovrebbero darci la misura di come è stato questo anno che sta per concludersi.

Ciascuno di noi poi tira le somme dell’anno che sta per concludersi ed elabora un bilancio assolutamente privato, un bilancio che è raramente positivo, ma che ci consente di guardare all’anno prossimo con un filo di ottimismo (difficilmente, ci rassicuriamo, il 2016 potrà essere peggiore di quello passato).

E così ci auguriamo l’un l’altro “Buon Anno” (anche perché sarebbe bizzarro augurare un anno “così così^o, peggio ancora, un anno “cattivo), nella speranza che l’anno che verrà sia veramente un “buon” anno per noi e, bando all’avarizia, per tutti gli altri.

L’augurio è per forza di cose generico, perché per ciascuno di noi quel “buon” può avere un significato diverso: per qualcuno si tratta di un po’ di salute, oppure di un po’ di denaro, di un lavoro, del successo, della realizzazione di un sogno, dell’inizio di una storia, della fine di una storia, di un po’ di felicità.

Per questo cominceremo a gettare un’occhiata distratta anche agli oroscopi che, tra poche ore, cominceranno a pioverci addosso da tutte le parti.

Tempo di bilanci, dicevo, ma anche di bilance.

Bilance lasciate colpevolmente in un angolo in attesa che ci diano il verdetto, dopo l’Epifania, e silenziosamente ci rimproverino per le abbondanti mangiate di questi giorni di festa nei quali le vere escluse sono proprio loro.

E così comincerà anche il tempo dei buoni propositi.

Trento

 

Milano a Natale.

Sta diventando una tradizione familiare, dopo aver consumato un pranzo natalizio abbastanza veloce e frugale, andare a fare un giro a Milano per assaporare la città, un po’ meno affollata, nel giorno di festa.

Ieri abbiamo fatto una puntata veloce in darsena per gustarci le luminarie, l’aria festosa dei navigli, lo struscio della gente (non tantissima per fortuna) lungo le vie d’acqua così piacevoli in questa città di vetro e cemento.

Come sempre c’era un po’ l’aria da sagra paesana, nella darsena scivolava una improbabile slitta di Babbo Natale galleggiante, mentre stormi di gabbiani si incrociavano a volo radente sul pelo dell’acqua.

Incredibilmente anche a Natale, anche qui, si aggiravano turisti incuriositi, mischiati ai passanti dal passo decisamente appesantito dai cibi e dalle libagioni di pranzi e cenoni, il tutto in un’atmosfera rilassata, per una volta rilassata, anche in questa città che sembra sempre andare di fretta.

Mentre un pallidissimo sole si decideva a tramontare abbiamo trovato anche un po’ di tempo e di calma per sederci al tavolino di un bar e bere un caffè.

Milano - Darsena - Natale 2015

 

Auguri.

Se Natale significa accorgersi degli altri, riscoprire gioie semplici, dedicarsi un po’ di più alle persone care, regalare un sorriso, un saluto, un po’ di tempo agli altri allora auguro a tutti che il Natale sia tutti i giorni dell’anno.

Auguro a tutti di comportarci ogni giorno come se ogni giorno fosse Natale e non solo per sentirci un po’ più buoni, ma per essere un po’ più felici e in pace con noi stessi.

Auguro a tutti che la luce del Natale, non quella effimera delle luminarie che accendono le nostre città, ma la Luce vera che viene nel mondo illumini le nostre giornate e ci regali gioia, pace e pensieri di amore e condivisione.

Allora Buon Natale a tutti.

Milano - Luci di Natale

Vacanza.

Dopo i primi tre mesi di scuola, spesso i più difficili, soprattutto quando si inizia con una nuova classe, arrivano le vacanze di Natale, arrivano come una boccata d’aria, un tempo per ricaricare le batterie per poi ricominciare con nuova energia.

La vacanza è un piacevole vuoto che suona di libertà, libertà dal lavoro, libertà dalla tirannia dell’orologio, degli impegni da portare a termine prima di subito, è un tempo in cui i ritmi possono rallentare, in cui si può dormire di più e fare quello che ci pare (o almeno illudersi di fare quello che ci pare).

Il fascino della vacanza sta proprio nella sua eccezionalità che ce la fa attendere, ce la fa sospirare come un miraggio e forse sarebbe meglio fare di ogni giorno della nostra vita un’occasione di vacanza, sarebbe meglio imparare a ritagliarci piccoli spazi vuoti di libertà per dedicarci a ciò che più amiamo fare senza condannarci alla frenesia dello svago e del lavoro.

La vera vacanza dovrebbe essere il tempo in cui sentirci padroni del nostro tempo.

Trento
 

La buona strada.

“La buona strada (127 passeggiate d’autore, a Milano, in Lombardia e dintorni)” di Philippe Daverio è un libro simpatico, di facile lettura e utilissimo per chi desidera scoprire Milano e la Lombardia attraverso lo sguardo e i racconti di questo autore, intelligente e raffinato, capace di scovare gioielli d’arte poco noti e capace di far riscoprire con occhi nuovi luoghi e paesaggi che forse conosciamo da sempre, ma che non sappiamo apprezzare.

Leggendo i brevissimi capitoli mi è scoppiata la voglia di partire e di percorrere questa “buona strada” che, in fondo, è abbastanza breve perché si snoda nella città che amo e nella regione in cui vivo, a dimostrazione che non sempre è indispensabile andare lontano per gustare la bellezza.

Daverio ci invita a passeggiare per la città alzando lo sguardo sui suoi palazzi, sulle sue chiese, per scoprirne la storia e l’eleganza, ci invita a percorrere il territorio della regione ricca di spunti interessanti, anche se nascosti tra cemento e capannoni.

