Archivio mensile:Febbraio 2014

Sono (quasi) pronta.

Domenica entrerò in ospedale per un piccolo (speriamo) intervento al cuore, una ATC che, a sentire l’aritmologa che mi ha in cura, è praticamente una passeggiata.

Ho preparato per tempo la valigia e sono abbastanza tranquilla anche se…, beh, in fondo si tratta pur sempre di un intervento, mininvasivo fin che si vuole, ma una “passeggiata” è decisamente tutta un’altra cosa.

L’importante è “pensare positivo”, continuo a ripetermi, ma (chissà com’è?) in fondo in fondo c’è sempre un po’ di inquietudine e allora mi affido a un trucchetto che uso da sempre, quando devo affrontare qualcosa che mi preoccupa, e penso che, tra una settimana, tutto ciò che sta per succedere sarà diventato passato, sarà solo un ricordo, una paura di cui sorridere.

Credetemi: aiuta.

 

Il ritmo della città.

La mia città non passeggia, cammina a passo di marcia e qualche volta corre, soprattutto quando la durata di un semaforo pedonale richiede performance atletiche da centometristi (giuro, ho provato, è umanamente impossibile attraversare un viale in dieci secondi netti se non si corre).

La gente va da un posto all’altro a passi veloci (anche in caso di tacco dodici) gettando occhiate distratte persino alle vetrine del quadrilatero (che richiederebbero una sosta in meditazione quanto meno sui cartellini dei prezzi).

E’ un ritmo contagioso, che coinvolge anche i rari gruppi di turisti, trascinati a passo di carica dal Castello al Duomo da guide armate di ombrellino e microfono.

E’ una città che non ha tempo, che si muove frenetica e veloce, che ha sempre qualcosa da fare.

Sbarco dal metrò, infilo la scala mobile e mi accorgo che non mi sto facendo trasportare, ma che sto camminando: il ritmo della mia città ha catturato anche me.

Forse dovremmo darci tutti una calmata.

Milano

 

Piazza del Duomo.

Dopo una giornata tra letti d’ospedale e fisioterapia ci stanno bene quatto passi in centro, per respirare un po’ l’atmosfera della settimana della moda.

Quando il tram mi scarica davanti al Duomo è ancora presto, c’è tanta gente per strada, i negozi sono ancora aperti e le vetrine  illuminate.

Mi piace osservare gli oggetti esposti, le borse che acquisterei ad occhi chiusi (per non vedere il prezzo esorbitante che assolutamente non mi posso permettere) e gli abiti che non indosserei neppure se me li potessi permettere, le persone che passeggiano o si assembrano in gruppi vocianti in attesa di questo o quell’evento, e quelle che, incuranti di modelli e modelle, si affrettano verso casa.

Dopo aver mangiato uno spuntino veloce mi avvio anch’io verso casa, senza fretta però, ancora desiderosa di riempirmi gli occhi della mia città tutta illuminata e della grande piazza che sembra comunque un salotto  dove troneggia l’elegante mole della cattedrale.

E poi, mentre mi avvio all’entrata del metrò, eccoli lì, una coppia di sposi, lui con un elegante abito scuro, lei con uno strascico imponente e le spalle nude, nonostante la temperatura non proprio mite di questa serata di febbraio: è uno spettacolo così strano e inatteso che attira la mia attenzione.

Me ne sto lì a guardarli per un po’.

Milano

 

Un lampo di luce.

La prima serata del Festival di Sanremo scorre abbastanza prevedibile con le battute a raffica della Littizzetto e la cortesia di Fabio Fazio, con l’omaggio all’inossidabile Carrà, con gli ospiti d’onore e persino con i cantanti e le canzoni (una volta era appunto il Festival della Canzone Italiana).

Non manca neppure l’irruzione nella festa del mondo reale con il disagio di una quotidianità sempre più incerta.

Ho deciso di seguire (si fa per dire) almeno la prima serata perché per poter criticare e lamentarsi bisogna almeno sforzarsi di conoscere.

Poi, all’improvviso, la serata un po’ sonnolenta è squarciata da un lampo: la voce potente di Yusuf Cat Stevens, accompagnata dagli accordi gentili di una chitarra, irrompe nel silenzio denso della sala e intona “Father and son”.

L’emozione è forte perché la canzone ha risvegliato in me ricordi ed emozioni.

Ho alzato il volume e mi sono lasciata cullare dalla melodia, canticchiando a mezza voce:  almeno non ho sprecato completamente la serata.

Un piccolo passo per un uomo.

Qualcuno potrebbe credere che si tratti del passo di Armstrong sulla superficie lunare (quello che è stato anche un balzo da gigante per l’umanità), ma, almeno per me, si tratta di un passo ben più importante.

Il piccolo passo è quello che mio marito ha mosso, dopo cinquanta giorni di letto, nel corridoio del reparto di riabilitazione sotto lo sguardo attento di un giovane fisioterapista.

E’ un passo importante perché significa che ora ne possono venire altri, più sicuri, è importante come il primo passo di un bambino che parte alla scoperta del mondo, è una conquista, la vittoria sull’equilibrio incerto e sui muscoli anarchici.

E’ un passo commovente perché mio marito temeva di non essere più capace di compierlo, ma è anche un passo che dà fiducia e speranza.

Quanti passi ci sono nella nostra vita e non ce ne accorgiamo neppure.

In tram.

