Archivio mensile:Giugno 2014

Soldi di plastica.

Da oggi scatterebbe, nel nostro Paese, l’obbligo per negozianti, ristoratori, artigiani e professionisti, di dotarsi del Pos e di accettare pagamenti non in contanti per importi superiori a trenta euro.

Uso volutamente il condizionale  innanzitutto perchè si tratta di un obbligo che, non prevedendo sanzioni per chi lo disattende, di fatto non obbliga proprio per nulla.

Il provvedimento, adottato in realtà più di due anni fa, ha lo scopo di tracciare i pagamenti in modo da permettere un controllo sugli spostamenti di denaro, allo scopo di contrastare l’evasione fiscale, ma è un provvedimento che nasce male proprio perchè va a cozzare contro il costo eccessivo di istallazione e di gestione dei dispositivi elettronici quindi, probabilmente, molti continueranno a non usarlo a meno che non si provveda ad un accordo tra le banche, le associazioni di categoria e il governo così da rendere l’utilizzo del pagamento elettronico meno oneroso.

Io giro praticamente senza contante da moltissimo tempo, soprattutto per ragioni di sicurezza, e quando devo fare un acquisto o mangiare in un ristorante mi informo sempre preventivamente se è possible pagare con il bancomat o con la carta di credito e, in caso contrario, mi rivolgo ad un altro esercizio commerciale.

In altri paesi europei, per esempio in Olanda, ci sono luoghi dove è praticamente impossibile usare i contanti, anche per importi minimi, a tutto vantaggio della sicurezza dell’acquirente e del venditore, ma, evidentemente, i costi bancari devono essere molto ridotti.

La via della modernizzazione in Italia è lastricata di buone intenzioni, ma è ancora lunghissima.

Cinema d’estate.

L’estate non è una stagione molto propizia per andare al cinema, sarà a causa del caldo che fa preferire lo stare all’aperto invece di chiudersi in una sala cinematografica (anche se adeguatamente climatizzata), sarà perchè le città, a poco a poco, si spopolano.

Una volta, quando ero bambina, c’erano i cinema all’aperto: si trattava di spazi tra gli edifici dove veniva allestita una sala cinematografica sotto le stelle, con sedie legno o panche (decisamente meno comode per via della mancanza dello schienale) saltate fuori da chissà dove e un telone di fortuna.

Andavo al cinema con mia nonna e i miei prozii, in un cinema all’aperto in periferia (i prozii abitavano a Crescenzago) e ricordo ancora i film in bianco e nero (non si trattava certo di prime visioni), inevitabilmente fuori sincrono, con le luci che si riflettevano sugli edifici circostanti dove, dalle finestre spalancate, si affacciava un pubblico in camicia da notte e canottiera evidentemente non pagante, mentre intorno aleggiavano nugoli di moscerini e zanzare.

Non si trattava certo di avveniristici multisala, le immagini erano sfocate e i suoni rimbombanti, ma lì vicino c’era sempre un ambulante che vendeva fette d’anguria gelata e tanto bastava perchè fosse una festa,

Sarajevo.

Non dimentichiamo mai  Sarajevo, non dimentichiamo quel proiettile che rappresentò l’inizio formale (la “goccia che fece traboccare il vaso” come si leggeva nel mio libro di storia delle medie) di un orrore durato ben quattro anni.

Certo il “vaso” dei nazionalismi, degli imperialismi, degli irredentismi, dei mille nodi irrisolti della politica e delle relazioni internazionali dell’inizio del ’90o era ben colmo e l’attentato fu solo un pretesto, ma ciò che ne seguì non può essere solo relegato ai testi scolastici.

Ciò che ne seguì fu la “Grande Guerra” (come viene definita sempre in modo un po’ retorico sui libri di storia) e fu sangue e morte, e fu una intera generazione spazzata via, e fu la tenebra dove vennero posti i semi per altro sangue e per altri orrori.

Oggi, a cento anni esatti di distanza, non dimentichiamo Sarajevo, perchè la storia può ancora insegnarci qualcosa.

Monte Piana - Trincea

Vicini di casa.

Quando ero bambina abitavo a Milano, in un palazzo ottocentesco di quattro piani, con delle grandi scale dalle ringhiere in ferro battuto ed il corrimano di legno lucido, che si arrampicavano fino ai solai, per recuperare il fiato durante la salita (ma allora non ne avevo bisogno) c’erano degli ampi pianerottoli con le piastrelle dai disegni geometrici bianchi, blu e rossi, su cui si affacciavano le porte di tre appartamenti.

