Archivio mensile:Marzo 2015

Non di solo pane.

Mi ha colpito, stupito e commosso il racconto, bello quasi come una fiaba, dell’invito esteso a centocinquanta clochard che vivono intorno a San Pietro di visitare la Cappella Sistina aperta esclusivamente per loro.

Mi ha colpito perché, se è pur vero che chi vive per strada ha bisogno di cibo e di abiti confortevoli, è altrettanto vero che gli esseri umani non hanno bisogno solo del pane, ma anche di accoglienza e di dignità e l’invito a godere dell’infinita bellezza degli affreschi di Michelangelo ha proprio questo significato.

Non riesco neppure ad immaginare lo stupore, la gioia, l’incanto di quelle persone davanti al Cristo possente che leva il braccio a separare i buoni dai malvagi, i salvati dai dannati e la loro commozione nell’ammirare le dita di Adamo e di Dio che si sfiorano nell’atto della creazione, ma so per certo che l’arte di Michelangelo ha parlato anche ai loro cuori e alle loro menti.

I grandi artisti del passato affrescavano cattedrali, narrando le storie dell’antico e del nuovo testamento, creando opere immortali grazie all’impulso di grandi committenti, di papi o di alti prelati o di ordini religiosi o di aristocratici e borghesi ricchissimi, ma poi le opere restavano lì, sulle pareti, offerte agli occhi di tutti, dei ricchi e dei poveri, dei colti e degli ignoranti, e a tutti insegnavano (e insegnano) qualcosa  con il loro linguaggio universale.

Non è necessario aver studiato per lasciarsi affascinare dalla bellezza che sa trasmettere la parola di Dio e il suo infinito amore per l’Uomo.

roma

Luce e vento.

Dopo una settimana di pioggia e nubi vaganti, grigia e triste come una giornata di noia, questa mattina il sole è spuntato trionfante là all’orizzonte, una grande sfera di fuoco che ha colorato di luce la mia cucina mentre il primo caffè della giornata brontolava sul fuoco.

Poi, via via che le ore scorrevano, si è levato un vento teso, un vento di marzo che ha ripulito il cielo trascinando le nubi lontano e scoprendo le montagne bianchissime là sullo sfondo.

E poi, verso sera, il vento ha donato lo spettacolo stupendo di un tramonto lentissimo e sereno, un tramonto pieno di luce e di luci, di stelle brillanti e di guizzi di fuoco nelle vetrate delle case.

Mentre tornavo a casa mi sono lasciata avvolgere dall’aria pulita e dalla luce limpida e ho ritrovato in fondo al cuore un po’ di gioia, un presagio di primavera e di vita e ho sentito di nuovo il cinguettio degli uccelli e il fruscio dei rami ancora spogli  e delle foglie nuove di un verde tenero.

Cavenago Foppe Marzo 2015

Lauree e laureati

Ogni tanto, vagando sui social network, mi capita di imbattermi nelle foto di qualche ex allievo neo laureato, sorridente, incoronato da un serto d’alloro (laureato appunto), circondato da frotte di amici gaudenti e parenti commossi.

Poi capita che sul tavolo dell’aula professori compaia una vezzosa bacinella ricolma di confetti rossi, segno che qualche tenero virgulto ha finalmente raggiunto l’agognata meta fregiandosi dell’altisonante titolo di “dottore”.

Immagino grandi festeggiamenti, congratulazioni, regali più o meno faraonici.

Io mi sono laureata in un lontanissimo e caldissimo quattro luglio di pomeriggio, con una gonna leggera e una camicetta di lino, senza tanto pubblico: c’era mio fratello (i miei genitori non pensavano fosse importante la loro presenza) e qualche compagno di studi che aveva condiviso con me il faticoso percorso dell’istituto di filologia classica.

Dopo la proclamazione e la stretta di mano dei docenti mi ricordo che sono uscita un po’ stordita dall’aula e sono stata abbracciata da compagni e compagne che mi hanno rifilato un mazzo di fiori e una scatola con i biglietti da visita dove il mio nome era preceduto dall’altisonante “Dott.”

Poi, senza neanche bere un caffè insieme, ce ne siamo tornati a casa giusto per l’ora di cena e abbiamo festeggiato con una torta gelato (era luglio, appunto, e faceva caldo).

