Archivio mensile:Novembre 2014

L’aria del Natale.

Un tempo, quando ero bambina (ma anche più tardi) l’aria del Natale arrivava tutta d’un tratto, nei giorni tra Sant’Ambrogio e l’Immacolata, allora Milano si accendeva di luci, riflesse nel selciato umido di pioggia e di nebbia, mentre il buio scivolava presto sulla città e avvolgeva le strade affollate di gente frettolosa e freddolosa.

Le vetrine si vestivano di colori brillanti, soprattutto il rosso, e splendevano di luci e lustrini, di rami d’abete coperti di neve ingenuamente posticcia.

Nelle domeniche tra Sant’Ambrogio e la Vigilia i negozi restavano aperti per consentire gli acquisti (che allora non si chiamavano shopping) ed anche quello contribuiva a creare l’atmosfera del Natale, quel clima un po’ particolare di festoso vagabondare per le vie del centro interrotto solo da una sosta dolcissima alle “Tre Gazzelle“: una cioccolata con la panna (mia nonna la chiamava “melange“) che aveva il profumo dell’inverno.

E poi c’era la “Fera di oh bej! oh bej!” che allora consisteva in poche bancarelle colorate e luminose addossate alla grande Basilica: si trattava di un appuntamento irrinunciabile per l’acquisto delle figurine di gesso che andavano ad arricchire il nostro presepe e delle decorazioni in fragilissimo vetro soffiato per l’albero che avremmo cominciato a decorare il giorno seguente.

Per me l’aria del Natale ha ancora il profumo di cioccolato, di zucchero filato, di croccante alle mandorle e di torrone.

Oggi che i negozi sono sempre aperti e le luminarie compaiono già a metà novembre ho l’impressione che l’atmosfera natalizia si sia un po’ sfilacciata, stiracchiata tra i saldi estivi e i saldi invernali, come se Natale fosse quasi tutto l’anno.

Troppo Natale forse rischia di cancellarne la magica unicità.

Robbiate

 

Tacchinarie.

Domani gli Stati Uniti festeggeranno il “Giorno del Ringraziamento” (per gli anglofoni “thanksgiving”) e, come è tradizione, tutte le tavole, tranne ovviamente quelle dei cittadini vegetariani e vegani, saranno imbandite con un troneggiante tacchino.

Come è tradizione, probabilmente dai tempi di Kennedy, il Presidente grazierà un tacchino che riuscirà così a sfuggire ad una fine gloriosa quanto cruenta.

La novità di quest’anno consiste nel fatto che la scelta tra i candidati su chi avrà la fortuna di sfuggire al forno non sarà operata dal Presidente o da qualche membro più o meno celebre dello staff, ma dalla rete, sì proprio dall’insieme di persone che popolano i social network e che, a parere di alcuni, sono gli unici depositari della democrazia diretta.

Si può dire che tra “Popcorn” e “Caramel” (così si chiamano i tacchini) assisteremo a delle vere e proprie primarie o, per meglio dire, “Tacchinarie”.

Potenza della rete!

Se hai un kuore.

Lo confesso: anche se frequento (non moltissimo) i social network sono veramente poco “social”.

Condivido poco e solitamente solo contenuti di mia produzione (come i post di questo blog) o qualche frase o immagine che trovo geniale, che possa far riflettere o anche solo sorridere, ma capita veramente raramente.

Anche con i “like” sono particolarmente parsimoniosa e commento solo quando ho qualcosa da dire (come, del  resto, mi sembra più che ovvio).

Non sopporto, invece, la pletora di post di contenuto strappa-lacrime della serie: bimbi malati, gattini spelacchiati, paesaggi deturpati  e altre fonti di indignazione assortite che vengono condivisi a profusione e che ottengono vagonate di “like”.

A parte il vaghissimo odore di “bufala” che ho sempre l’impressione di percepire spesso mi chiedo a cosa servano certi post.

Servono forse a sollevare un problema? Servono a portare a conoscenza di moltissimi una situazione critica? Servono a provocare indignazione, compassione, partecipazione emotiva?

Va bene, e poi?

Basta un “like” per esternare il proprio impegno, il proprio desiderio di cambiare?

Ci sono situazioni davanti alle quali possiamo reagire in modi differenti: restare indifferenti, rimboccarci le maniche e cercare di trovare una soluzione oppure, più semplicemente, cliccare su “mi piace”, magari condividere e commentare e poi passare ad altro.

“Se hai un kuore, Kondividi” (scritto proprio così: con le “K”) non serve a molto, non contribuisce a salvare vite umane e, personalmente, mi provoca un attacco di orticaria.

 

Go Samantha, go!

