Archivio mensile:Dicembre 2014

La porta chiusa.

Tra poche ore chiuderò definitivamente la porta su questo 2014.

E’ stato un anno difficile, trascorso per buona parte accanto ad un letto d’ospedale, in un’altalena crudele di speranze e di tristezza, ma è stato anche un anno bellissimo, l’ultimo anno insieme, gli ultimi giorni strappati alla malattia, gli ultimi giorni donati, come donati sono stati tutti gli attimi trascorsi dal giorno terribile della prima diagnosi, nel gennaio del 2004.

Se proprio devo fare il bilancio di questo anno che sta per chiudersi allora mi piace considerarlo così, come un dono.

Tuttavia non riesco a fare progetti o buoni propositi per il 2015, perché ormai da sempre ero abituata a progettare un futuro insieme e, anche se mi sforzo di attrezzarmi, non riesco ancora ad immaginare una realtà diversa.

Ci sarà il mio lavoro, sicuramente, forse ci sarà il desiderio di ritrovare legami e luoghi che avevo forzatamente trascurato, forse ci sarà anche la possibilità di donare un po’ di tutto quel tempo libero che ora devo imparare a gestire.

Spero che il prossimo anno sia comunque sereno e ricco di possibilità.

Questo è l’augurio che faccio a me stessa e a tutti: buon 2015.

Milano - Centro

 

Dopo la neve.

Dopo una nevicata  mi piace uscire di casa, anche se il freddo è pungente, anche se la notte scende troppo presto, mi piace camminare sulla neve fresca, morbida, dove si affonda senza rumore, mi piace spingermi fuori dal paese, dove i fanali disegnano la neve di geometrie luminose, dove i rari edifici sembrano pezzetti di un presepe sul quale qualcuno ha adagiato una coltre di bambagia, proprio come facevo io da bambina, quando volevo ricreare un paesaggio suggestivo dove inserire la grotta di Betlemme.

Cammino lentamente, facendo attenzione, un po’ perché non vorrei fare un capitombolo e un po’ perché mi piace camminare lentamente e assaporare il gusto del silenzio.

Moggio

La neve all’improvviso.

Questa mattina ho aperto le persiane e. all’improvviso, ho visto la neve, piccoli fiocchi leggeri che danzano nell’aria e si posano, delicati e quasi indifferenti sui rami spogli, sulle foglie secche, sulle piante del mio balcone che non si sono ancora decise al riposo invernale.

Non è una nevicata seria, sembra una spolverata di zucchero impalpabile, ma io resto incantata davanti ai vetri a guardare, con un’allegria dentro che mi riporta all’infanzia quando una nevicata prometteva ore ed ore di gioco sul campetto dietro casa con i miei sci di legno che, allora, pesavano più di me.

Resto lì e scopro, con una infinita dolcezza, di ripetere i gesti che faceva mio marito che, ai primi fiocchi di neve, si piazzava davanti alla finestra e non si muoveva, quasi li volesse incitare a non smettere, a infittirsi, a ricoprire di un manto candido il bosco.

Vorrei che fosse qui, ma forse, in fondo in fondo, è proprio qui ad osservare con me la prima nevicata dell’inverno e io, per un attimo, non provo più tristezza.

Valsassina.

Passeggiando per Milano.

E’ da tantissimi anni che non mi capitava di trascorrere a Milano il pomeriggio del giorno di Natale, ma ieri, un po’ per uscire di casa (e dal paese), un po’ per fare compagnia ai miei zii che altrimenti avrebbero trascorso la giornata da soli, abbiamo deciso di andare in città.

Dopo aver mangiato insieme una fetta di panettone (come nella migliore tradizione meneghina) siamo usciti per andare a fare un giro dalle parti di Porta Nuova e dell’Isola.

Piazza Gae Aulenti era piena di gente che passeggiava per il mercatino natalizio ancora allestito e si soffermava incuriosita a guardare i giocatori di curling cimentarsi sul ghiaccio.

Abbiamo passeggiato volentieri, anche per via del clima quasi primaverile, ammirando le architetture che si stagliavano nel cielo limpido, illuminate da decorazioni natalizie, abbiamo chiacchierato riscoprendo la gioia di stare insieme, di ritrovare, nel vecchio quartiere dove abitavamo quando ero bambina, vie, personaggi e storie che ormai hanno un sapore quasi mitico, poi, al calare delle prime ombre, ci siamo incamminati verso la stazione del metrò per far ritorno a casa.