Sicuramente la mia laurea (e quella di mio fratello) è stata un po’ più “spartana” rispetto ai festeggiamenti che ora accompagnano il fausto evento,in fondo  i miei genitori avevano sempre sostenuto che avevo solo “fatto il mio dovere” (come, del resto, per tutti gli altri numerosi esami della mia vita scolastica).

Probabilmente l’unica cosa che avevo in comune con i laureati di oggi e quell’improvvisa sensazione di vuoto, quello svegliarsi al mattino senza dover pensare a libri ed esami, quel sentirsi felici, ma un po’ smarriti.

Milano - Centro

 

Sole nero.

Quando il sole si nasconde è inutile che ci sforziamo di essere razionali e “moderni”, certo ci hanno spiegato che l’eclissi è un fenomeno astronomico, certo nessuno di noi crede che le tenebre si stiano mangiando il sole, ma la luce che si fa all’improvviso crepuscolare comunque mette un po’ di inquietudine e ci ritroviamo con il naso all’insù a scrutare il cielo proprio come i nostri più remoti antenati.

Eclissi di sole

Chi va per musei.

Chi va per musei, anche chi lo fa occasionalmente, magari intruppato in un gruppo organizzato, magari perché spinto dalla curiosità suscitata da una trasmissione televisiva o  da un articolo di giornale, ha comunque una caratteristia partiolare: si tratta di persone che vogliono conoscere, capire, imparare.

Si tratta di persone pacifiche e civili perché  chi vuole conoscere, capire, imparare difficilmente si fa prendere dal pregiudizio e dall’intolleranza, difficilmente nei contrasti usa armi diverse dalle parole e dal ragionamento.

Colpire persone così, proprio all’interno di un museo, è una violenza se possibile ancora più cieca e intollerabile di tante violenze che ci vengono mostrate ogni giorno.

Non sono mai stata a Tunisi, ma avrei voluto visitarla, come tanti luoghi del Mediterraneo, magari durante una crociera attirata soprattutto dalla splendida collezione di mosaici romani conservata nel Museo Nazionale del Bardo.

Sicuramente se fossi stata su quella nave, anch’io oggi avrei visitato il Bardo.

Nessuna giustificazione.

Non hanno giustificazioni i ragazzi ripresi nel filmato (condiviso orgogliosamente sui social network) mentre dileggiano ed insultano l’insegnante seduto in cattedra costringendolo ad allontanarsi dalla classe.

Non hanno giustificazioni perché in nessun caso si può attaccare così pesantemente la dignità di un essere umano e  di un lavoratore.

Ma al di là i questo gravissimo aspetto c’è un’altra considerazione che mi sembra fondamentale: lo studente o gli studenti che con il loro comportamento disturbano le lezioni derubano i loro compagni, pochi o tanti che siano, che hanno intenzione di  imparare qualcosa, del loro diritto all’istruzione e privano sé stessi dello stesso diritto.

Forse la nostra scuola è allo sbando, forse non è idonea a preparare gli studenti al mondo che li aspetta, ma rinunciare  a priori all’opportunità di imparare perché è più divertente trascorrere le ore di lezione senza combinare nulla è stupido e stupidamente costoso, per le famiglie e per lo Stato.

I ragazzi dovrebbero rendersi conto che frequentare una scuola è un privilegio negato a molti loro coetanei in altre parti del mondo, dovrebbero impegnarsi  a non perdere tempo,  a cercare di sfruttarlo al massimo, a sfruttare al massimo i loro insegnanti, a pretendere professionalità e competenza e a rispettare il lavoro dei docenti e dei compagni.

Ma questo forse è solo un sogno.

Solo un sì.

Negli ultimi mesi ho spesso pensato alla delicata situazione del medico che, poco dopo la morte i mio marito, ha “dovuto” chiedere a mio figlio e a me, ancora storditi e profondamente addolorati, se intendevamo autorizzare l’espianto delle cornee.

E’ stato doloroso per noi e per lui anche se non è stato difficile decidere (mio marito era una persona buona e generosa e siamo certi che non si sarebbe opposto), ma spesso mi sono chiesta quanto sarebbe stato più semplice e meno triste per tutti se avesse potuto manifestare prima questa inclinazione (in realtà ci avevano detto, ora so erroneamente, che la sua forma tumorale rendeva praticamente impossibile la donazione di organi e tessuti).

