Archivio mensile:Novembre 2015

La chiesa di San Fedele.

La chiesa di San Fedele (per la precisione il nome è Santa Maria della Scala in San Fedele) è un edificio elegante che sorge nell’omonima piazzetta, altrettanto elegante e tranquilla, che si allarga alle spalle di Palazzo Marino dove, un tempo, si apriva l’entrata principale del palazzo e dove troneggia la statua del Manzoni che, visto che abitava lì vicino, in via del Morrone, aveva l’abitudine di andare a messa proprio in San Fedele e che, davanti alla chiesa, dove si erge la statua, cadde a terra provocandosi il trauma cranico che lo avrebbe portato alla morte.

L’edificio di culto, visitabile come altre chiese milanesi grazie ai volontari del Touring Club Italiano, ospita un suggestivo coro in legno ricco di inserti in madreperla e le suppellettili della vicina chiesa di S.Maria della Scala qui raccolte dopo la sua demolizione.

Nella sacrestia c’è la “Cappella delle ballerine” dove, un tempo, “rattin” e “spinacitt” (le allieve del corpo di ballo del celebre teatro meneghino) passavano per rivolgere una preghiera o per accendere una candela alla loro “Madonnina” mentre le ballerine più grandi portavano qui i loro fiori la sera del debutto.

Oggi nella cappelletta, a testimonianza del poetico culto ormai in disuso, delle graziose scarpette da  danzatrice decorano le pareti.

Milano - San Fedele

Quel momento dell’anno.

C’è un momento dell’anno in cui si comincia a sentire l’aria del Natale: le vetrine si accendono di luci e di fiocchi rossi, le pubblicità televisive si popolano di panettoni, il freddo mattutino quando mi avvio verso la scuola è un po’ più pungente e allora, oltre al cappello che di solito è di ordinanza dall’inizio di novembre, infilo i guanti prima di uscire di casa.

E’ u momento dell’anno che vorrei passasse in fretta perché faccio fatica a sopportare l’atmosfera da “siamo tutti più buoni”, perché non è vero che a Natale siamo tutti più buoni, in realtà a Natale siamo come siamo tutto il resto dell’anno: un po’ buoni, un po’ cattivi, un po’ altruisti, un po’ egoisti, capaci di slanci affettivi e di sorde chiusure.

A pensarci bene dovremmo sforzarci di vivere lo spirito del Natale ogni giorno della nostra vita, perché ogni giorno troviamo mani da stringere, lacrime da asciugare, sorrisi da donare, bisogni materiali a cui rispondere e bisogni dell’anima ai quali è sempre difficile rispondere: non possiamo relegare il nostro “farci prossimo” ai pochi giorni dell’anno illuminati dalla pallida luce di una cometa di cartapesta.

Quel bambino, poverissimo e straniero, che ci sorride da una poverissima mangiatoia non può essere solo una bella fiaba da raccontare ai bambini, o da raccontare a noi stessi per farci ritornare un po’ bambini: quel bambino ci interroga ogni giorno sulla nostra capacità di amare, quel bambino, che siamo credenti o no, ci insegna che l’amore è l’unica ragione di vita.

Moggio (Natale)

 

Tanti auguri mamma!

Quella bella ragazza con l’abito a fiorellini, la gonna ampia, i capelli lunghi raccolti da un nastro che stringe fra le braccia un fagottino insonnolito, abbigliato con un goffo vestitino fatto della stessa stoffa del tuo (ci aveva pensato la zia Dina, ricordi?). quella bella ragazza che sorride alla sua bimba con uno sguardo pieno di dolcezza sei tu.

Sei ancora tu, anche ora che le rughe impietose hanno segnato il tuo volto, rughe disegnate non solo da questi ottantanove lunghissimi anni, ma dai dolori, dalle preoccupazioni e anche dai sorrisi di una vita intera.

Ricordi?

Te la ricordi l’infanzia in un’Italia difficile, con le sue divise, le sue regole, i suoi rituali e quelle foto, scattate davanti all’arco della Pace con la divisa da “piccola italiana” e quel sorriso, sempre il tuo, un po’ timido?

Ricordi i tuoi diciassette anni sotto le bombe dell’agosto del ’43, e la casa di via Legnano che non c’è più, e tutti gli oggetti di una vita che non ci sono più e dover ricominciare a vivere, senza più nulla, senza una casa, senza ricordi?

E poi la guerra finì e la tua carissima amica, conosciuta quando eravate sfollati a Carate, ti presentò il suo bellissimo fratello appena tornato dalla prigionia in Africa, e fu subito un grande amore e poi, dopo qualche anno, il matrimonio, semplice e poverissimo, come semplice e poverissima era la vita in quell’Italia che stava cercando di ripartire.

E poi ci fu la svolta e quella bella ragazza dal sorriso un po’ timido diventò mamma, la mia mamma, e fu una gran mamma, per me e mio fratello, dolce, severa, attenta, pronta a sacrificarsi per i figli amatissimi, pronta a difenderli come una leonessa senza mai farcelo capire.

