Archivio mensile:Aprile 2014

Una cosa seria.

Salvo imprevisti tra una settimana Berlusconi comincerà l’affidamento ai servizi sociali in una strutture che ospita, tra gli altri, anche i malati di Alzheimer che, come accade in tutte le RSA, vivono in un nucleo protetto.

Il lavoro accanto a queste persone fragili, perse nei meandri di una memoria rarefatta, non può essere improvvisata, ma richiede una attenta condivisione di un percorso di interventi terapeutici che deve essere programmato in modo puntuale con gli esperti.

Credo che all’ex premier sarà utile l’esperienza a fianco di queste persone (come potrebbe esserlo per noi tutti in fondo), perchè è un’attività che richiede serietà sensibilità, attenzione, umiltà, pazienza e disciplina, un’attività che obbliga a specchiarsi nella  realtà che, in fondo, tutti temiamo di più: quella della mente indifesa e perduta.

Qualcuno ha criticato le modalità dell’affidamento ai servizi sociali asserendo che, a ben vedere, si tratta di un’esperienza molto limitata nel tempo, ma io penso che non conta tanto la quantità delle ore da trascorrere fra questi uomini e donne, ma la qualità degli atteggiamenti e dei comportamenti e la terribile lezione che se ne può trarre.

Vimercate

Fiori e balconi.

Con l’arrivo della bella stagione (a giorni alterni: ieri non era bella per niente) di solito vengo presa dal desiderio irrefrenabile di un balcone fiorito, ma poi inevitabilmente mi passa anche a causa di una serie di scuse: tra casa e lavoro ho poco tempo per curarmi dei fiori, il clima padano è poco idoneo (sole che brucia, pioggia che inzuppa, afa che soffoca) etc. etc.

Allora rimando il desiderio di un balcone fiorito a quando mi trasferisco in montagna nei mesi estivi: lassù ho tutto il tempo che voglio e il clima è particolarmente favorevole.

Così ogni anno passo dal mio balcone di casa che ricorda il deserto del Gobi, buono solo per ospitare le casse dell’acqua minerale o i sacchi dei rifiuti, al balcone in montagna lussureggiante come una foresta pluviale, dove i fiori sembrano spuntare e accudirsi da soli.

Quest’anno invece no, quest’anno ho ceduto al richiamo dei portavasi desolatamente spogli, quest’anno ho bisogno di colore, di luce e di vita, quest’anno, più che in tutti gli anni passati, ho bisogno di circondarmi di bellezza e di gioia.

Ho cominciato con qualche timida piantina, qualche fior di vetro, qualche begonia (il minimo sindacale), poi mi son lasciata prendere la mano e ora anche il mio balcone cittadino è coloratissimo.

Sono fiori tutti miei, solo miei, non sono quasi visibili dall’esterno (come anche nella mia casa in montagna del resto), non mi interessa che i passanti ammirino i miei fiorellini, mi basta accarezzarli con lo sguardo alla mattina quando bevo il primo caffè, mi basta accudirli e, così facendo, liberare la mente per un attimo.

Moggio
 

La frittata.

Non cucino spesso questo piatto perché non incontra molto i gusti dei miei uomini, ma mi piace il profumo che invade inesorabilmente la cucina le rare volte in cui riesco ad impormi.

E’ un profumo persistente che, per me, sa di ricordi lontani.

Mia madre cucinava sempre una frittata quando, in primavera, organizzavamo scampagnate, con annesso picnic, magari sui monti del Triangolo Lariano, quando i pendii si coprivano di narcisi e uno dei passatempo “poveri” di allora erano le “narcisate”.

Partivamo sempre molto presto e poi, solitamente, sostavamo più di un’ora lungo la strada ad un bivio dove avremmo incontrato gli zii e le cugine che erano sempre inesorabilmente in ritardo (ma allora non c’erano i telefonini per monitorare minuto per minuto gli spostamenti dei gruppi familiari).

Poi proseguivamo verso la meta, parcheggiavamo le auto e, mentre le mamme cominciavano ad apparecchiare tovaglie, stoviglie e cibi, i bambini si scatenavano sui pendii.

Io ero un po’ più grande e snobbavo i giochi turbolenti di mio fratello e delle mie cugine, mi sedevo all’ombra di un albero e mi mettevo a leggere un libro con aria molto “intellettuale”.

Al momento del pranzo dalla carta oleata (la pellicola trasparente era di là da venire) usciva la frittata, fredda e profumatissima, che finiva nel panino.

Poi la famiglia si dedicava alla raccolta dei narcisi (temo che questo apparentemente innocuo sport abbia contribuito all’estinzione del bianco fiorellino sulle Prealpi lombarde).