Alle 22,01, puntuale come un orologio svizzero,  la Soyuz Tma-15M è partita dalla base di Baikonur (in Kazakistan), con a bordo tre astronauti fra i quali una giovane donna italiana, ingegnere meccanico e capitano dell’aeronautica militare, milanese di nascita, ma originaria del Trentino: Samantha Cristoforetti.

Mentre la navetta spaziale vola nello spazio verso la Stazione spaziale internazionale  provo a immaginare il suo cuore.

Immagino la pacata soddisfazione per aver realizzato un sogno (diventare astronauta e decollare dalla stessa base da cui partì Gagarin un po’ di soddisfazione la procura sicuramente), il legittimo orgoglio per essere la prima italiana lassù, la calma consapevolezza delle proprie capacità e della serietà dell’addestramento, ma anche, perchè no, il gioioso stupore alla vista dello spazio e forse un po’ di nostalgia per il nostro bellissimo pianeta azzurro che si allontana.

In poche ore la navetta raggiungerà la stazione internazionale ed avrà inizio una missione di alcuni mesi in cui i effettueranno esperimenti sulla fisiologia umana, analisi biologiche e la stampa di oggetti 3D in assenza di peso.

Per ora che dire?

Vai Samantha e porta lassù anche il tuo essere donna e (perchè no?)  anche il tuo essere italiana.

Tramonto al Cantello
 

Il cuore delle donne.

Uno studio medico recente ha messo in luce un aspetto che le donne conoscono da molto tempo, anche se confusamente e in modo empirico: il cuore delle donne sarebbe più fragile di quanto non si pensasse e risentirebbe maggiormente dello stress, soprattutto dopo la menopausa.

Ma questo, dicevo, le donne lo sanno già, proprio perché in tanti momenti della vita si rendono conto di  essere sottoposte ad una pressione fortissima, soprattutto in tempi come quelli che viviamo nei quali sulle donne pesa gran parte del lavoro di cura di bambini, anziani e malati, nei quali ai mille problemi del lavoro in casa e fuori casa si somma la preoccupazione di far quadrare un bilancio familiare sempre più magro e tutto ciò va conciliato con l’imperativo di essere sempre efficienti e (apparentemente) serene.

E’ un cuore grande, quello delle donne, dove sembra ci sia spazio per tutto, per i compiti dei figli, per le  visite mediche dei nonni, per le camicie perfettamente stirate del marito e per i mille momenti della vita di ogni giorno in cui una donna si mette in gioco, il cuore delle donne è abituato a reagire a mille sollecitazioni, alla paura, al dolore, alla rabbia impotente, alla frustrazione, alla stanchezza (non solo fisica), al senso di vuoto, al fallimento, ma ogni tanto non ce la fa più.

D’altra parte riuscire a sfuggire allo stress quotidiano è forse l’unica cosa che queste macchine da guerra, che sono le donne, non sanno (e forse non vogliono) fare.

Malpaga

All’alba.

Quando comincio a lavorare alla prima ora e devo arrivare a scuola prima delle otto mi alzo presto, prima che si levi il sole poi, quasi in stato comatoso, mi trascino fino ai fornelli e preparo un caffè, poi, mentre sorseggio la bevanda calda, la sola che ha l’incredibile potere di svegliarmi completamente, indugio a osservare il cielo, quasi a cercare di trarre auspici per la giornata che sta per iniziare.

Da buona lombarda in novembre mi aspetto la nebbia che avvolge gli alberi spogli o, al massimo, un velo di bruma impigliato tra i rami, mi aspetto albe uggiose e grige come quelle che mi accoglievano quando zampettavo frettolosa e freddolosa verso l’autobus che mi avrebbe portato a scuola a Monza.

Oggi, però, ad un primo sguardo mi sono incantata, il cielo era limpido, percorso da nuvole brillanti di luce: una vera e propria esplosione di luci e colori.

Forse la giornata non è stata serena e tranquilla come l’alba che la preannunciava, ma è comunque un gran bel modo di cominciare.

Cavenago di Brianza - Alba
 

Una volta tanto.

Non capita spesso che il nostro Paese riceva un riconoscimento internazionale per l’innovazione, per la sostenibilità di un progetto, per l’integrazione dell’edificio realizzato nel contesto urbano oltre che per la “bellezza” dell’idea, ma quando succede è proprio il caso di essere orgogliosi.

Il “Bosco Verticale”, la coppia di torri residenziali che sorge nell’area di Porta Nuova a Milano, tra via De Castillia e Via Confalonieri (nel cuore della mia amatissima Isola) si è aggiudicato l’International Highrise Award, il prestigioso riconoscimento internazionale che, ogni due anni,  premia il “grattacielo più bello del mondo”.