A noi pareva di essere indipendenti e forti, ma tu eri sempre là, quasi nell’ombra, e non ci perdevi mai di vista e forse eravamo così forti proprio perché sapevamo che tu eri là.

E ora ci stringiamo intorno a te, così debole e fragile, così bisognosa di aiuto, ma ancora vigile nel tuo ruolo di madre che non hai mai abbandonato e quando, ogni sera, mi chiedi come è andata la giornata so che cerchi di leggere nella mia voce (perché non puoi più vedere il mio viso) le mie stanchezze, i miei entusiasmi,i miei dolori e le mie gioie.

Auguri mamma!

Idroscalo 2013 rosa bianca

 

Come si divertivano!

I ragazzi di prima stanno riscoprendo, attraverso le testimonianze di qualche nonna volonterosa e di qualche nonno altrettanto volonteroso, come trascorrevano le giornate e come giocavano i bambini di più di mezzo secolo fa.

Mentre una ragazzina legge gli appunti vedo sguardi un po’ stupiti e un po’ increduli soprattutto nell’ascoltare una “strana” usanza, ritengo piuttosto diffusa allora, che consisteva nel regalare alcuni giocattoli in occasione del Natale, per poi farli magicamente scomparire qualche giorno dopo la festa e altrettanto magicamente farli riapparire un anno dopo come nuovi (anzi, a ben guardare, effettivamente nuovi).

La penuria di giocattoli (acquistati o abilmente confezionati dai genitori e dai nonni) non impediva ai bambini di giocare e di divertirsi all’aria aperta in tutte le stagioni.

Bastava una latta sormontata da un sasso, o pochi noccioli di pesca, o un pezzetto di mattone con cui tracciare il “mondo” e una pietruzza da lanciare, bastava una nottata invernale che lasciasse una scia di ghiaccio sulla strada o qualche stalattite da assaporare per passare un pomeriggio all’aperto e divertirsi.

Bastava poco ai bambini di allora, ma l’ingrediente che non poteva mancare mai era un gruppo di coetanei con cui giocare, non c’era bisogna di whatsapp per mettersi d’accordo bastava uscire di casa, non servivano lunghe trattative per decidere a cosa giocare e come passare il tempo, il tempo c’era e c’era la fantasia e c’era la voglia di stare insieme.

Probabilmente litigavano, cadevano e si sbucciavano le ginocchia, ma bastava un po’ d’acqua fredda per guarire tutte le ferite, consumavano merende non confezionate e bevevano l’acqua del pozzo, correvano a piedi nudi o con gli zoccoli, ma credo che non si annoiassero mai.

Moggio Ghiaccio

 

All’ombra della Madonnina.

Per antica tradizione  nessun edificio di Milano poteva superare l’altezza della Madonnina che svetta “dora e piscinina” sulla guglia più alta del Duomo, all’altezza di 108,5 metri, da lassù, con le mani aperte e lo sguardo rivolto al cielo ha, da sempre, il compito non facile di vegliare sulla città.

La torre Velasca e la torre Branca furono bloccate prima che osassero superarla, ma nel 1960, con la costruzione del grattacielo Pirelli, fu necessario portare una copia dell Madonnina fino all’altezza di 127 metri e il compito toccò al Cardinal Montini, allora arcivescovo di Milano, che poi sarebbe stato elevato al soglio pontificio con il nome di Paolo VI.

Con la costruzione del Palazzo Lombardia toccò al Cardinal Tettamanzi accompagnare una copia della statua fino a 161,3 metri di altezza.

Ora la quarta copia della Madonnina si arrampica sulla torre Isozaki, l’edificio più alto di Milano e di tutta la nazione e da lassù, con le mani aperte e lo sguardo rivolto al cielo, il simulacro dell’Assunta tanto caro ai meneghini continua a vegliare sulla città e sull’Italia.

Ma per me, e per i milanesi d.o.c., la “Madunina, dora e piscinina” è sempre quella che svetta sulla guglia più alta del Duomo e quando passo vicino alla cattedrale mi piace alzare lo sguardo e guardarla anche solo per un attimo e mi piace sapere che è là, serena e silenziosa, e che da lassù veglia sulla mia città.

Milano - Expo 2015

Dolore.

Ieri, in una giornata grigia, con un’atmosfera quasi sospesa, ho partecipato ad una visita guidata al Cimitero Monumentale, un vero e proprio museo a cielo aperto, dove si alternano sculture di Lucio Fontana, a edicole costruite da famosi architetti come Gio Ponti o Ulisse Stacchini, cappelle in stile eclettico o liberty e piramidi che ricordano quella di Caio Cestio.

Tra le prime sepolture, proprio vicino all’entrata, mi ha affascinato la tomba Bistoletti, sormontata da una scultura in bronzo intitolata “La casa del sonno” creata nel 1928 da Adolfo Wildt, un grande artista, maestro di Fontana, a mio parere ingiustamente poco conosciuto.

La scultura rappresenta due giovanetti, dai corpi quasi filiformi, con il capo appoggiato su di un tavolo, come se stessero dormendo, avvolti in un velo funebre .

