Archivio mensile:Ottobre 2012

Mi ero appena abituata.

La Provincia di Monza e della Brianza, istituita nel 2004, diventata operativa con le elezioni amministrative del 2009, ha avuto vita breve visto che, a quanto pare, verrà riassorbita da Milano ed entrerà a far parte della città metropolitana.

A dire la verità la notizia non mi sconvolge più di tanto: sono nata a Milano e ho vissuto in città o nella sua provincia fino alla tenera età di cinquantacinque anni, quando scrivevo il mio indirizzo era normale aggiungere “MI” tra le parentesi dopo il nome del Comune, se parlavo con gli amici stranieri mi bastava dire “abito in Provincia di Milano” perché la associassero al Duomo, alla Borsa, alla moda (mentre se dico “Monza” invariabilmente pensano all’autodromo).

Poi “MI” è diventato “MB” e ho fatto decisamente fatica ad abituarmi anche perché l’area in cui vivo ha poco a che fare con la Brianza dei mobili, con l’area collinare che si allunga verso i laghi briantei (i quali, peraltro, pur essendo in Brianza non sono in provincia di Monza e della Brianza, ma nelle province di Lecco e Como).

Tuttavia, a furia di scrivere “MB” ci avevo preso su la mano e adesso, contrordine compagni, si torna a scrivere “MI”.

Non c’è mai pace.

(Per inciso mii piacerebbe sapere quanto è costata a “noi” contribuenti brianzoli e no questa provincia effimera)

Monza

All’improvviso.

La scorsa settimana era ancora estate, un’estate fresca certo, soprattutto nelle prime ore del giorno o dopo il tramonto, ma guardando gli alberi del parco e le foglie ancora verdi sui rami mi chiedevo quando avrebbero cominciato ad ingiallire.

Sì perché ogni anno aspetto con ansia quel particolare momento in cui le foglie cominciano ad accendersi dei mille colori caldi dell’autunno, proprio come, in primavera, spio le gemme che si schiudono nel verde tenero delle prime foglioline delicate.

E poi, negli ultimi giorni, all’improvviso la temperatura è scesa, la pioggia e il vento hanno cominciato a frustare i rami e le foglie, che, quasi sincronizzate con un invisibile inesorabile orologio, hanno cominciato a mutare colore, vestendo la brillante livrea autunnale.

Se un raggio di sole si fa strada fra le nubi allora i colori diventano più vivi e più caldi  in una tavolozza che varia da ramo a ramo, da foglia a foglia.

Fa freddo, là fuori, ma le mille sfumature di rosso e di giallo scaldano come il sole.

Cavenago di Brianza - autunno

Ancora anniversari.

Settecento anni fa, in un giorno imprecisato del 1312 (ma forse anche del 1313) moriva Cecco Angiolieri.

La più nota delle sue opere è un sonetto, musicato anche da Fabrizio De André, che un tempo si leggeva alle scuole superiori quando si iniziava lo studio della letteratura italiana (e spero che lo si legga ancora).

Si tratta di versi amari e beffardi, comunque estremamente moderni.

S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre,

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

Tanto per chiarire.

Oggi, nell’occasione del novantesimo anniversario della marcia su Roma (come scrivevo nel post precedente), ho sentito in diverse trasmissioni televisive alcuni intervistati affermare “candidamente” di ispirarsi al ventennio nelle proprie scelte politiche.

Vorrei, per chiarezza, ricordare che nella nostra Costituzione, all’articolo XII delle norme transitorie e finali è scritto testualmente:

XII

È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista…..

Non vorrei che qualcuno se lo fosse scordato….sono passati tanti anni, può succedere.

Anniversari e anniversari.

La “Marcia su Roma” compie oggi novant’anni, anche se non credo ci sia molto da festeggiare: mi sembra anacronistico e antistorico che qualcuno provi ancora nostalgia per un evento che ha segnato l’inizio del ventennio fascista.

A proposito di anniversari, ammesso che possa interessare a qualcuno, oggi ricorrono anche i 1700 anni dalla battaglia di Ponte Milvio che mi sembra un evento un po’ più importante nella storia dell’occidente.

Esperti.

Mentre sbrigo le mie faccende in cucina mi arriva dal salotto la voce della televisione (voce mutevole e discontinua visto che mio marito è impegnato in un annoiato quanto furioso zapping).

Tra i frammenti di programmi che posso solo immaginare a stento, mi giunge una discussione sul tema dei bambini allontanati dalle famiglie, in modo a volte traumatico, per decisione del tribunale dei minori.

Sento le parole di un’esperta che, ovviamente, non vedo, ma che dal tono posso intuire molto determinata e, almeno a giudicare dalla reverenza delle altre voci che si alternano, molto preparata.

