Tornare al futuro.

Il 2015 è iniziato da poche ore, il mitico 2015 nel quale veniva catapultato il giovane Marty Mcfly che, dopo il viaggio nel 1955, si trovava nell’impellente necessità di recarsi nel futuro per sistemare qualche improbabile frattura nel continuum temporale.

Certo oggi non abbiamo skateboard o auto volanti che si muovono usando rifiuti come carburante, il futuro sembra un po’ meno avveniristico di come lo immaginavano i creatori della celebre trilogia, in compenso avremo Expo e un cielo popolato da ronzanti droni manovrati da ragazzini non molto esperti (ho vissuto il brivido di un incontro ravvicinato con uno di questi u.f.o. proprio il giorno di Natale).

Come già era successo con il 2001, così diverso dal mondo immaginato da Kubrick, il futuro, nell’immaginazione di scrittori e sceneggiatori è l’ “undiscovered country” che, quando è ancora lontano, offre la possibilità di scatenare la fantasia, di sognare invenzioni e scoperte, di proiettare desideri e paure.

Poi, quando il futuro arriva, magari scopriamo che è un po’ più “normale”, un po’ più banale, un po’ più rassicurante.

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