Archivio mensile:Agosto 2014

Saudade.

Saudade è nostalgia e attesa, è ricordo  e struggente desiderio di rivivere ciò che non è più, è accettazione del passato e fiducia nel futuro.

Nel farci gli auguri per l’inizio dell’anno scolastico la nostra psico (pedagogista) ci ha augurato anche di resistere alla inevitabile saudade di questa serata che precede il ritorno a scuola.

A pensarci bene i sentimenti che provo in questo momento sono molto simili alla saudade: c’è un po’ di nostalgia per i giorni di vacanza passati, c’è un po’ di rimpianto per le persone che non incontrerò più (almeno tra i corridoi e le classi), ma c’è anche l’attesa fiduciosa  del futuro, il desiderio di ritrovare i ragazzi e i colleghi, la voglia di ricominciare.

C’è un po’ di tristezza e un po’ di entusiasmo, è come stare sospesi tra passato e futuro.

So già che non ritroverò una collega con la quale lavoro praticamente dal 1984 (l’anno del passaggio in ruolo) e con la quale, logicamente, c’era una grande sintonia: mi mancheranno le sigarette fumate insieme nel parcheggio e la condivisione di idee e progetti, sempre un po’ folli.

Ha fatto il grande balzo e, da domani, insegnerà filosofia in un liceo, sono contenta che abbia realizzato una sua annosa aspirazione, ma so che da domani mi mancherà e provo già una grande nostalgia.

Da domani lavorerò con una nuova dirigente (per intenderci con una nuova Preside) e, per la prima volta, si tratterà di una persona più giovane di me e questo fatto un po’ mi stupisce e un po’ mi riempie di aspettative.

Come quando ero bambina ho già preparato l’astuccio e un quaderno nuovo (che perderò nel giro di una settimana).

Bando alla saudade: sono pronta a partire.

 

Il tempo dei nonni.

In questi ultimi giorni di agosto, con i genitori che, concluse le ferie, sono tornati al lavoro e le scuole di ogni ordine e grado ancora chiuse sono rispuntati i nonni tuttofare.

Li puoi vedere spingere passeggini e altalene con zelo instancabile, o pedalare allegramente con i nipotini seduti sul seggiolino, o passeggiare per i campi con i bimbi più grandicelli.

E li senti parlare, raccontare, consigliare, ammonire (ma sempre con dolcezza).

Il tempo dei nonni è un tempo prezioso: i nonni possono stare accanto ai nipoti con leggerezza, possono amare in modo totale, coccolare, magari anche viziare un po’ (senza i sensi di colpa che proverebbero se fossero genitori), ma soprattutto possono attingere ai ricordi di una  lunga esperienza e raccontare la favola più affascinante, quella della vita.

Ricordo mio padre che incantava mio figlio, allora bambino, con le storie della sua giovinezza mentre le sue mani abili costruivano giocattoli incredibili con i rametti raccolti nel bosco.

Lasciamo che i bambini vivano questo tempo con i nonni: resterà per sempre impresso nella loro anima e contribuirà a costruire gli uomini e le donne che saranno.

Cavenago Parco
 

Un po’ di cultura, un po’ di memoria.

Mi chiedo come sia possibile che la maglietta a righe azzurre con una grande stella gialla a sei punte non abbia risvegliato in chi l’ha disegnata e commercializzata nemmeno un brivido, nemmeno l’ombra di un ricordo.

Non penso che la somiglianza con le casacche degli internati nei campi di concentramento e di sterminio sia stata frutto di una scelta intenzionale, non credo ci sia stata una volontà di alludere anche lontanamente all’orrore della shoah.

Temo piuttosto, ed è anche peggio, che si sia trattato di una leggerezza di uno stilista, forse giovane, che non ha associato l’immagine del capo d’abbigliamento che stava creando a immagini di un passato terribile, semplicemente perché quelle immagini forse non fanno parte della sua esperienza, non sono nei suoi occhi e nel suo cuore.

Anche per disegnare una maglietta, sembra incredibile, ma è così, ci vuole un po’ di cultura e un po’ di memoria.

Stella di Davide Campo di concentramento di Struthof (Francia)

 

 

Diagon Alley.