Ad un certo punto vengo colpita dalla frase “Ritengo che è giusto che il tribunale si muovi con cautela….”

Come ho sempre temuto Fantozzi ha fatto scuola.

E ancora imparo.

C’è un disegno non molto famoso di Goya, conservato al Prado, che risale probabilmente agli ultimi anni di vita dell’artista e che, secondo alcuni, sarebbe un autoritratto.

Rappresenta un vegliardo dalla fluente barba bianca che incede a fatica sorretto da due bastoni, in alto a destra compare la breve scritta “Aun aprendo” (imparo ancora) che, almeno a giudicare dalla veneranda età del soggetto, potrebbe sembrare singolare.

Eppure, a ben guardare, il disegno dovrebbe rappresentare un monito per ciascuno di noi: mai smettere di imparare, ci sussurra il vecchissimo personaggio, mai accontentarsi, mai lasciare che la nostra curiosità, il nostro desiderio di conoscere si assopiscano.

Quando i miei ragazzi si stupiscono perchè mi vedono, nei ritagli di tempo, leggere un libro e mi chiedono se sto ancora studiando e perchè, mi piacerebbe rispondere con l’immagine di Goya, mi piacerebbe che capissero che ogni giorno impariamo qualcosa e che  vivere significa imparare perchè, per quante cose possiamo conoscere, ce ne sono infinite altre da studiare.

Ragazzi miei: non smettete mai di imparare!

Francisco de Goya y Lucientes - 'I am Still Learning' ('Aún aprendo') - WGA10173

(Fonte Immagine Wikimedia Commons)

Solo un po’ di considerazione.

Lunedì scorso, verso sera, la mia mamma è caduta e ha battuto la testa, poiché da molti anni è  in terapia anticoagulante il medico mi ha consigliato di rivolgermi ad un pronto soccorso per verificare che il trauma non avesse conseguenze e così mi sono armata di tanta pazienza e ho accompagnato l’irrequieta vecchietta in ospedale.

Dopo aver passato il triage (con l’assegnazione di un codice verde) ci siamo messe in attesa e, dopo circa tre ore, un medico l’ha visitata, ha svolto gli esami di routine e ha prescritto una tac.

Un’ora più tardi sono arrivati gli esiti e il medico mi ha comunicato la sua intenzione di ricoverarla in pronto soccorso per ventiquattro ore in osservazione.

Così siamo passate nel corridoio dietro gli ambulatori, quello che non si vede dalla sala  d’attesa gremita di pazienti (molto impazienti) dove ho trascorso la notte e buona parte della giornata e ho potuto osservare il lavoro frenetico che le pochissime persone in servizio svolgono senza fermarsi un attimo.

Alla fine della degenza, mentre ci avviavamo all’uscita, ho commentato a mezza voce “è incredibile il lavoro che riescono a fare!”, allora un’infermiera si è voltata, mi ha sorriso e, d’impulso, mi ha abbracciato.

“Una persona su dieci si accorge del nostro lavoro” mi ha confessato “ma a me basta per tirare avanti”.

A volte basta un po’ di considerazione per il lavoro altrui, ma spesso, tutti concentrati sui nostri guai e sulle nostre esigenze, ce ne dimentichiamo.

Quasi preistoria.

La mia prima fotocamera digitale risale alla fine degli anni novanta, me l’aveva regalata un amico che aveva deciso di comprarne una un po’ più recente (e funzionale).

Si trattava di una Casio Qv-100 dotata di una memoria interna di 32 Mb che permetteva di memorizzare al massimo 64 immagini (il doppio se si rinunciava a un po’ di qualità) con il colori virati clamorosamente verso il blu.

Nonostante i suoi evidenti limiti (che oggi sembrano addirittura insormontabili e quasi leggendari) mi ha accompagnato per quasi tre anni nei miei viaggi, infilata nella tasca laterale della borsa della mia adorata Pentax dalla quale mai avrei immaginato di separarmi.

Mi sembrava un giocattolo un po’ buffo, una cosa poco seria, non certo una macchina fotografica, ma, a poco a poco, ho imparato ad apprezzarne i vantaggi: per esempio il fatto di poter subito vedere come era venuta la fotografia appena scattata senza dover aspettare di tornare a casa per sviluppare le diapositive (magari per poi scoprire che il rullino era andato perso nei meandri di qualche laboratorio).

Ed è stato così che mi sono convertita al digitale anche se ogni tanto guardo, con un po’ di rimorso e qualche rimpianto, la mia Pentax che riposa, ancora perfettamente funzionante, con tutta la sua attrezzatura, nella sua borsa.

Ho ripescato alcune delle mie prime foto digitali e, tutto sommato, devo dire che la mia macchinina il suo lavoro lo sapeva fare.

Tre cime di Lavaredo