Archivio mensile:Giugno 2012

Questioni di stile.

E’ mai possibile che qualche testata italiana non riesca a fare a meno di spingere lo “sfottò” nei confronti dei tedeschi oltre i limiti del buongusto?

Ci sta che dopo una vittoria come quella di ieri sera contro la Germania venga voglia di fare un po’ i gradassi, ma titolare con un “Vaffanmerkel” o un “Ciao Ciao culona” non è fine, non è elegante ed è decisamente poco sportivo.

Credo che la nostra Nazionale abbia dimostrato sul campo il suo valore, penso che la vittoria sia meritata e mi sembra un inutile segno di debolezza maramaldeggiare; d’altra parte battere la Germania sul campo di calcio non ci autorizza a dimenticarci dello spread, della fragilità della nostra economia.

In poche parole la vittoria sportiva non è una rivincita economica, non significa aver pareggiato i conti.

Allora forse è il caso di coniare titoli (e giochi di parole) divertenti, ma non offensivi.

Un po’ di stile, perdindirindina.

Altri tempi.

li 24 Dicembre 1920

Egregio Sig. Preziuso.

In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato.

Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si e’ certamente ispirato.

Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perche’ – in gran parte – e’ fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente – come il nostro – ghiotto di pettegolezzi piu’ o meno piccanti.

Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onesta’ ma per la mia situazione politica non basta l’intima coscienza della propria onesta’.

E’ necessaria – e Lei lo intende – anche l’onesta’ esteriore.

Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia – sia pure nobilissima come quella in parola – si ricamerebbe chi sa che cosa.

Si che, io, a preventiva tutela della mia dignita’ politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi e’ di pieno gradimento.

Vorrei spiegarmi piu’ lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non e’, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato gia’ chiaro. Il resto s’intuisce.

Percio’ La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati.

Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora.

Dev.mo
Giuseppe Di Vittorio

Quando la politica era “La Politica” Giuseppe di Viittorio scrisse questa lettera (un inedito trovato di recente) nella quale spiega che, per difendere la propria dignità, si sente in obbligo di restituire un regalo natalizio che avrebbe rischiato di metterlo in imbarazzo.

Decisamente erano altri tempi e altri politici.

Diritti.

Oggi ci siamo sentiti dire che quello che noi ritenevamo un diritto sancito dalla Costituzione, il diritto al lavoro, in realtà non lo è e ce lo siamo sentiti dire dal ministro che proprio di questo diritto dovrebbe occuparsi.

Forse è vero che il diritto al lavoro non esiste, ma è altrettanto vero che, almeno per i Parlamentari,  è irrinunciabile il diritto alle ferie.

Agganciati alla realtà.

Nella casa i riposo dove è ospite mia madre non c’i sono grosse probabilità di annoiarsi, la giornata è scandita da piccoli gesti quotidiani che aiutano a riempire il tempo.

Al mattino, dopo il risveglio, l’igiene personale e la colazione c’è la fisioterapia o la ginnastica individuale o di gruppo che lascia le “nonnine” deliziosamente stanche, ma orgogliose dei piccoli progressi compiuti.

Al pomeriggio, dopo la merenda, almeno una volta alla settimana una animatrice è incaricata di leggere il giornale ad altissima voce (le “nonnine” sono tutte un po’ dure d’orecchio) e commentare i fatti salienti ella settimana.

Le ospiti e gli ospiti sono seduti in cerchio nella sala del primo piano e ascoltano con attenzione, commentano, chiedono chiarimenti.

Mi sembra un’iniziativa importante ed intelligente che permette anche a queste persone (alcune anche quasi centenarie) di restare agganciate alla realtà, di non essere isolate dal mondo.

Non esiste censura, le notizie non sono edulcorate, non vengono celati neppure gli eventi più tragici perchè anche gli ospiti della asa di riposo non vivono una favola, ma hanno il diritto a conoscere il mondo là fuori del quale, grazie alla lettura del giornale, fanno ancora parte.

Mia madre ascolta con particolare attenzione.

Lo so perchè, alla fine, mi dedica una rassegna stampa personalizzata.

Ogni mattina e ogni sera.

Quando la malattia entra di prepotenza nella tua vita, o peggio nella vita di chi ami da sempre, è inevitabile un momento di scoramento, ma l’amore ti aiuta a farlo durare proprio un momento.

E poi il dolore e la paura diventano il cemento che unisce due vite.

Così ogni mattina ci si sveglia ancora insieme e la giornata che inizia diventa il dono più prezioso e si impara a non sprecare il tempo, a riempire ogni attimo di quella ricchezza che solo la condivisione sa dare.

Si sta vicini, ma non troppo vicini, perchè condividere non vuol dire annullarsi, ma aver sempre qualcosa da mettere in comune, qualcosa di originale,  di personale.

E poi, alla sera, c’è lo spazio per sognare insieme.

In fondo l’amore è fatto di piccole semplici cose.

Coronarie.

Cerco sempre di avere una somma cura delle mie coronarie perciò penso che giovedì (in occasione della partita contro la Germania) mi cercherò una occupazione diversa dal guardare la televisione.

Potrei impegnarmi solo se qualcuno mi assicurasse che potrebbe trattarsi di una replica della mitica Italia – Germania 4-3.

Safari notturno.