Conoscevo tutti i miei vicini di casa che allora mi sembravano vecchissimi, i miei genitori erano una coppia giovane con dei bambini piccoli, mentre i vicini erano cinquantenni e sessantenni e a me pareva di avere un esercito di nonni, pronti a coccolarmi e a dare una mano a mia madre, nel custodire mio fratello e me, se doveva uscire di casa per qualche commissione.

C’era la signora Maria al piano di sotto che con suo marito, il signor Gino, mi accoglieva in una casa piena di soprammobili e di caramelle d’orzo, mi incantavo a guardare un orologio meccanico, coperto da una campana di vetro,  con quattro sfere che ruotavano continuamente in senso orario e antiorario.

Ogni tanto mi permettevano di dare la carica al meccanismo e allora, con le mie dita incerte, ruotavo la chiave con grandissima attenzione per paura di bloccarlo.

Con la signora Emma, al primo piano, ascoltavo la radio, mentre la signora Pierina dell’ultimo, mi permetteva di annaffiare i fiori sul terrazzino.

La signora Lia, invece, mi affascinava con le cartoline e le fotografie che mi mostrava per ore, raccontandomi episodi divertenti della sua vita.

Ricordo con grande piacere le ore trascorse con le mie “nonne” acquisite e solo ora mi rendo conto di quanto fossero forti i legami che ci univano, che erano legami di amicizia, solidarietà e condivisione che oggi sono così rari.

Letture.

Conoscevo Gioele Dix (al secolo David Ottolenghi) come attore e intelligente cabarettista (chi non ricorda l’automobilista “inc****to come una bestia?) , ma non sapevo che fosse anche uno scrittore di talento.

Di recente mi è capitato di leggere “Quando tutto questo sarà finito” e devo dire che la storia mi ha commosso ed emozionato.

Il romanzo narra la storia del padre dell’autore e della sua famiglia di religione ebraica, travolti dall’assurda tragedia delle leggi razziali, narra l’iniziale incredulità, la resa di fronte ad una realtà incomprensibile ed inaccettabile, la fuga al di là del confine, nella ospitale, ma rigida Svizzera, le peripezie di una diaspora familiare, il ritorno alla “normalità”.

I drammi familiari, la tragedia di un intero popolo sono narrati dall’autore, che si immedesima nella figura del padre, in prima persona.

Vittorio è un ragazzino che non riesce a comprendere perchè non potrà frequentare la scuola, che deve affrontare esperienze più grandi di lui, che conosce la solitudine, la separazione dai suoi cari, l’ingiustizia, il sacrificio.

Alla fine, quando tutto finisce, c’è la difficoltà del ritorno alla vita quotidiana, che non può essere più quella di prima.

La narrazione è coinvolgente, commovente e commossa, il libro si legge in un fiato e lascia il piacevole gusto di una bella storia, ben raccontata.

La nostra ricchezza.

Langhe-Roero e Monferrato sono entrati a far parte, a buon diritto, del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco e con quest’ultimo riconoscimento i siti italiani nella lista dell’Unesco salgono a cinquanta (non c’è che dire una bella cifra tonda) e pongono l’Italia al primo posto di questa particolare lista.

Sarebbe un po’ come dire che quando si tratta di bellezza, di arte, di storia, di cultura e di tradizioni non siamo secondi a nessuno e, come ripeto spesso, questi luoghi e questi monumenti sono la nostra vera ricchezza, di cui essere giustamente orgogliosi, di cui prenderci cura come di qualcosa di prezioso.

Amo le Langhe (dove, tra l’altro, vivono dei carissimi amici) e ho imparato ad apprezzare la dolcezza delle colline ammantate di vigneti ben curati, ho imparato a riconoscere l’amore per la tradizione e la cultura del vino e l’orgoglio per un lavoro ben fatto.

In un viaggio in quei luoghi ricordo di aver notato una coppia di turisti tedeschi (se ne incontrano tanti) seduti sotto un pergolato, estasiati nel degustare un calice di Barolo.

La loro espressione parlava più di mille discorsi.

La Morra (langhe)

Emozione.

