Archivio mensile:Novembre 2011

Compro una vocale.

Dopo aver trascorso un po’ del mio tempo a cercare di redigere il P.d.P. di un allievo D.S.A. con problemi di A.D.H.D., mi guardo allo specchio preoccupata e mi trovo a tentare di ricordare quando abbiamo iniziato a non chiamare più le cose con il loro nome, ma ad usare sigle dal significato oscuro e dal suono vagamente minaccioso.

Forse le sigle servono veramente a velocizzare la comunicazione o forse (ma è un pensiero malizioso) permettono di usare un linguaggio da iniziati difficilmente comprensibile, il che, indubbiamente, può presentare qualche vantaggio.

Sarà perchè sono una vecchia insegnante con una formazione antidiluviana, ma mi ostino ad esprimermi con i vocaboli per esteso nella vaga speranza di riuscire a comunicare in modo efficace.

P.S: se il D.S non si ricorda di passare agli O.O.C.C. il D.M. appena emanato dal M.I.U.R . è meglio far finta di niente.

Mi raccomando: H2O in bocca.

Peppino, sangue pazzo.

La scorsa settimana, al termine di un lungo percorso sulla mafia che ha i visto i ragazzi impegnati nella lettura de “Il giorno della civetta” e di testi di Falcone, Borsellino e Nando Dalla Chiesa oltre alla visione, emozionante ed emozionata, del film “I cento passi” gli allievi hanno avuto la possibilità di incontrare Giovanni Impastato, il fratello del giovane attivista, giornalista, poeta ucciso dalla mafia nel 1978.

I ragazzi hanno ascoltato la testimonianza, espressa con parole pacate, ma ferme, con gesti misurati, ma decisi, in silenzio, il silenzio un po’ stupito di chi si aspettava vendetta e odio e ha incontrato un profondo senso di giustizia.

Dopo un comprensibile momento di imbarazzo e timidezza le domande si sono susseguite come una valanga.

Tutti siamo rimasti colpiti da un episodio: alla morte del giovane il cugino, venuto dall’America, invocando vendetta afferma: “Peppino, sangue pazzo, ma è uno di noi”.

A questa frase la madre, con la forza dell’amore e della condivisione dei valori del figlio, rivendica la “diversità” di Peppino che ha saputo svincolarsi dalle logiche mafiose della famiglia e ha saputo lottare con la forza della parola e della ragione contro la bruta violenza, contro la criminalità, contro il silenzio, l’ignoranza e la connivenza.

“No non era uno di voi, e io di vendette non ne voglio”

E’ stata una grande lezione per tutti noi.

Giovanni Impastato

Che bello!

La gita a Crespi  (di cui ho parlato nel post precedente) ha avuto il suo naturale prologo nella visita della Centrale Taccani di Trezzo sull’Adda, l’edificio, costruito per volontà dello stesso Crespi, che si adagia sull’ansa del fiume con la sua elegante mole in ceppo.

Visto che la strada che raggiunge il fiume non è molto larga il pullman si è fermato in città e l’allegra scolaresca ha percorso la ripida discesa a piedi.

Appena giunti sulla riva i ragazzi si sono bloccati al cospetto del corso d’acqua sul quale aleggiava una leggera bruma che dava al paesaggio un aspetto quasi fiabesco, mentre un cigno regale scivolava sulla superficie limpida, con la sua naturale eleganza.

“Che bello!”, ha commentato qualcuno, senza riuscire a trovare aggettivi più adeguati a descrivere lo stupore per l’incanto che la natura sa ricreare ogni volta.

E, in fondo, che dire di più?

“Che bello!”.

Trezzo sull'Adda

I figli della precarietà.

Come ogni anno le prime brume portano la visita guidata al villaggio operaio di Crespi d’Adda: la meta è così vicina e, tra una rivoluzione industriale e l’altra, le classi terze (e i rispettivi insegnanti) non riescono a sottrarsi a quella che, per la nostra scuola, ormai è quasi una tradizione.

Quest’anno, però, ho notato una variante che mi sembra plausibile leggere comeun segno della crisi economica ed occupazionale che stiamo vivendo.

In passato, quando illustravo ai ragazzi la vita del villaggio, regolata dal ritmo dell’orologio della fabbrica e ad essa indissolubilmente connessa, coglievo sempre qualche  insofferenza per una esistenza in qualche modo claustrofobica: spesso i ragazzi affermavano che non avrebbero mai barattato un po’ di sicurezza (o molta sicurezza: il lavoro, la casa, le cure mediche, l’istruzione…) con la libertà di fare o di dire ciò che si vuole, perchè la libertà è un valore assoluto.

Non era facile farli ragionare sui privilegi dei cittadini del villaggio anche perchè, si sa, i ragazzi sono sempre un po’ estremisti.

Quest’anno, invece, questi figli di una realtà precaria, magari con i genitori cassintegrati e con poche prospettive per il futuro, osservavano il villaggio con attenzione e poi, alla fine, i più erano concordi nell’affermare che a loro vivere nel villaggio, pur con le regole e i limiti, sarebbe piaciuto: sarebbe piaciuto loro avere una casa, il lavoro, la scuola assicurata, un po’  di tranquillità.

Mi sono resa conto, all’improvviso, che la libertà dal bisogno, per chi vive nell’incertezza, è un valore assoluto.

Crespi

Silenzio (ogni tanto).

Per una settimana non ho scritto nulla: è stata una settimana frenetica, con riunioni tutte le sere, poco tempo per leggere i giornali e per riflettere.