Lungo la strada mi ha colpito la mole dei grattacieli che sembrava un fondale posticcio dietro le vecchie case del quartiere.

Che strano Natale!

Milano - 25 Dicembre 2014

La forza delle parole.

Tante volte, di questi tempi, ma anche in passato, ho avuto la tentazione di chiudere questo blog, su cui scrivo ormai da più di otto anni, un po’ per stanchezza, ma soprattutto perché, di tanto in tanto, ho l’impressione che in fondo non serva a molto né a me, né alle persone che passano di qui.

Ma poi ci ho ripensato perché, soprattutto in giornate come ieri, mi sono resa conto che sforzarmi di cercare le parole per esprimere ciò che ho dentro e che non riesce a prendere forma, ma che lascia una scia di dolore, aiuta.

Ogni parola risuona dentro di me, nella mia mente e nel mio cuore, e mi permette di dare un nome a ciò che non vorrei vedere e nel momento in cui riesco a chiamare i miei fantasmi per nome trovo la forza per comprenderli, per affrontarli, per accettarli.

Io vivo e lavoro di parole, ma raramente mi ero resa conto della loro potenza evocativa, della loro capacità di descrivere e circoscrivere la realtà, di renderla comprensibile ed accettabile.

Per questo continuerò ad usare le parole, per me e per tutti coloro che vorranno ascoltarle.

Un augurio di un sereno Natale a tutti.

Moggio - Presepe

Silenziosamente.

Silenziosamente mi è scivolato dentro un senso di vuoto che non conoscevo, proprio oggi che è la vigilia della festa più amata: è come un dolore sordo che mi pesa sul cuore e se ne sta lì, continuo.

Me lo avevano detto in molti e anch’io me l’ero ripetuto, ma ora che il Natale è alle porte sento dentro tutto il peso del distacco,  come un singhiozzo trattenuto, come una voglia di pianto che non si decide a liberarsi.

Ci saranno altri giorni e altri momenti per il sorriso e la gioia, ma ora vorrei che questi giorni sparissero dal calendario, che questa pena passasse come in un sogno, vorrei risvegliarmi alla vita quotidiana, piena di lavoro e di problemi, piena delle mille incombenze che, da sole, bastano a stordire e a mettere in un angolo il dolore che, pure, non cessa.

Ed è un dolore per ciò che poteva essere e non sarà più.

Ora uscirò per strada, incontrerò persone a cui volentieri farò i miei auguri e parlerò di speranza e di felicità, ma so già che non riuscirò a scacciare la sensazione di un ago spezzato nel cuore.

Cavenago di Brianza - cielo e nuvole

 

 

Nonni in festa.

La settimana che precede il Natale, nella casa di riposo dove vive mia madre, è tutta un susseguirsi di festeggiamenti: di solito si comincia con i piccoli della scuola dell’infanzia che inanellano canzoncine natalizie con tanta grazia da mandare gli anziani ospiti in brodo di giuggiole.

E poi ci sono grandi tombolate, presepi viventi, concerti corali e strumentali ai quali gli ospiti partecipano con un entusiasmo quasi infantile, sorseggiando cioccolata calda e abbuffandosi di dolcetti (sottraendosi una volta tanto  al rigoroso controllo della glicemia).

Il clou della settimana è il grande pranzo di Natale, che di solito si svolge la domenica precedente la festa, durante il quale i nonni si riuniscono a tavola con i loro cari.

Ieri eravamo in sei a tavola con mia madre, intenti a demolire quantità significative di antipasti appetitosi, di polenta con il gulasch, di frutta secca e di salame di cioccolato e lei, mentre ripuliva coscienziosamente i piatti, ascoltava incantata i nostri discorsi, beandosi della nostra presenza che, purtroppo, può percepire solo dal suono delle voci.

Abbiamo pranzato con calma, chiacchierando di tante cose, contenti solo di stare insieme.

Natale è (anche) un ricordo.