La mia anima ecologista va in vacanza quando in casa si aggira qualche vespa o peggio, come è successo ieri sera, un calabrone.

Quando sento l’inconfondibile ronzio mi attrezzo con tutte le armi che conosco (anche quelle non ammesse dalla Convenzione di Ginevra) e combatto con tutti i mezzi, anche i più sleali, per annientare il nemico (mi spiace, ma nella mia guerra personale contro gli insetti ronzanti non si fanno prigionieri).

Ieri notte sono stata impegnata in un safari emozionate stile Indiana Jones che mi ha visto, verso le due, vincitrice, ma stremata.

Sia be chiaro: se gli insetti se e stano fuori dal mio spazio vitale non ho nulla in contrario, semplicemente mi limito a girare al largo.

Anche la scorsa estate è iniziata così: una sera un calabrone, poi due, poi tre, poi alcuni cadaveri repellenti sul davanzale della finestra del bagno fino a quando mi sono data per vinta e ho interpellato un disinfestatore.

Ho così scoperto che una allegra comunità di calabroni aveva eletto a domicilio il cassone della tapparella dove avevano costruito un nido condominiale così grosso che se lo avessero edificato quest’anno avrebbero rischiato di pagare l’IMU.

Primavera fiori

In piazzetta.

Fa caldo stasera, ma c’è anche un’arietta leggera, come di temporale lontano.

Cammino per la strada lasciando che l’aria mi accarezzi la pelle e mi muova i capelli, assaporo l’insperata frescura che mi porta lontano nel tempo e lascio che i ricordi mi attraversino lievi come la brezza.

Ricordo le sere d’estate della mia infanzia passate, fra i monti della Valsassina a giocare nella piazzetta del paese accarezzata dalla stessa brezza leggera.

La piazzetta allora non era asfaltata, c’erano i ciottoli tondi sui quali spesso mi sbucciavo le ginocchia e non c’erano i parcheggi, ma le panche di pietra: su quelle panche passavamo ore infinite a raccontarci storie incredibili nelle quali, come le ombre scivolavano tra le case, si insinuava un sottile brivido di paura tanto che, alla fine, tornavamo alle nostre case guardinghi e in punta di piedi, presi da una allegra inquietudine.

E poi sono diventata adolescente e quelle panchine hanno visto sbocciare sentimenti che non conoscevo e ai quali stentavo a dare un nome.

Forse non ero innamorata, più semplicemente ero innamorata dell’amore, ma era bello così e il ricordo mi riempie ancora di tenerezza.

Qualche volta ripasso ancora dalla piazzetta della mia infanzia , ma le luci abbaglianti dei fanali e le auto parcheggiate le hanno rubato il suo quieto fascino e io non mi ritrovo più.

Moggio

Essere e apparire.

Ciascuno di noi vuole dare, come è naturale,  l’immagine migliore di sé, il che risulta un po’ difficile quando ci troviamo in mezzo a persone che condividono con noi buona parte della giornata (come i colleghi di lavoro per esempio o, come nel mio caso, gli allievi) allora, per quanto cerchiamo di tenerlo sotto controllo, l’Hyde che è in noi salta fuori, quando meno ce lo aspettiamo, e rivela il nostro carattere, le nostre idiosincrasie, i nostri (molti) difetti e i nostri (speriamo molti) pregi.

E’ praticamente impossibile indossare una maschera permanente perché il nostro vero “io”, messo alla prova dal tempo, tende a mostrarsi in tutta la sua evidenza.

Quando però ci troviamo in mezzo a persone “nuove” che non ci conoscono allora riusciamo a reggere il gioco: è come se fossimo in una realtà “virtuale” nella quale ci creiamo un avatar che ha, per forza di cose, il nostro aspetto fisico (da lì non si scappa), ma al quale possiamo regalare una vita e un carattere che è “altro” da noi.

Poi se l’incontro diventa consuetudine a poco a poco ci riveliamo per quello che siamo e allora gettiamo la maschera.

Siamo sempre pronti, però, a ricominciare, in un nuovo contesto,  l’eterna commedia della vita.

Sala d’attesa Radioterapia.

Le mie sparizioni da questo blog di solito coincidono con qualche problema di salute di qualche membro della mia famiglia (ahimè più raramente con una vacanza in qualche paradiso tropicale non toccato dalla civiltà) e, ultimamente,  si tratta di un ciclo di radioterapia che, anche se la durata delle applicazioni quotidiane è di pochi minuti, in pratica occupa buona parte della giornata.

Il rito prevede una attesa, di solito abbastanza breve, in un ambiente abbastanza accogliente dove i pazienti (ovviamente sempre gli stessi)  si ritrovano ogni giorno.

Di solito ogni paziente ha un accompagnatore “sano” generalmente apprensivo, talora nervoso e annoiato.

Fin dal secondo giorno di terapia (i cicli iniziano invariabilmente di lunedì) ci si riconosce, ci si saluta come vecchi amici,  si scambiano informazioni sulla malattia, sui disturbi della terapia, sui rimedi..

E’ una singolare umanità, quella riunita in sala d’attesa, una umanità dolente, sospesa, fatta di persone abituate a fare i conti con la malattia, con la speranza e con la disperazione, persone che sanno gustare il valore di ogni giorno, persone che conoscono la paura e il coraggio di affrontarla.

C’è tanto da imparare.