Archivio mensile:Marzo 2011

Gite di terza.

Ogni anno le classi terze del mio istituto partono per l’agognato viaggio d’istruzione che, solitamente, ha come meta luoghi istituzionali (come ad esempio Strasburgo e il Parlamento Europeo) o siti legati alla storia recente del nostro continente (come lo scorso anno Praga e il ghetto di Terezin).

Per una questione puramente economica di solito i viaggi si effettuano entro la metà di marzo, con un clima spesso infausto, perché più tardi i costi lievitano e diventano proibitivi.

Quest’anno, all’inizio di marzo, in sintonia con le celebrazioni dell’Unità Nazionale, le terze hanno visitato Roma ed hanno avuto l’opportunità di assistere ad una seduta della Camera dei Deputati.

Visto il clima che si respira nel nostro Parlamento in questi giorni è stata una vera fortuna che i ragazzi siano andati a Roma un mese fa, altrimenti sarebbe stata un’impresa ardua continuare a cercare di educarli al rispetto reciproco, al rispetto delle regole e al rispetto delle istituzioni.

roma

Dieci minuti.

Per antica abitudine i miei orologi (la sveglia sul comodino, quello che porto al polso) segnano un’ora legale tutta personale: praticamente tutti hanno le lancette avanti di dieci minuti.

Ho un culto quasi maniacale per la puntualità e quei dieci minuti sono la mia piccola provvista di tempo che mi permette di affrontare gli imprevisti senza patemi.

So benissimo che è più presto di quanto i miei orologi non dicano, ma riesco a dimenticarmene quando mi preparo per un appuntamento, o devo andare a scuola, o devo prendere un treno.

Purtroppo però, nella mia camera da letto, è appeso uno di quegli orologi digitali, collegati con non so bene quale orologio dall’altra parte dell’Europa, che spaccano il millesimo di secondo e non mi lasciano fare i miei rassicuranti trucchetti con i minuti.

Logicamente cerco di ignorarlo trattandolo come una diavoleria tecnologica che sta lì al solo scopo di limitare la mia libertà e di minare le mie certezze, ma non sempre ci riesco e allora sono dolori.

Praga

Il vero e il verosimile.

Il Manzoni era un vero maestro nel mescolare realtà storica e fantasia, il vero e il verosimile appunto, chi legge i “Promessi Sposi” sa che Renzo e Lucia non sono personaggi storici, ma storico è il contesto in cui agiscono, vero è il paesaggio, vera la peste, veri i tumulti del pane, vero il Cardinale Federigo Borromeo, per cui, alla fine, si tendono a considerare reali i protagonisti e, quando si visitano i luoghi manzoniani, non ci si stupisce di vedere la (cosiddetta) casa di Lucia o la salita dei bravi, dimenticando, per un attimo, che il Manzoni descriveva luoghi reali, che conosceva bene perchè li incontrava ogni giorno quando, da ragazzo, andava a servir messa nel convento dei cappuccini (quello di fra’ Cristoforo per intenderci).

Vero storico e vero poetico, quindi, si fondono e si compenetrano nella creazione del romanzo storico.

Nella migliore tradizione di questa commistione tra vero e verosimile si inserisce una recente puntata della trasmissione “Forum” nella quale una aquilana molto verosimile ha raccontato una vicenda (probabilmente di fantasia) inserita in un contesto storico (il terremoto e la ricostruzione).

Come il Manzoni ben sapeva la sua opera maggiore  non era cronaca o informazione, ma, come diremmo oggi, puramente “fiction”.

Lo stesso discorso vale per i suoi epigoni.

Cala il silenzio.

C’è una situazione politica tesissima, sull’orlo della guerra civile, in Costa d’Avorio, ma se ne parla poco o per nulla nei giornali e nei telegiornali: forse siamo distratti dai bagliori di guerra sull’altra sponda del Mediterraneo.

Avvengono atrocità incredibili, la gente cerca di fuggire in massa e, secondo i rapporti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, si tratta di un vero e proprio esodo biblico verso i confini della Liberia, che pure è stata devastata da anni di guerra civile.