Personalmente mi piace molto l’idea di realizzare degli edifici dove la vegetazione trova uno spazio privilegiato, dove esseri umani e alberi vivono vicini vicini e tutte le volte che passo da quelle parti mi incanto ad ammirare l’eleganza degli alberi che spuntano dai balconi e sembrano quasi arrampicarsi lungo le pareti.

L’ importante riconoscimento al “Bosco Verticale” afferma l’abilità tecnica e artistica  dei nostri progettisti che sanno ideare e realizzare  opere degne di competere nel mondo e di raccontare al mondo la nostra cultura. la nostra civiltà e la nostra capacità di creare bellezza.

Milano - Grattacieli

Il grande fiume.

Il grande fiume ha superato gli argini golenali e scorre lungo l’argine maestro, limaccioso e tremendo, il suo rombo lontano e sordo mette paura, una paura antica, la paura dell’uomo che si sente piccolo, piccolo al cospetto della forza della natura.

Nei racconti di Guareschi, ambientati proprio in queste terre, il grande fiume, il Po, è sempre presente con le sue acque, che non sono buone e non sono cattive, ma che possono diventare buone o cattive, e scivola maestoso o veloce lungo campagne ricche di stalle, paesetti  stretti intorno ai loro campanili, vite legate da amicizie e rancori, da sentimenti forti come le acque del fiume.

A Brescello, proprio come in una storia di Guareschi, il parroco ha portato in processione  il Crocifisso, quel Crocifisso che parlava bonariamente a  Don Camillo, quel Crocifisso che anche il  protagonista di tanti racconti aveva portato, sulle sue spalle possenti, fino sull’argine per benedire il fiume.

E’ una devozione antica, che forse sfiora la  superstizione, ma che può aiutare a reggere in un momento difficile, quando bisogna combattere la paura, mentre il fiume, laggiù, comincia lentamente a decrescere.

Brescello

Grandeur.

Non ci sta il sindaco di Parigi alla bocciatura del progetto di un grattacielo triangolare nel cuore della città, un grattacielo (finalmente) dopo la Tour  Montparnasse che risale ormai al lontano 1972 (e che è anche un po’ defilata), un grattacielo per stare al passo (per esempio) con Londra, una città sempre in costruzione come un enorme cantiere, o con Berlino, la capitale che si è ritrovata come per magia una lunga striscia edificabile attraverso la città.

Il consiglio comunale della ville lumière ha bocciato il progetto considerato inutile e troppo invasivo nel panorama della città.

In fondo, però, anche nel 1889 il progetto della Tour Eiffel fu contestato, considerato esteticamente inaccettabile e inutile, eppure oggi non riusciremmo ad immaginare il panorama della città senza la mole elegante della costruzione che svetta sopra i tetti di case e palazzi.

Non so se il grattacielo, alla fin fine, verrà realizzato, so che gli uomini (e le donne) sono tanto abitudinari che, tra qualche anno, lo considereranno un elemento essenziale del profilo della capitale transalpina.

Parigi

 

 

Autumn in Milan.

Quando ero bambina e abitavo a Milano erano rare le volte in cui mi capitava di giocare fuori di casa in un’area verde, ma, ogni tanto, i miei genitori mi portavano al Parco (così chiamavamo amichevolmente in casa mia il Parco Sempione) o ai Giardini Pubblici.

I Giardini Pubblici mi piacevano molto per la grande fontana, dove galleggiavano le navi in miniatura dei ragazzini che giocavano appoggiati al bordo, per le automobiline a pedali o le giostre e per il giardino zoologico, dove mi portavano ad ammirare un elefante che giocava con l’acqua di un piccolo laghetto lì vicino e che, alla fine dei suoi esercizi, chiedeva la ricompensa di qualche nocciolina allungando l’estremità della proboscide oltre la staccionata.

Per molti anni non sono più tornata in quel giardino fino ad oggi, in questa rara giornata di sole ancora più splendente dopo le piogge interminabili dei giorni scorsi e camminando sui vialetti ho ritrovato la tranquilla atmosfera familiare della mia infanzia.

E’ vero: le automobiline a pedali sono più avveniristiche, le giostre più colorate, il giardino zoologico non c’è più, ma i colori dell’autunno, quelli sì, sono ancora gli stessi, accesi e caldi sotto il sole che scivola verso il tramonto, tutto il giardino ne è illuminato e la pioggia di ieri, le strade allagate, i disagi infiniti sembrano quasi un ricordo.

Anche in autunno Milano sa essere bellissima.

Basta che, per muoversi, non si debba usare il vaporetto… quello lasciamolo pure a Venezia.

Milano - Giardini Pubblici Indro Montanelli