Il libro è un buon regalo natalizio per chi, come me, non è mai sazio di scoperte ed ama questo territorio.

 
Soncino

Non solo freddo.

Diciamolo: fa freddo in questi giorni, il solstizio d’inverno è ormai imminente, le ore di luce sono sempre più sfuggenti e manca proprio pochissimo al Natale.

Prima di uscire di casa c’è il rito della vestizione, a strati naturalmente perché a scuola può anche succedere che faccia caldo, e c’è la ricerca dei guanti e del cappello, lasciati non si sa bene dove al mio rientro precedente (di solito sono abbastanza metodica e poso guanti e cappello sempre nello stesso posto, ma qualche volta mi distraggo e allora si scatena la caccia al tesoro).

Quando esco per strada il primo impatto è quasi sempre devastante, poi comincio a camminare a passo veloce (quando mai ho camminato a passo lento?) e il freddo mi sembra un po’ meno pungente.

Non c’è solo freddo, là fuori, ma c’è anche un mondo che sta preparandosi al Natale, ci sono le luci, le vetrine addobbate, le decorazioni alle finestre e c’è ancora qualche Babbo Natale “impiccato” a qualche balcone (come capitava ohimè frequentemente negli anni scorsi, poi, per fortuna, la moda è passata).

Cammino veloce cercando di farmi coinvolgere dallo spirito natalizio, ma è un’impressione solo superficiale, solo epidermica, non riesco a tuffarmi nell’atmosfera di festa, forse perché, nonostante le luci e le decorazioni, l’aria che c’è intorno non mi sembra molto festosa.

Forse sarà solo un’impressione soggettiva, ma il freddo mi sembra scivolare anche dentro i cuori e mi sembra di vedere un buio che le luminarie natalizie non riescono a dissipare.

Devo cercare la luce e il calore dentro di me: so che in qualche angolo, sepolto sotto le preoccupazioni, la stanchezza, la fretta, lo spirito del Natale è lì, pronto ad illuminare le mie giornate.

Milano - Luci di Natale

Leonardo e la città ideale

Tra i tanti studi di Leonardo c’è anche quello della città ideale, una città elegante e funzionale, costruita vicino ad un corso d’acqua e su due livelli, uno per le unità abitative e la vita dei residenti, l’altro, quello sottostante, per le attività commerciali, i servizi, il trasporto delle merci.

Forse allo scienziato rinascimentale sarebbe piaciuto il nuovo aspetto di alcuni quartieri di Milano, come l’area di Porta Nuova e la zona del Portello dove sta prendendo forma il progetto di Citylife.

In entrambe le aree, dove sorgono avveniristici grattacieli, che possono ricordare con un po’ di fantasia la scalata verso il cielo delle torri medioevali, i luoghi destinati ai pedoni, al passeggio, allo svago, si trovano su un piano diverso e separato dagli esercizi commerciali, dai servizi e dal traffico veicolare.

Si tratta di luoghi, in qualche caso (almeno per ora) di “non luoghi” dove muoversi in tranquillità, senza dover badare alle vetture che sfrecciano ad un piano inferiore, luoghi che possono diventare centri di aggregazione e occasioni di incontro e di svago, luoghi dove camminare su lunghe passerelle che scavalcano il traffico cittadino tra i riflessi delle costruzioni e aree verdi ordinate e, forse, un po’ asettiche.

E’ questo il nuovo aspetto che Milano sta dandosi recuperando aree come le Varesine, la vecchia zona della Fiera o gli edifici dell’Alfa Romeo ormai in disuso e fatiscenti.

Non so se si tratta della “città ideale”, ma a me piace parecchio.

Milano - Portello - Tre torri (Citylife)

Presepe.

Quando ero bambina il presepe si preparava il giorno dell’Immacolata, dopo aver visitato il giorno precedente la “Fera di oh bej oh bej“, intorno alla Basilica di Sant’Ambrogio, per integrare le statuette e gli addobbi.

Dopo pranzo ci mettevamo all’opera liberando il piano della credenza su cui, dopo aver steso di fogli di carta da giornale, disponevamo il muschio (che durante l’estate avevamo raccolto nei boschi della Valsassina), poi stendevamo sul muro il foglio di carta lucido di stelle (che la mia mamma stirava con il ferro tiepido per eliminare le pieghe di un anno), tracciavamo dei vialetti con la ghiaia fine e con la carta stagnola simulavamo un improbabile torrentello.

Alla fine toccava alla capanna, messa sempre sul lato sinistro del paesaggio, e alle statuine che, essendo di misure diverse, venivano disposte in modo da rispettare un’idea vaga di prospettiva, con le più grandi in primo piano e le più minuscole sul fondo.

Le statuine erano di gesso e andavano maneggiate con cura per evitare che subissero incidenti: ricordo che c’era un pastorello di grandi dimensioni (che quindi stava sempre in primo piano) il quale, in seguito ad una serie di infortuni, era restato praticamente senza una gamba, era un personaggio bellissimo, vestito con una giubba rossa, con il cappello appoggiato sulla nuca e la mano posata sulla fronte quasi per poter scorgere meglio la cometa.

Nella mia famiglia, come in molte altre del resto, gli oggetti danneggiati non si buttavano via, ma si cercava di aggiustarli e di utilizzarli in qualche modo e così lo sfortunato pastorello trovava comunque una collocazione nel nostro presepe: bastava avere l’accortezza di celare l’anima di ferro della gamba danneggiata con un abbondante ciuffo di muschio.

E così anche lui, un po’ zoppicante e malfermo, aveva un posto d’onore nel nostro presepe, ma questa forse è la storia della mia famiglia, questo è quello che i miei genitori mi hanno sempre insegnato: nessuno deve essere messo da parte.

Moggio - Presepe