Il volto di uno dei giovani, rivolto verso l’osservatore, è atteggiato in un angosciante urlo, che ricorda un po’ il celeberrimo  “grido” di Munch, nell’espressione del viso si legge un dolore disperato, cieco, chiuso, inconsolabile mentre le mani inerti raccontano inesorabilmente l’ineluttabilità della morte.

L’arte di Wildt è simbolica, evocativa, molto emozionante e penso  che valga la pena di conoscere meglio questo autore capace di esprimere, in modo così potente, il dolore assoluto.

Milano - Monumentale

Cuccioli.

Hanno voglia di parlare i miei ragazzi di prima media, sono come dei cuccioli spaventati che vorrebbero essere rassicurati e immaginano soluzioni fantascientifiche, vorrebbero trovare delle scorciatoie per risolvere in fretta (e possibilmente in modo indolore) una situazione che li rende inquieti, che li preoccupa.

Ingenuamente guardano la carta geografica appesa in classe, misurano le distanze (hanno imparato da poco la riduzione in scala) tra l’orrore e la tranquilla sicurezza delle loro case, della loro scuola, del parchetto e della palestra e cercano certezze.

No è facile parlare con loro, far comprendere la gravità  e la complessità della situazione senza trasmettere loro la paura, comunicare la bellezza della vita e la forza della speranza, parlare con serenità per far capire che si può essere sereni, parlare con amore per far capire che l’odio non porta da nessuna parte, aiutarli, come ogni giorno, a crescere un pochino, a diventare cittadini di questo mondo non facile.

Roddi (Langhe)

E’ ora di combattere.

Ho cambiato la mia immagine del profilo su Facebook perché la bandiera Francese mi metteva un po’ di tristezza (e poi quante bandiere dovremmo cambiare ogni giorno per ricordare le vite innocenti spezzate), ho preferito il quadro di Delacroix “La libertà che guida il popolo” perché mi sembra fortemente simbolico.

L’immagine rappresenta una donna, la Libertà appunto, che balza sulla barricata brandendo una bandiera francese, mentre intorno a lei si radunano combattenti provenienti dai più diversi strati sociali e di età molto diverse.

Con questo quadro non intendo dire che è ora di impugnare le armi, che ho sempre ritenuto non portino molto lontano, ma vorrei esprimere il mio desiderio di combattere con le sole armi che conosco e che sono l’intelligenza, la cultura, la tolleranza, il rispetto, la difesa, anche strenua, della libertà mia e di tutti gli altri, la compassione e la speranza e, per chi crede, la preghiera.

E’ ora che gli uomini “di buona volontà”, che non sono semplicemente “buonisti”, ma che sono coloro che vogliono “cose buone” per sé e per tutti gli altri uomini, si uniscano e non lascino spazi alla barbarie, all’odio, alla paura, ma facciano sentire la loro voce e compiano gesti di pace senza timidezze, senza indugi, senza farsi prendere  dal timore di essere considerati ingenui utopisti.

Guardiamoci intorno: noi che vogliamo la pace, l’armonia e la bellezza siamo di più.

E’ ora di venire allo scoperto.

liberta

 

Ecco perchè uscirò di casa.

Uscirò di casa e andrò a mangiare al ristorante, o andrò  al cinema, o a teatro, e mi tufferò nelle strade del centro piene di gente e andrò a visitare una mostra o una cattedrale, e salirò su un aereo o su di un treno e me ne andrò in vacanza in qualche paese lontano o visiterò una città d’arte piena di turisti, farò tutte queste cose se avrò voglia o tempo di farle e non sarà certo la paura ad impedirmi di vivere la mia vita come voglio e come preferisco.

Se chi sparge il terrore vuole rinchiuderci nelle nostre case e nella nostra paura, l’unica risposta possibile è continuare a vivere, continuare a lavorare, continuare a conoscere e ad amare, continuare a cercare armonia e bellezza.

Non accetto che qualcuno possa credere di arrogarsi il diritto di limitare la mia vita, di dirmi cosa pensare e in cosa credere, di costringermi in un cerchio di odio e di paura.

 

Una gran bella iniziativa.

Da ormai dieci anni il Touring Club Italiano ha avviato, grazie all’impegno e alla passione dei suoi volontari, una iniziativa che merita di essere conosciuta e valorizzata: l’apertura al pubblico di luoghi che altrimenti sarebbe difficile visitare a causa della carenza di risorse e di personale.

I volontari si impegnano a rendere accessibili i siti, ad accogliere i visitatori e a fornire, in molti casi, spiegazioni ed indicazioni utili.

L’associazione privilegia beni culturali che siano visitabili gratuitamente e che si trovino in località dove la presenza dei soci sia tale da permettere di trovare un numero congruo di volontari così da garantire un servizio continuativo e ben strutturato.

Penso si tratti di un’iniziativa molto utile, che permette di ampliare la conoscenza di un patrimonio culturale ed artistico ricchissimo, ma spesso poco conosciuto o trascurato.

Milano - Gennaio 2015