Poco fuori dall’abitato, al di là della trafficatissima autostrada A4, sorge la chiesetta di Santa Maria in Campo, un edificio quasi millenario molto suggestivo, più volte restaurato e attualmente usato solo per le funzioni religiose nel mese di maggio e per manifestazioni culturali quali, soprattutto, concerti di musica classica e religiosa.

Si tratta di una chiesa di piccole dimensioni, dalle forme armoniose e dall’acustica perfetta, visibile, per chi transita in autostrada da Milano a Venezia sulla destra, poco prima dell’uscita di Cavenago – Cambiago.

Ieri, in occasione della festa della musica, vi si sono svolti concerti dalle undici del mattino alle ventitré.

Vincendo la stanchezza (e la mia annosa pigrizia) ieri sera mi sono avviata a piedi per assistere all’ultimo concerto, ho camminato per il viottolo che porta alla chiesa guidata dalle luci che illuminavano l’edificio e sono arrivata pochi minuti prima dell’inizio.

Erano previste musiche di Verdi, Mozart e Haydn eseguite dalla corale dei Santi Pietro e Paolo.

Mi sono seduta e mi sono lasciata trasportare dalla musica in un universo di pace e armonia, rapita dalla suggestione del luogo.

Alle prime note del “Lacrimosa” dal Requiem di Mozart l’emozione è stata piena e perfetta.

Cavenago di Brianza - Concerto a Santa Maria in Campo
 

Spazi.

La piazza Gino Valle, inaugurata da pochissimi giorni al Portello, è la più grande di Milano, persino più grande di Piazza del Duomo che pure non scherza, è uno spazio talmente vasto che verrebbe quasi voglia di scrivere il vocabolo con due “zeta”, così, per rafforzare il concetto.

La piazza, con i suoi edifici, è un’altra tappa del recupero di questa zona un tempo a forte vocazione industriale, nel secolo scorso occupata dagli stabilimenti dell’Alfa Romeo.

La piazza, dicevo, è uno spazio vastissimo, (mi verrebbe da dire quasi sovrumano, come è sovrumano il silenzio che la avvolge), nelle prime ore pomeridiane di questo solstizio d’estate completamente vuoto, tanto da ricordare lo spazio metafisico dei dipinti di de Chirico, spazi dilatati, quasi pietrificati nel sole.

Attraverso la piazza con un’impressione un po’ inquietante, eppure è bellissima con le sue geometrie pulite, con l’enorme bassorilievo di Isgrò, con il cielo che si riflette mille volte nelle pareti di vetro.

Mi piace, ma non riesco a evitare che “il cor non si spauri”.

Milano - Portello

Dalle stelle…

Qualche giorno fa, dopo la vittoria sull’Inghilterra, c’era in giro un’aria molto compiaciuta e, con uno stile tutto nostro, vedevamo la squadra Nazionale in cima al mondo.

Oggi siamo caduti nella più nera depressione.

Dalle stelle alle stalle, si sa, il passo è breve, ma la velocità con cui cambiamo opinione sulle qualità dei nostri calciatori e sulla perizia dei nostri tecnici è veramente repentina.

Avevamo qualcosa per cui esaltarci, oggi abbiamo qualcosa su cui recriminare con infinite critiche e dotte discussioni da bar sport.

E criticare, si sa, è uno sport che ci riesce benissimo.

Forse avremmo bisogno solo di un po’ di misura.

Un tocco di classe.

Quando l’autobus imbocca la strada per l’ospedale passa accanto ad un edificio ristrutturato che mi ha incuriosito fin dalla prima volta che l’ho visto.

Oggi ho approfittato di qualche minuto di tempo per dare un’occhiata e sono stata piacevolmente sorpresa: l’edificio, in realtà, ho scoperto che è qualcosa di molto simile ad una vecchia rimessa che ospita una galleria d’arte contemporanea e un’esposizione di complementi d’arredo molto interessante.

Sono stata accolta da una signora molto gentile che mi ha mostrato alcuni arredi molto eleganti e raffinati, dai colori e dalle forme a tratti sorprendenti.

Su tutto mi hanno colpito alcuni omini di latta, che mi hanno ricordato il “Mago di Oz“.

Purtroppo il tempo è passato troppo in fretta e ho dovuto accelerare il passo per non perdere l’autobus, ma mi riprometto di tornare.

Chi passasse da Vimercate può fare un salto in via Crocefisso, ne vale la pena.

Vimercate

Dima-design