Non se ne parla, come non si parla ti tanti conflitti grandi e piccoli, a meno che le conseguenze non ci coinvolgano direttamente.

In casa mia la situazione della Costa d’Avorio è, purtroppo, di strettissima attualità: la signora ivoriana che cura mia madre ogni tanto tenta di telefonare ai due figli, un ingegnere ed uno studente di medicina, che vivono ad Abidjan con sua sorella, ma è difficilissimo riuscire a comunicare e ad avere notizie, ad ogni tentativo andato a vuoto mi guarda angosciata e io faccio fatica a trovare le parole per rassicurarla.

Certo è difficile farsi carico di tutte le violenze del mondo, ma ogni tanto potrebbe essere utile che i nostri telegiornali dedicassero qualche minuto alle guerre dimenticate.

Venghino, siori venghino.

Lo so che il momento è delicato e che dovrei prestare attenzione alle notizie che giungono dal Giappone e dalla Libia, notizie che leggo quotidianamente con apprensione e con angoscia, notizie che, come si comprende dal mio silenzio di questi giorni, non riesco neppure a commentare.

Tuttavia ieri, scorrendo i titoli dei quotidiani online, mi sono imbattuta nel nuovo spot pubblicitario che dovrebbe rilanciare il turismo nostrano e sono rimasta basita.

Con un sottofondo musicale da pieno d’orchestra, si presenta il Premier, in abito scuro, con il suo miglior sorriso da imbonitore e, sciorinando numeri a caso (alcuni palesemente fantasiosi) come se l’arte fosse solo questione di quantità, ci stupisce con un “Lo sapevate?” di vulviana memoria, e ci invita a usare le prossime vacanze per conoscere meglio le meraviglie del nostro paese (il paese che ama).

A detta del ministro competente lo spot non è costato nulla poiché il testimonial ha prestato il suo volto (martoriato da percosse e interventi di alta chirurgia) gratuitamente, ma, visto lo stato in cui versa il turismo nazionale, non era il caso di affidarsi a qualcuno di più credibile?

Per fortuna lo spot dovrebbe avere diffusione solo in ambito nazionale, così possiamo sperare di limitare i danni.

Stranieri in casa nostra.

Chi sono questi stranieri che non rispettano la nostra bandiera, non cantano il nostro inno, insultano la nostra capitale, non festeggiano il compleanno della nostra Nazione?

Ma soprattutto come mai siedono  nel nostro Governo e nel nostro Parlamento?

Cantami quella dei fratelli.

In una delle sue più esilaranti interpretazioni Massimo Troisi si spacciava per cantautore (menestrello) con una ragazzina ingenua e un po’ stordita, interpretata da una splendida Amanda Sandrelli, e riproponeva canzoni moderne come se fossero sue creazioni.

Ad un certo punto, a corto di ispirazione, canticchia il Canto degli Italiani” tanto che Benigni, che viene a cercarlo per condurlo a fermare Cristoforo Colombo, lo apostrofa con un sonoro “Mameli!”

Ripensavo a quella scena proprio ieri mentre nella palestra della scuola il coro dei bambini della primaria, tutti schierati con le magliette verdi, bianche e rosse, circondati da quelli più grandi della secondaria intonavano l’inno nazionale durante una emozionante cerimonia dell’alzabandiera alla presenza delle autorità.

Mi veniva da sorridere e da riflettere sul fatto che, spesso, nel cantare il nostro inno, diamo rilievo a tante parole e ci scordiamo di quel “fratelli” che forse può suonare un po’ retorico, ma che racchiude in sè tutto il valore del nostro essere nazione.

In quel “fratelli” sono già comprese le idee di solidarietà, di uguaglianza che sono tra i fondamenti della carta costituzionale.

Purtroppo le vicende storiche e l’attualità ci fanno scordare che alla base del nostro vivere insieme ci sono quei principi.

Il mio augurio e la mia speranza sono che, almeno oggi, ce ne ricordiamo un po’.

Ancora bianco, rosso e….