Per l’esperienza che ho vissuto mi sento di invitare tutti coloro che pensano di fare questa scelta generosa e gratuita di manifestare la propria intenzione per tempo, quando si sta bene, quando il timore della malattia e della fine che si avvicina non riempiono il cuore e la mente di angoscia.

Per tutte le informazioni è possibile dare un’occhiata a questo sito.

Permettere a qualcuno che non conosciamo di continuare a vivere è il dono più bello.

Cavenago - Fiori

La buona scuola.

Dopo un pomeriggio di lavoro di gruppo per elaborare una prova per la valutazione delle competenze con colleghi che insegnano nelle diverse scuole dell’istituto comprensivo (dall’infanzia alla secondaria), con percorsi di formazione  diversi,  con età diversissime (dalla mia veneranda in giù)  sono tornata a casa soddisfatta.

Abbiamo condiviso esperienze e metodi di lavoro diversissimi, ma originali e creativi e, come sempre in queste occasioni, ho portato a casa tanti spunti, tante idee che utilizzerò nel mio lavoro quotidiano.

Questa classe docente così bistrattata, da alcuni giudicata demotivata e insufficiente in realtà dimostra di saper realizzare la “buona scuola” senza tante riforme e senza molti mezzi, abituata com’è a celebrare le nozze con i fichi secchi praticamente da sempre.

Questa classe docente dimostra di saper lavorare con passione, con fantasia, cercano strategie sempre nuove perché l’insegnamento ripetitivo annoia più gli adulti che i ragazzi.

Spero solo che questo immenso patrimonio di conoscenze, di competenze e di esperienze, spesso misconosciuto e sottovalutato, non vada perduto “come lacrime nella pioggia”.

Sprizzottolo

La torre Branca.

Ci vuole una giornata serena per salire sulla Torre Branca, ma non ci deve essere troppo vento altrimenti l’ascensore viene fermato dai responsabili dell’impianto.

Così dopo alcuni tentativi sfortunati (una domenica limpidissima, ma molto ventosa e una domenica con calma di vento, ma nebbia in Val Padana) oggi siamo riusciti ad arrampicarci fino ai 108 metri della torre, pigiati in un ascensore microscopico e dall’effetto un po’ claustrofobico.

Da lassù Milano è ancora più bella, con i suoi grattacieli lucidi lucidi, con il Castello Sforzesco che sembra quasi un giocattolo e l’Arco ella Pace minuscolo in un angolo, con il Duomo che si innalza bianco e maestoso sopra i tetti egli edifici del centro.

Guardo laggiù, ai bordi del Parco Sempione il grande luna park con la gente in fila per salire sulle varie attrazioni e ho l’impressione di essere salita sulla giostra più emozionante.

Milano - Torre Branca

Non sono (solo) una donna.

In un tripudio di mimose mi sento sempre più a disagio, a disagio per una festa che è diventata l’ennesimo motivo per uscire a cena, per vendere qualche fiore in più, per riempire trasmissioni televisive di parole che suonano posticce.

Non mi piace pensare di avere meriti o privilegi solo perché sono una donna, non mi piace l’idea di essere apprezzata (o disprezzata) perché sono una donna, ma perché sono io, sono una persona dotata di pregi e di difetti, come tutti del resto.

Se mi viene da piangere mi piace pensare che sarebbe la stessa cosa se fossi un uomo,  se mi impegno in tutto quello che faccio non mi piace l’idea che si pensi che lavoro sodo “come un uomo”, mi piace affrontare i problemi e risolverli, alcune cose mi vengono bene, altre meno, ma non ha molto a che fare con il fatto di appartenere al genere femminile singolare, ha a che fare con me e con come sono fatta io.

Non è vero che “se il mondo è una favola è grazie alle donne”, come recita una pubblicità “a tema” in onda in questi giorni, il mondo è una favola perché ci sono uomini e donne da favola e se non lo è la responsabilità  va equamente divisa tra i generi.

Regalateci pure la mimosa, ma ricordate che le donne sono donne tutto l’anno, così come gli uomini, e che non servono privilegi e pari opportunità, non servono discorsi di circostanza pieni di buone intenzioni.

Basterebbe riconoscere a ciascuno, uomo o donna che sia, la dignità di essere umano.

mimosa