Si trattava di un modo per passare il tempo semplice e poco costoso, ma aveva il gusto delle cose buone.

Buone come una frittata.

Rancio -Triangolo lariano

Selfie.

Se vedete una persona sorridere con aria beata (e un po’ beota) al proprio smartphone tenuto a debita distanza non dovete preoccuparvi o chiamare la neuro, probabilmente il soggetto in questione sta abbandonandosi alla moda del selfie.

Una volta si chiamava “autoscatto”, ma era tutta un’altra storia.

Immaginiamo una scampagnata, al mare o in montagna non faceva differenza, il gruppo, al termine di una pantagruelica mangiata, decideva di fare una foto per tramandare nei secoli il ricordo della bella giornata, a questo punto l’unico componente del gruppo titolare di una macchina fotografica, ammucchiava amici e parenti in un punto, possibilmente panoramico, inquadrava la scena e, di colpo, si rendeva conto che la sua immagine non sarebbe stata tramandata nei secoli dei secoli.

Allora scattava la modalità “autoscatto”: il fotografo appoggiava la fotocamera su un sostegno qualsiasi, per esempio un masso, una staccionata o, nel caso dei più previdenti, un cavalletto, poi inquadrava la scena, di solito accucciandosi a terra in modo da poter guardare attraverso il mirino, quindi individuava il posto da occupare nella fotografia, azionava una misteriosa levetta e infine balzava, con scatto felino, all’interno della fotografia.

A quei tempi esisteva una cosa misteriosa che si chiamava pellicola che andava sviluppata, mediante una complessa procedura così da ottenere un negativo che, una volta stampato, permetteva di ottenere le fotografia: questo significa che lo scatto sarebbe stato visibile dopo alcuni giorni (talora settimane) e quindi bisognava sperare che l’inquadratura fosse giusta, giusta l’esposizione, giusta l’espressione dei personaggi ritratti.

In realtà le fotografie erano abbastanza deludenti: inquadrature sbilenche, schiena del fotografo in primo piano, espressioni di stupore, bocche atteggiate a grida di incitamento (sempre all’indirizzo del fotografo).

Non erano fotografie da concorso, ma era divertentissimo scattarle.

In fondo anche i selfie (ma che brutto neologismo) non sono foto da concorso.

In occasione del Fuori Salone Milano era punteggiata di poltrone, sgabelli e similari con una didascalia che invitava i passanti a sedersi, scattare un selfie e postarlo non so bene dove.

Milano

I valori della Resistenza.

Che senso ha commemorare oggi, che di anni ne sono passati quasi settanta, la lotta di liberazione

C’è chi pensa che ormai sia storia vecchia e sepolta che non valga più la pena di rivangare  e, al massimo, il 25 Aprile è visto come una buona occasione per prolungare le vacanze pasquali o per concedersi un “ponte”.

Non sappiamo cosa farcene del ricordo di eventi che per molti sono lontani come le guerre puniche.

Ci siamo scordati che la nostra Repubblica e la nostra Costituzione sono figlie di quegli eventi, del desiderio di riscatto e di dignità, della necessità di affermare la nostra condizione di uomini liberi in una nazione libera.

O forse non ce lo siamo scordati, ma, più semplicemente, non abbiamo più tanto bisogno di libertà e la storia recente ci ha insegnato che, in fondo, ci piace affidarci a qualche “uomo della Provvidenza”, a qualche demiurgo che, senza recarci troppo disturbo, risolva i problemi dell’Italia e di ciascuno, che si assuma la responsabilità di guidare la Nazione.

Meditiamo.

Buon 25 Aprile a tutti.

Milano - Celebrazione del XXV Aprile

 

Verde.

Abito in una delle province più cementificate d’Italia, seconda solo all’area di Napoli, con una urbanizzazione altissima soprattutto nella parte meridionale della zona, dove i paesi, anche se di piccole dimensioni si sono praticamente saldati al capoluogo senza soluzione di continuità.

Il mio paese, per fortuna, ha ancora delle aree verdi, parchi e giardini che ingentiliscono l’aspetto delle costruzioni (alcune delle quali, come quella in cui abito, decisamente bruttine).

Durante la passeggiata mattutina ho tempo per rendermi conto di quanto sia piacevole percorrere una strada ombreggiata dagli alberi del parco o ammirare le piante di alto fusto che crescono imponenti nei giardini condominiali dove cemento e asfalto sono limitati allo stretto indispensabile.

E’ gradevole affacciarsi al balcone e lasciar scorrere lo sguardo sul verde che “sembra” farla da padrone.