Qualche anno fa, quando sul mio balcone avevo esposto la bandiera della pace, che restò lì fino a quando i colori non furono pi distinguibili (come a dire che di pace abbiamo sempre bisogno) un mio dirimpettaio mi apostrofò in malo modo dicendomi che dovevo togliere quello straccio, che ero anti italiana (perchè non appoggiavo una spedizione militare che non capivo) e che ero una maledetta comunista (epiteto che ormai non si nega a nessuno).

Qualche tempo fa lo stesso signore concionava in un bar sulle nostre missioni all’estero, sul loro costo esorbitante, sulla loro sostanziale inutilità e io non ho avuto cuore di apostrofarlo chiamandolo comunista e anti italiano (pazienza).

Oggi sono riuscita finalmente ad appendere il tricolore (reduce di vittorie mondiali per nulla militari) al mio balcone, mi aspetto che il mio dirimpettaio mi accusi di nuovo di essere comunista.

Spero solo he non definisca la bandiera “quello straccio” e che non mi accusi di essere anti italiana…questo proprio non lo sopporterei.

Torino 2011

Bianco, rosso e…

Scrivo da Torino, la prima capitale del Regno d’Italia, che in questi giorni si è rivestita di bianco, di rosso e di verde in un tripudio di bandiere che garriscono sui pennoni, che fioriscono alle finestre di tante abitazioni che fanno capolino dalle vetrine dei negozi.

Ci sono venuta apposta a Torino, per capire se, almeno qui, i festeggiamenti per il centocinquantenario dell’unità nazionale  sono un fatto reale.

Gli antichi palazzi che hanno visto i primi vagiti della nostra nazione, le dimore abitate dai protagonisti del Risorgimento sembrano vestite a festa e ho avuto l’impressione, passeggiando all’ombra del Palazzo Reale, o di Palazzo Carignano (dove è nato Vittorio Emanuele II), o lungo via Lagrange davanti all’abitazione di Cavour di immergermi nella storia patria.

Avevo bisogno di un po’ di retorica nazionale, avevo bisogno di ripercorrere, nella mostra allestita a Palazzo Reale, gli eventi di una storia troppo spesso relegata nelle pagine polverose dei libri di scuola, ne avevo bisogno per ricordarmi che la nostra nazione è nata dal sogno di tanti giovani donne e uomini che hanno fortemente voluto una Italia unita.

In questi giorni a Torino ho respirato la storia.

Ogni tanto fa bene.

Torino 2011

Poco da festeggiare.

Quest’anno non sono in vena di festeggiare (non che in precedenza abbia mai festeggiato, a voler ben guardare), ma quest’anno, in particolare le mimose hanno un po’ il sapore della presa in giro e ne ho accettato un rametto, che mi è stato gentilmente offerto, più per cortesia che per convinzione.

A meno di un mese da una grande manifestazione in difesa della dignità delle donne ho l’impressione che, sotto tutti i cieli, che siano coperte dalla testa ai piedi o scoperte dalla testa ai piedi, le donne non siano cittadine a pieno diritto.

Per lo meno, formalmente lo sono, ma quante devono ancora firmare una dichiarazione di dimissioni in bianco al momento dell’assunzione (non si sa mai, potrebbero rimanere incinte),  quante vedono tramutarsi l’amore in violenza, senza che nessuno prenda sul serio le loro grida d’allarme, o quante, nelle professioni, devono dimostrare di essere in gamba il doppio degli uomini, per essere considerate “brave” come gli uomini?

I maschietti non ti cedono il passo o il posto in autobus (“avete voluto la parità” ti dicono con un sarcasmo neanche tanto velato), anche se poi l’effettiva parità spesso si ferma lì.

Per non parlare della politica dove la specie protetta (proprio come i panda) è stata omaggiata delle famigerate “quote rosa”, fermo restando che, se una signora dimostra particolare talento o determinazione, il commento elegantissimo che si sente rivolgere è “ha le palle”, come a dire che la politica è cosa da uomini e per farsi strada bisogna rinunciare alla propria femminilità oppure (a scelta) puntare proprio sulla femminilità.

Non ho mai pensato che le donne siano migliori degli uomini, ma che esistano donne e uomini migliori, ma la via per dimostrarlo è ancora lunga.

Festeggerò quando avremo raggiunto la meta.