In questi giorni, tra la fine delle vacanze e l’inizio della scuola, le cartolerie e i centri commerciali espongono in bella mostra tutto l’occorrente (e anche di più) per la scuola: i ragazzi si aggirano fra zaini all’ultima moda, diari improbabili, pile di quaderni dalle copertine variopinte e pastelli colorati tutti ben ordinati nelle scatole (chi non ricorda le mitiche Caran d’Ache?).

L’acquisto di libri e materiali richiede ogni anno un dispendio non indifferente di tempo, soldi ed energie: anche per i nostri studenti ci vorrebbe una Diagon Alley, la mitica lunghissima strada in ciottoli celata dietro il “paiolo Magico” dove aggirarsi, come Harry Potter, armati di una lista di materiali indispensabili sicuri di trovare, in pochi minuti, tutto l’occorrente per il nuovo anno scolastico (e ci vorrebbe anche una Gringott, la banca dei folletti, dove rifornirsi di quantità incommensurabili di monete).

Purtroppo non esiste una strada magica dove acquistare presto e bene e le famiglie non hanno a disposizione il caveau di una banca fatata, ma bisogna fare i conti con la realtà.

E’ anche per venire incontro alle famiglie, oltre che logicamente per rispondere ad esigenze squisitamente didattiche, che nella mia scuola molti di noi hanno deciso di non far acquistare i libri di testo, ma di lavorare con materiali alternativi, grazie anche all’uso della LIM.

Friburgo (Germania)

Vanità?

C”è sicuramente un pizzico di vanità nel proliferare dell’ “Ice Bucket Challenge”, la secchiata d’acqua gelata per raccogliere fondi a favore della ricerca sulla cura della Sla, ma non mi sembra uno scandalo da stracciarsi le vesti: la vanità ci può anche stare purché si raccolgano fondi e si attiri l’attenzione su una malattia tanto terribile.

Qualcuno più “puro” afferma che ci si potrebbe anche risparmiare lo show del gavettone ghiacciato, basterebbe che i protagonisti, più o meno vip, si preoccupassero solo di versare una cospicua donazione, magari in silenzio e senza tanto clamore, ma mi chiedo quanti fondi sarebbero stati raccolti senza questa iniziativa buffa, forse un po’ sguaiata, ma indiscutibilmente utile.

Se per molti è un modo per mettersi in mostra, pazienza, in fondo si mettono in mostra per uno scopo meritevole di rispetto,

Sicuramente l’oscar per la signorilità va a Patrick Stewart.

Cascata
 

Il mais al Castello.

Nell’area dell’Expo Gate, davanti al Castello Sforzesco” è spuntato il mais, anzi non è proprio spuntato, in realtà si tratta di un’istallazione intitolata “Quantomais”.

Le 1500 piante sono cresciute a poco a poco nella piazza creando uno spazio insolito, quasi un miraggio in cui i visitatori si aggirano un po’ stupiti, un po’ incuriositi scattando foto alla torre del Filarete incorniciata dal fogliame o abbandonandosi a bucolici selfie con i girasoli.

La piazza così arredata mi ha ricordato una pubblicità molto datata (risale al 1994) di una noto mulino.

E poi il mais nelle campagne (e nelle valli) lombarde è stato per secoli alla base dell’alimentazione, almeno a giudicare da quanto raccontano gli anziani del paese che mangiavano polenta almeno una volta al giorno.

Milano - Expo Gate

Imparare “l’itagliano”.

“A scuola i nostri figli non imparano a scrivere in italiano” è il lamento delle mamme interpellate  dal sito “Libreriamo” con un sondaggio.

Al lamento, come è giusto, fa (senza accento) seguito una serie di suggerimenti, alcuni interessanti altri meno, per risolvere questa situazione.

Va bene una scuola più moderna, al passo con i tempi, vanno bene le lavagne multimediali (da noi ce n’è una per classe), vanno bene gli argomenti legati all’attualità e le attività extrascolastiche, va bene anche cercare di stimolare l’amore per la lettura non vista come un dovere gravoso, ma come un piacere, va tutto bene, ma non bisogna dimenticare che la nostra lingua è una lingua viva, una lingua parlata in tutti gli ambiti, non solo in quello scolastico, e che i nostri ragazzi sono immersi in una realtà, fatta di persone e di mezzi di comunicazione, nella quale l’italiano è spesso massacrato.