Dopo una settimana passata tra le mura domestiche, troppo sano per restare in ospedale, troppo debole per camminare e muoversi autonomamente, venerdì mio marito è stato ricoverato in un centro per la riabilitazione, l’istituto Palazzolo (una istituzione per Milano) in zona Portello.

Si tratta di una zona un po’ periferica, in questi anni oggetto di un progetto di riqualificazione che l’ha trasformata in un cantiere,

Come al solito ho studiato cartine e percorsi dell’ATM (perché è impensabile usare l’auto nei giorni feriali) e ho deciso che la via più semplice per giungere a destinazione consiste nell’arrivare in centro con la metropolitana e poi spostarsi con il tram.

E così ho ricominciato a prendere il tram, come facevo da bambina, anche se oggi molti tram sono un po’ meno sferraglianti e un po’ più comodi (mi ricordo ancora i sedili di legno della mia infanzia).

Mi piace viaggiare in tram perchè, dai finestrini, scorre tutta la città a ritmo lento.

Milano
 

L’importanza di Michael Collins.

Le giovani generazioni forse non ne hanno mai sentito parlare, ma quelli della mia età lo ricordano bene e ricordano il suo nome sempre affiancato a quello dei suoi due compagni di avventura: Armstrong, Aldrin e Collins, ovvero l’equipaggio della missione dell’Apollo 11 (quella del primo uomo sulla luna per intenderci).

Armstrong se lo ricordano un po’ tutti perché  è stato il primo a scendere sulla superficie lunare, suo è stato il “piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l’umanità”.

Aldrin è un po’ più sconosciuto, ma ha avuto il privilegio di essere il secondo uomo sulla luna e ha calpestato quella terra sconosciuta che molti avevano sognato.

Collins invece non è sceso sulla luna, è restato lì nel buio e nel silenzio ad inanellare orbite intorno al satellite, tutto solo nello spazio con l’unico, fondamentale, compito di aspettare il modulo che avrebbe riportato indietro i compagni, di catturarlo e di permettere agli altri due, quelli che erano scesi sulla luna, di far ritorno a casa sani e salvi.

Cosa avrà pensato Collins? Che timori, che invidie si saranno insinuate nella sua mente lucida di astronauta allenato?

Probabilmente non lo sapremo mai.

A me, però, piace Michael Collins perché è il simbolo di chi sa fare bene il proprio mestiere e lo fa nel silenzio e nell’ombra, mentre sugli altri si puntano i riflettori, nessuno lo nota più che tanto, ma, senza di lui, non si potrebbe portare a termine la missione.

E’ un eroe silenzioso, come ce ne sono tanti, dei quali, ogni tanto, ci dovremmo ricordare.

Luna

E’ già un inizio.

Ha piovuto tanto in questi giorni, tanto da farci dimenticare che il cielo può anche essere azzurro e che il sole può tornare a brillare.

Oggi c’è il sole, anche se il meteo annuncia l’arrivo imminente di una nuova perturbazione, ma basta una giornata di sole per affrontare la vita e il mondo con uno spirito diverso e per ricaricare le batterie (che evidentemente devono essere solari).

Oggi c’è il sole e pare già un inizio di primavera anche perchè, nei vasi spogli che popolano il mio balcone, ho scoperto che sono bastati la pioggia abbondante dell’ultima settimana e un’occhiata di sole per far germogliare i miei bulbi di tulipano.

Mette allegria scoprire le foglioline carnose e verdissime farsi strada fra le zolle indurite dal freddo, e insieme all’allegria spunta anche la speranza che si alimenta proprio con la consapevolezza che la vita è sempre pronta a riprendersi il proprio spazio, anche nei momenti più bui.

Adesso può anche piovere, può persino nevicare, ma io so che la primavera è lì, che la vita è lì, pronta a fare capolino tra le difficoltà.

Sarà anche poco, sarà anche una cosa da nulla, ma è confortante.

Primavera (Cavenago)

Pinocchio e l’indiano.

Forse dovremmo sforzarci tutti quanti di fare più attenzione a ciò che ci circonda e di farci delle domande (o semplicemente di risvegliare la nostra curiosità) quando abbiamo l’impressione di non aver compreso bene ciò che vediamo e ascoltiamo, invece, spesso, ci accontentiamo di una prima impressione, di una interpretazione superficiale perché, probabilmente, si fa più fatica ad andare a fondo.

Mi è capitato di sentir definire “Pinocchio” l’immagine impressa sul retro della moneta da venti centesimi che invece, come molti ovviamente sanno, rappresenta la scultura di BoccioniForme uniche della continuità nello spazio“.

E’ un equivoco che ha un suo perché: in fondo la moneta è di piccole dimensioni e l’immortale personaggio di Collodi fa parte del nostro immaginario collettivo (probabilmente più della scultura dell’artista futurista) e forse potrebbe rappresentare un aspetto della cultura del nostro paese a buon diritto.

Quello che invece mi ha stupito è che c’è chi creda che sul retro del conio da due euro sia effigiato un pellerossa (è successo, credetemi, è successo).

E’ vero: il padre della lingua italiana ha un profilo che potrebbe ricordare le immagini di Toro Seduto tramandate da vetusti dagherrotipi, ma in testa aveva una corona di alloro e non le penne.

E poi, ragioniamo, che ci sta a fare un nativo americano su una moneta italiana?

Mistero!

Milano - Museo del '900