Tastiere.

Non riesco a decidermi ad acquistare uno smartphone anche perché continuo a pensare che uno smartphone, in fondo in fondo, non sia altro che un telefonino un po’ più complicato e, personalmente, tendo ad usare il telefonino solo per telefonare.

E poi mi succede uno strano fenomeno: quando cerco di digitare un messaggio sulla tastiera dello schermo i miei polpastrelli sembrano dilatarsi a dismisura, diventano rozzi e goffi e, alla fine, riesco solo a digitare sequenze illeggibili di consonanti, assolutamente inadatte a comunicare.

Sarà forse perché, quando ero una ragazzina, il massimo del “touch” era una “lettera 22” di seconda mano sulla quale ho imparato a scrivere, non senza qualche fatica, i miei compiti, le mie ricerche, i miei racconti che nessuno avrebbe mai letto.

Ci voleva un “fisico bestiale”  per riuscire a scrivere con una “lettera 22” (la macchina per scrivere di Indro Montanelli, Enzo Biagi e Alberto Moravia), bisognava pigiare con una discreta energia sui tasti, si poteva scrivere velocemente, ma non troppo velocemente, per evitare che i martelletti si incastrassero, bisognava ricordare che non c’era un tasto per il numero uno, ma si doveva digitare una “elle” minuscola, così come per scrivere uno zero bisognava pigiare sul tasto della “o” e poi c’era il dramma della carta carbone da infilare tra i fogli per ottenere delle copie e che io riuscivo a mettere sempre alla rovescia, per non parlare poi di quando si doveva sostituire il nastro usurato.

Eppure, benché fosse così scomoda, io adoravo la mia “lettera 22”, amavo il suono dei tasti e il tintinnio del campanello quando il rullo arrivava a fine corsa e tutte le tastiere su cui ho scritto in seguito mi sono sempre sembrate un po’ anonime, troppo silenziose e con poca personalità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.