Non esistono quasi più i congiuntivi, i discorsi sono infarciti di “se dovrei” ed “esci il diario” e di anglicismi inutili, mentre la lingua scritta presenta spesso accenti e apostrofi usati in modo fantasioso.

La grammatica e la letteratura si imparano a scuola, ma i primi rudimenti della lingua si respirano in famiglia, nel gruppo dei pari e davanti alla televisione e battersi contro questa realtà è come sfidare i mulini a vento.

Milano - Portello

Arrivi e partenze.

Scorrendo i post su Facebook si possono leggere le frasi piene di rammarico di chi si accinge a tornare a casa dopo le vacanze e di chi, pieno di entusiasmo, saluta tutti prima di partire.

Agosto è un mese così, di arrivi e partenze, di giornate trascorse in spiaggia, sui sentieri di montagna o nelle grandi città del mondo, di valigie preparate con cura prima della partenza e riempite alla rinfusa, di indumenti e ricordi, al momento di tornare alla vita quotidiana, di visi pallidi che diventano (se la stagione è clemente) abbronzati.

Noi quest’anno non siamo partiti e ce ne siamo stati qui a vedere il paese sempre più vuoto, sempre più silenzioso, abbiamo passeggiato senza incontrare nessuno assaporando il vuoto con un senso di meraviglia, inconsueto, ma non spiacevole.

In fondo non sempre serve andare lontano per ritrovare piccoli pezzi di vita.

Idroscalo 2013

 

Gettoni, pellicole e pennini.

La ragazza che mi aiuta nella cura di mio marito e della casa è una giovane ivoriana che vive in Italia ormai da una decina d’anni, ha frequentato scuole italiane  e parla l’italiano in modo quasi perfetto.

Ieri è spuntata in cucina con in mano una moneta da cento lire e la faccia stupita e dubbiosa: “E questa cos’è?” mi ha chiesto perplessa.

Le ho spiegato che erano le monete in uso in Italia prima che venisse introdotto l’euro e le ho anche accennato a quanto varrebbero oggi (in centesimi) e a cosa ci si poteva comprare allora.

Mi sono resa conto che per una ventenne (italiana o ivoriana che sia) alcuni oggetti sono assolutamente sconosciuti come i gettoni telefonici (indispensabili quando i telefonini erano di là da venire), o le pellicole per la macchina fotografica (le pareva impossibile che le fotografie non fossero immediatamente visibili) o i pennini con i quali ho imparato a scrivere più di mezzo secolo fa.

Mi ha ascoltato con interesse, perché è intelligente e curiosa, mi ha chiesto chiarimenti e poi sorridendo ha commentato. “La tua casa è come un museo o un libro di storia”.

E io mi sono sentita vecchia come un dinosauro.

Pennino

Qualche parola.

Ogni giorno mi ritaglio un’oretta di tempo per andare a trovare mia madre alla casa di riposo, ci scambiamo quattro chiacchiere banali, ci raccontiamo le ultime novità, le novità di casa, dela scuola, del paese, le attività svolte nella giornata, il sorbetto mangiato in giardino, la lettura dei giornali, il cruciverba e la ginnastica di gruppo.

Ce ne stiamo in giardino, se non piove come succede sempre in questi giorni, tranquille come due vecchie amiche, poi la riaccompagno nella sua stanza o in sala da pranzo e la saluto con un bacio.

Quando me ne vado incontro tutti i miei “amici”: il vecchietto (ma neanche tanto) che mi intercetta tutti i giorni per salutarmi e ragguagliarmi sulla sua salute, la signora che mi sorride riconoscente solo perché le chiedo come va, l’anziano divoratore di libri con cui ci scambiamo consigli di lettura, la signora quasi centenaria, con lo sguardo sereno da bambina, che quando la saluto mi sorride con gli occhi furbi.

Quando esco mi scappa un sorriso perché mi rendo conto che la consuetudine di quelle poche parole è importante per loro come per me.

cavenago