Prima di tutto la voce.

Oggi si è spento, all’età di novantasette anni, Arnoldo Foà, un grandissimo attore il cui nome forse ai più giovani dirà poco anche se penso che molti riconoscano la sua voce, calda, profonda, emozionante, inconfondibile.

Ed è proprio la sua voce che emerge dai miei primi ricordi d’infanzia, la voce del Capitano Smollet de “L’isola del tesoro“, lo sceneggiato televisivo che mi teneva appiccicata alla televisione con un misto di curiosità e di paura, la voce di Foà ferma e rassicurante riusciva a disperdere i timori che mi agitavano fin dalla sigla (una simpatica canzoncina che suonava come “Quindici uomini sulla cassa del morto”).

L’altro frammento di memoria è legato a un disco in vinile, che uno zio in vena di slanci culturali mi aveva regalato in occasione di un Natale, con inciso il “Lamento per Ignacio Mejias” di Federico Garcia Lorca (anche se in realtà il disco recava la scritta “La morte del Torero).

Sembra incredibile, ma, affascinata dalla voce e benché fossi molto piccola e probabilmente capissi poco del testo poetico, ascoltai la poesia centinaia di volte, fino ad impararla a memoria e a riuscire a ripeterla con le pause espressive dell’attore.

Forse il mio amore per la poesia, in generale, e per Lorca nasce proprio da quell’ascolto e se oggi mi ritrovo ad avere una particolare attenzione per la lettura espressiva, se oggi riesco a leggere ad alta voce trasmettendo emozioni credo proprio di doverlo anche alla voce di Arnoldo Foà.

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