Le giovani generazioni forse non ne hanno mai sentito parlare, ma quelli della mia età lo ricordano bene e ricordano il suo nome sempre affiancato a quello dei suoi due compagni di avventura: Armstrong, Aldrin e Collins, ovvero l’equipaggio della missione dell’Apollo 11 (quella del primo uomo sulla luna per intenderci).
Armstrong se lo ricordano un po’ tutti perché è stato il primo a scendere sulla superficie lunare, suo è stato il “piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l’umanità”.
Aldrin è un po’ più sconosciuto, ma ha avuto il privilegio di essere il secondo uomo sulla luna e ha calpestato quella terra sconosciuta che molti avevano sognato.
Collins invece non è sceso sulla luna, è restato lì nel buio e nel silenzio ad inanellare orbite intorno al satellite, tutto solo nello spazio con l’unico, fondamentale, compito di aspettare il modulo che avrebbe riportato indietro i compagni, di catturarlo e di permettere agli altri due, quelli che erano scesi sulla luna, di far ritorno a casa sani e salvi.
Cosa avrà pensato Collins? Che timori, che invidie si saranno insinuate nella sua mente lucida di astronauta allenato?
Probabilmente non lo sapremo mai.
A me, però, piace Michael Collins perché è il simbolo di chi sa fare bene il proprio mestiere e lo fa nel silenzio e nell’ombra, mentre sugli altri si puntano i riflettori, nessuno lo nota più che tanto, ma, senza di lui, non si potrebbe portare a termine la missione.
E’ un eroe silenzioso, come ce ne sono tanti, dei quali, ogni tanto, ci dovremmo ricordare.