Natale è il ricordo di mio padre che, alla sera della vigilia, convince un negoziante a riaprire il suo negozio di giocattoli per potermi regalare, al mio primo Natale, un cagnolino di stoffa (con il quale avrei condiviso le mie giornate e i miei giochi per molti anni): logicamente non si tratta di un ricordo “mio”, ma di una storia che i miei genitori mi raccontavano spesso.

Natale è la bambola con il viso di porcellana e gli occhi che si aprono e chiudono, abbigliata con un elegante vestitino azzurro, tutto balze e pizzi, dello stesso tessuto del vestitino che mi aveva regalato una prozia abilissima sarta (che, naturalmente aveva cucito gli indumenti identici per me e per la mia adorata bambola).

Natale è un quaderno dalla copertina azzurra pieno di versi d’amore, impacchettato insieme ad un anellino d’oro, sottilissimo, che rappresenta un nodo: lo steso anellino che porto ancora al mignolo della mano sinistra, proprio vicino alla fede.

Natale è mio marito, sdraiato per terra, impegnato a montare un complicatissimo trenino elettrico prima che nostro figlio si svegli.

Natale è aprire regali ancora in pigiama e fare colazione tardi.

Natale è il ricordo di tanti gesti d’affetto, di tanta gioia di stare insieme, di calore e luce, di sorrisi e tenerezza.

Sono questi ricordi, ne sono sicura, che accenderanno di luce e calore anche “questo” Natale.

Moggio Dicembre 2012

Un po’ più buoni.

Oggi, all’ufficio postale, un signore incastrato dietro di me in una coda chilometrica, tra lo sbuffare generale e i brontolii un po’ ringhiosi degli astanti, ha sussurrato “E’ Natale: dobbiamo essere tutti un po’ più buoni”, mentre procedevo (lentissimamente del resto) nella coda riflettevo tra me e me sul significato di quel “essere buoni”.

I bambini “devono” essere buoni altrimenti Babbo Natale (o Santa Lucia, o la Befana) porterà solo carbone (che se è quello di zucchero è buono comunque).

La bontà, però, non è una virtù da bambini e non è neppure il barile di appiccicosa melassa che ci avvolge in questi giorni, la bontà va coltivata giorno per giorno, non solo a Natale, e si può chiamare con tanti nomi: può essere l’attenzione agli altri, il rispetto per le esigenze altrui, il desiderio di pace e giustizia.

Saremo buoni (non solo a Natale, ma sempre) non se ci laveremo la coscienza con qualche regalo ben infiocchettato o con una donazione a questa o quella associazione di volontariato, ma se sapremo scorgere negli altri la tristezza, la solitudine, il disagio o anche solo il desiderio di un po’ di calore e se sapremo donare un sorriso, uno sguardo non distratto, un minuto perso per scambiare quattro parole, un gesto gentile nei confronti di chi ci circonda, un po’ di empatia, un po’ di compassione.

La bontà, in fondo, è una virtù semplice da praticare, basta poco, ma ci rende simili agli angeli.

stelle di natale

 

Per strada.

Capita, girando per le vie del centro, intorno al Duomo o verso il Castello Sforzesco, di imbattersi in mimi, abbigliati con costumi fantasiosi, musicisti (alcuni dei quali veramente gradevoli) e personaggi impegnati in numeri di destrezza, giocolieri.

Sono gli artisti di strada che spesso attirano la curiosità dei passanti che si soffermano, assistono al breve spettacolo e, magari, depongono qualche monetina nel cappello lasciato, quasi casualmente, sul selciato.

Qualche giorno fa, mentre sulla città scendevano le prime ombre della sera, la mia attenzione è stata attirata da un bagliore che illuminava una piccola folla disposta a semicerchio.

Mi sono avvicinata anch’io e sono rimasta stupita nel vedere un gruppo di giocolieri che eseguivano i loro esercizi con il fuoco.

Mi è sembrato uno spettacolo d’altri tempi, quasi medievale, uno spettacolo che avevo visto, tanti anni fa, nello spazio intorno al Beaubourg a Parigi e che, anche allora, mi aveva affascinato per il suo sapore un po’ antico.

Mi sono soffermata, attirata dal fuoco  e dall’abilità dei ragazzi che disegnavano arabeschi luminosi nel buio che ormai avvolgeva la piazza, incantata, stupita di uno stupore quasi infantile.

Come non lasciare una monetina nel cappello?

Milano centro (Natale 2014)