Archivio mensile:Aprile 2012

Ma è proprio necessario?

Qualche giorno fa, mentre aspettavo il mio turno in un negozio, una signora che, per ingannare il tempo, stava leggendo il manifesto affisso dall’Amministrazione Comunale per la celebrazione del 25 Aprile mi apostrofa (evidentemente in quanto parte dell’amministrazione comunale):

“Ma è proprio necessario continuare a celebrare il 25 Aprile visto che è una storia vecchia, che nessuno più ricorda e che non interessa a nessuno?”

Oserei dire che non solo è necessario.

E’ indispensabile.

Barzio

La precarietà del transitivo.

Non è mai stato facile spiegare ai ragazzi la differenza tra verbi transitivi e intransitivi, ma una volta, per lo meno, c’erano buone probabilità che azzeccassero l’uso corretto dei verbi, forse perchè leggevano di più, forse perchè la televisione (che ha avuto il grande pregio di contribuire ad insegnare l’italiano agli italiani) offriva modelli linguistici ineccepibili in quanto a lessico, dizione e sintassi.

Oggi assisto, con un moto di raccapriccio, al manifestarsi di inusitate difficoltà, di incertezze (o certezze) dall’effetto comico, ma destabilizzante.

Non è raro che i miei pargoli affermino, con incredibile faccia tosta, di “uscire il diario dalla cartella” o di aver “sceso le valigie” per “entrarle nel bagagliaio” dell’auto.

Tutti i miei tentativi  di riportare le giovani menti sulla retta via sono spesso vani, convinte come sono di esprimersi in modo corretto, poiché sono supportate dall’esperienza quotidiana del linguaggio gergale del gruppo o dai modelli linguistici di cabarettisti rampanti che, per strappare un sorriso fanno scempio dell’italico idioma (ben sapendo di farne scempio).

Non riesco neppure più a sorridere quando ascolto queste performance perché, immediatamente, rabbrividisco all’idea del riflesso che tali giochi linguistici avranno sui miei allievi.

L’altra sera, rientrando a casa, ho incontrato in giardino un giovane dall’aria civile ed educata che mi ha chiesto con estrema cortesia “Per favore, puoi rimanermi aperta la porta?”.

Basita non ho potuto far altro che rispondere: “Certo! Te la rimango”

Destinatario sconosciuto.

E’ bastata un’ora di lezione, nel pomeriggio in terza, per leggere un breve romanzo epistolare per molti versi sconcertante: “Destinatario sconosciuto” di Katherine Kressmann Taylor.

Si tratta, in breve, di uno scambio di lettere tra Max, ebreo di origine tedesca che vive a San Francisco dove gestisce una galleria d’arte, e Martin, anch’egli tedesco e socio di Max, tornato in Germania con la famiglia nel 1932.

Nel breve spazio di poche missive si delineano la difficile rinascita della Germania di Weimar dopo il disastro della prima guerra mondiale, l’estrema povertà, l’ascesa al potere di Hitler, le prime avvisaglie dell’antisemitismo a cui Martin aderisce un po’ per convenienza, un po’ per convinzione, la persecuzione degli ebrei e la limitazione delle libertà personali viste, da Martin, come un male necessario in vista di un “bene superiore”.

Nello stringato linguaggio epistolare si cela tutto il dramma della Germania nazista, mentre l’amicizia, che legava i due protagonisti, si trasforma a poco a poco generando incredulità e odio.

La conclusione del romanzo è inaspettata e ha lasciato i miei studenti sconcertati:  qualcuno ha osservato che si tratta dell’esatto contrario de “L’amico ritrovato” di Uhlman, proprio perchè in questo romanzo l’amico è “perduto” in tutti i sensi.

E’ un libro che non conoscevo, che sono contenta di aver incontrato e che consiglio a tutti coloro a cui interessa scoprire le infinite pieghe del cuore umano.

In fondo, per leggerlo, basta un’ora.

Entrare nel mito.

Cento anni fa, nelle prime ore del giorno, affondava la “RMS Titanic” (il Titanic per intenderci) e, nel momento stesso della tragedia, entrava nel mito, grazie alla sua fama di nave lussuosissima e praticamente “inaffondabile”.

Per ironia della sorte se il Titanic avesse completato trionfalmente il suo viaggio inaugurale, probabilmente se ne sarebbe persa la memoria, così come è capitato per la più fortunata sorella Olympic, Cameron non gli avrebbe dedicato il fortunatissimo film e non se ne parlerebbe più.

Invece il disastro ha proiettato la sfortunata nave nel mito, facendola entrare di diritto nell’immaginario collettivo, per cui oggi, se vogliamo parlare di una situazione drammatica, nella quale però nessuno prende veramente sul serio il problema, il pensiero corre al Titanic.

Uno sguardo sul secolo scorso.

Oggi, in attesa di una delle tante visite di controllo, ci siamo concessi un giro in centro e, finalmente, siamo riusciti a visitare il Museo del Novecento.

L’allestimento museale occupa, in maniera razionale, ma raffinata, lo spazio dell’Arengario che si affaccia su Piazza del Duomo e ospita le opere d’arte provenienti dal Pac (Padiglione d’arte Contemporanea), dal Cimac (Civico Museo d’Arte Contemporanea) e dalla collezione Jucker che hanno trovato qui una più organica collocazione.

Una rampa a spirale con grandi vetrate  che si affacciano su Piazza del Duomo permette di raggiungere lo spazio espositivo: qui si viene accolti dal “Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo collocato in uno spazio in penombra, ad altezza umana per cui ci si trova faccia a faccia con i personaggi che sembrano animarsi.

L’opera, dipinta nel 1901, è l’ideale accesso all’arte del XX secolo con un percorso che si sviluppa attraverso le correnti artistiche che hanno caratterizzato gli ultimi cento anni: si possono ammirare opere di Boccioni, Modigliani, De Chirico, Fontana collocate in ampi spazi perfettamente fruibili.

Si tratta di un museo veramente splendido, uno spazio che mancava nella nostra città, un allestimento degno delle grandi capitali dell’arte internazionale.

E poi che dire del panorama assolutamente unico che si può godere dalle ampie vetrate e dell’inusitato punto di vista sul Duomo?

Milano Museo del '900

April nanca un fil.

Ad aprile non bisognerebbe togliersi neanche un filo di dosso (come recita la versione meneghina di “aprile non ti scoprire): questo proverbio l’ho sentito ripetere come un mantra dalle signore al bar spiazzate da un improvviso, quanto preannunciato, calo delle temperature che le ha colte in abiti quasi estivi.

Il seguito del discorso suonava più o meno: “non esistono più le mezze stagioni”, come nella migliore tradizione delle chiacchiere da bar a sfondo meteorologico.

Mi piace ascoltare questi discorsi da mezza mattina, trascinati nella breve pausa tra le faccende domestiche, la spesa e la preparazione del pranzo, davanti ad un caffè bevuto in fretta attorno ad un tavolino un po’ defilato in un angolo.

Mi piace cogliere questa ardita sintesi tra saggezza popolare moderni luoghi comuni che, a poco a poco, stanno trasformandosi in saggezza popolare a loro volta.

Starei delle ore ad ascoltare le signore, purtroppo però, il mio tempo è veramente limitato e il caffè lo sto bevendo in piedi, di corsa.

Esco dal bar abbottonandomi con cura il soprabito, in fondo è meglio non scoprirsi: è cominciato aprile.

Cavenago