Comprendo le esigenze economiche di comuni e privati, comprendo la necessità di dare nuovo impulso all’edilizia e di creare (o conservare) posti di lavoro e un po’ di benessere, tutto comprendo e non mi illudo di poter tornare ad un mondo bucolico che non esiste più, ma adoro vivere nel verde.

Cavenago - Colori

E’ matematico.

Qualcuno è in grado di spiegarmi per quale arcano motivo non appena scade il termine per l’accensione degli impianti di riscaldamento la temperatura crolla sfiorando livelli da fine ottobre?

C’è anche una spruzzata di neve sulle montagne all’orizzonte.

Non riesco a capire come funzioni la faccenda, ma è così e, di conseguenza, mentre una settimana fa con un caldo quasi estivo, la caldaia funzionava allegramente, oggi i termosifoni sono gelidi e io ho dovuto riesumare i plaid che avevo archiviato nei piani alti dell’armadio.

Me ne sto seduta sul divano, guardando distrattamente un programma televisivo che mi interessa pochissimo, avvolta in una copertina rossa (il colore rosso sembra aumentare la sensazione di tepore) e bevo una tisana calda come nemmeno a gennaio.

Dov’è finita la primavera?

Milano

 

Un po’ di serenità.

Oggi la giornata è stata serena, sereno il cielo (almeno fino al tardo pomeriggio) e sereno il cuore: ci voleva proprio un pochino di serenità, uno sguardo limpido sul mondo e sul futuro.

Abbiamo passeggiato lungo il parco pieno delle voci dei bambini, evitando gli sguardi sconcertati e un po’ sfuggenti di chi, davanti ad una sedia a rotelle, non trova le parole, ma non riesce a fingere indifferenza e non riesce a nascondere la commiserazione.

Se sapessero che questa condizione per noi sta diventando una quotidianità alla quale forse troppo velocemente ci stiamo abituando forse riuscirebbero ad incontrarci con più tranquillità.

Siamo andati alla casa di riposo a trovare mia madre sotto gli occhi stupiti e sorridenti degli operatori che mi vedevano alle prese con ben due sedie a rotelle (mi rendo conto che, visto dal di fuori, lo spettacolo possa essere buffo).

E poi, come una coppia di vecchietti (quali siamo) abbiamo attraversato il parco e ci siamo goduti un caffè al chiosco appena riaperto osservando i bambini giocare inseguiti da giovani genitori sempre un po’ tesi.

Quando, al primo scorrere di nuvole nel cielo, siamo rincasati ci siamo ritrovati ricchi di una “quasi” normale serenità.

E’ stata una buona Pasqua.

Cavenago di Brianza

Sabato santo.

Per chi crede è un tempo di riflessione e di attesa, di tristezza e di speranza.

“Ma penso

che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perchè noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo dio è risorto,
nel mondo che faremo dio è risorto…”

(Francesco Guccini).

Io sono cresciuta con questa speranza tanto da credere, e forse da illudermi, di poter cambiare il mondo.

Cavenago di Brianza - Cielo di Lombardia.

 

Conquistatori senza gloria.

Qualche tempo fa ho letto un libro di Oreste Forno dedicato agli Sherpa che definiva così questi uomini forti, protagonisti silenziosi delle spedizioni himalayane.

Nei tempi eroici dell’alpinismo gli Sherpa hanno accompagnato quelli che oggi ricordiamo come i conquistatori della vette più alte del mondo, probabilmente Hillary non avrebbe mai raggiunto la cima dell’Everest se non avesse avuto al suo fianco Tenzing Norgay, ma a lungo le cronache hanno riportato solo il nome dell’alpinista neozelandese.

Era quasi come se l’impresa della scalata fosse un atto meno eroico se portata a termine da chi la montagna la affronta per professione e non per spirito di conquista.

Oggi le vette himalayane sono diventate meta di pacchetti turistici tutto compreso, anche gli Sherpa, oggi si sale sull’Everest spesso senza preparazione adeguata, affidandosi sempre più a questi uomini che vivono della montagna e sulla montagna.

Così accade che una valanga travolga un gruppo di Sherpa e ne uccida tredici (ma il numero delle vittime sembra purtroppo destinato a salire) mentre erano impegnati a fissare le corde in vista dell’imminente stagione di arrampicate “turistiche”.

Si tratta della tragedia più grave mai avvenuta sulle pendici dell’Everest.

La notizia però non occupa le prime pagine forse perchè non si tratta di romantici scalatori, ma di “semplici” caduti sul lavoro.

Neve