E’ stata anche una settimana in cui è capitato molto: un nuovo governo che ha visto la luce tra mille aspettative, il fiato sospeso per vedere le reazioni del mercato, gli entusiasmi facili e le delusioni altrettanto facili, i discorsi da bar e nei talk show che si sforzano di analizzare e prevedere ciò che è arduo analizzare e prevedere.

In una situazione così preferisco tacere e stare a guardare

E’ nato (2).

L’8 maggio 2008 titolavo così (E’ nato) il post dedicato al nuovo governo che aveva visto la luce dopo parecchi giorni di consultazioni e accordi.

Allora si trattava di un gruppo formato da ventuno ministri, dei quali dodici con portafoglio e nove senza, molti erano i volti noti per aver ricoperto ruoli più o meno rilevanti nella vita politica del Paese.

Oggi, dopo due giorni di frenetiche consultazioni, è nato il governo Monti, un governo composto da tecnici, personalità del mondo accademico, della cooperazione, della finanza, della diplomazia sconosciuti per lo più al grande pubblico.

Questa volta si tratta di un esecutivo più snello, formato da sedici ministri, con l’accorpamento di importanti deleghe, che, mi auguro, possa operare in modo adeguato alla delicatezza e alle emergenze della situazione economica e politica contingente.

Negli ultimi giorni si è molto discusso sulla distinzione fra governo tecnico e governo politico, ma è una discussione che non mi appassiona: anche quando si tratta di un gruppo di tecnici le scelte che è chiamato ad operare sono logicamente scelte politiche.

Buon lavoro.

Per l’Italia e per tutti noi.

Gli elefanti se ne vanno.

Milano ha ospitato, negli ultimi due mesi, una pacifica e coloratissima invasione di cuccioli di pachiderma: la “Elephant Parade Milano 2011” .

Ottanta sculture variopinte ed allegre, piazzate nei punti strategici della città, hanno attirato la sorridente curiosità di passanti e turisti e ora andranno all’asta con lo scopo di raccogliere fondi per la salvaguardia degli elefanti asiatici e per Telethon.

Anch’io, trovandomi a Milano per visite mediche e commissioni varie, mi sono scatenata in un vero e proprio safari fotografico e  anche se non ho avuto materialmente il tempo (e le forze fisiche) per vedere tutte e ottanta le sculture, ho percorso le vie del centro per incontrare i simpatici elefantini.

Ho scattato tante foto, aspettando che intere orde di turisti di tutte le nazionalità completassero i loro reportage fotografici, cercando i colori più vivaci, le soluzioni più divertenti, le decorazioni più originali.

Lamia città, con un po’ di colore, riesce ad essere anche più bella del solito.

Milano

Milano

Nostalgia, nostalgia canaglia.

Chiedete ad un ragazzino di oggi cosa lega una penna ad una audiocassetta, se il ragazzino è sveglio vi dirà, tutto orgoglioso, che la penna serve per scrivere il titolo sull’etichetta adesiva.

Noi, i vecchi (trentenni inclusi), sappiamo benissimo che la penna serve a riavvolgere il nastro quando le testine del mangianastri (o del woalkman per i più giovani) combinano un disastro riducendo il prezioso supporto magnetico ad un artistico pizzo macramè.

Come spiegare le ambasce in cui ci gettava il drammatico evento a ragazzini abituati a vivere, correre, studiare con gli auricolari di un ipod nelle orecchie?

Ogni tanto, ritrovando in un cassetto i reperti archeologici di un passato morto e sepolto, mi viene una gran botta di nostalgia: nostalgia per la cannuccia di legno e il pennino (che si spuntava così facilmente) e per la boccetta d’inchiostro che si riempiva di “pelucchi” che disegnavano allegri ghirigori sul foglio.

Nostalgia per la bambola con gli occhi di vetro azzurro, un po’ sbarrati, che si chiudevano quando la si faceva sdraiare e che, se opportunamente e innaturalmente ribaltata, diceva “mamma” con una vocina lamentosa e un po’ spettrale.

Nostalgia per la gonna a pieghe e i calzettoni (portati fino alla quarta ginnasio) e per il grembiule nero che, comunque, copriva tutto.

Nostalgia per il mangiadischi dai colori flou, pesantissimo (per via delle sei pile torcia), portatile, ma solo per modo di dire, che permetteva di ascoltare i delicatissimi 45 giri.

Come si fa ad avere nostalgia per  oggetti così scomodi?

Forse è solo nostalgia dell’età passata, di un’età che, adesso, sappiamo essere stata felice (allora era l’età ingrata) e del passato che, in quanto tale, è infinitamente più rassicurante del presente.

Forse.

Lacrime e sangue.

Dico al Parlamento come ho detto ai ministri di questo governo, che non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più terribile delle ordalìe. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza.

Così si espresse Winston Churchill nel discorso alla Camera dei Comuni del 13 maggio 1940 dopo che il sovrano gli aveva affidato l’incarico di formare un nuovo governo che, nelle intenzioni del Premier e del Parlamento doveva essere “concepito sulle basi più larghe possibili e che includesse tutti i partiti“.

Probabilmente il Presidente incaricato, il prof. Mario Monti, si affiderà, quando e se riuscirà a formare il nuovo governo, a ben altra retorica, ma ho l’impressione che il senso del suo discorso sarà più o meno simile: sangue forse no, ma lacrime, fatica e sudore è più che probabile che siano sottintesi.

Il senso di questo momento storico è che dalla palude in cui siamo finiti il Paese può uscirne con il lavoro, la fatica, ma soprattutto con la giustizia, l’unità e la solidarietà.