Archivio mensile:Novembre 2010

Andare.

Da diverso tempo sono ferma, incastrata tra il lavoro, la casa, gli impegni istituzionali e ormai i miei piedi hanno voglia di andare e quasi si muovono da soli.

E’ ormai lontano il brevissimo week end passato nello splendore delle Langhe e manca ancora molto alle vacanze di Natale, e allora il desiderio di partire diventa bruciante, è un’urgenza che ho dentro, un vero e proprio bisogno.

Ho bisogno di cambiare panorama, ho bisogno di spalancare la finestra su un altro paesaggio che mi racconti nuove emozioni.

O forse mi basta chiudere gli occhi e immaginare il viaggio, perché sognare la meta è già un mettersi in cammino.

Quasi una pausa di riflessione.

Di solito, quando un rapporto traballa, una parte (o entrambe) della coppia invoca “una pausa di riflessione” : una terrificante espressione che spesso prelude ad una separazione, infatti quando si parla di “pausa di riflessione” la riflessione porta, quasi inevitabilmente, ad un allontanamento.

Anch’io ho bisogno di una pausa di riflessione e non perché abbia in animo di separarmi da questo blog, che ormai è parte della mia giornata, ma perché ho bisogno di capire.

Non mi piace commentare notizie troppo fluide che potrebbero (e possono) mutare di ora in ora, non mi piace seguire la spasmodica attesa del 14  dicembre, con le dichiarazioni quotidiane, in cui si dice tutto e il contrario di tutto, non mi piace appassionarmi alle rivelazioni (per ora poco rivelanti) di WikiLeaks, prima di capire di che cosa veramente si tratta, non mi piace l’idea di piangere (non adesso, non subito) un grande come Monicelli, che ho amato tantissimo e che tanto mi ha insegnato.

Non me ne vado, però, non ho deciso di chiudere questo blog, più semplicemente me ne sto qui, sto a guardare, cerco di capire e scriverò quando avrò qualcosa di intelligente (o di sciocco) da dire.

Come sempre, del resto.

Le ricerche ai tempi della Lim.

Quando ero una ragazzina e frequentavo la scuola media si cominciava a parlare di “ricerche” che allora venivano considerate un modo innovativo di studiare, le case si riempivano di enciclopedie che le case editrici, che avevano fiutato il vasto bacino di utenza, sfornavano a spron battuto  (chi, della mia generazione, non ricorda la mitica “Conoscere“?).

Le “ricerche” erano una faccenda complessa: si lavorava in gruppo, si leggevano testi, si facevano riassunti e poi si trascriveva in bella scrittura il risultato del duro lavoro che veniva esposto in classe ad un pubblico spesso annoiato.

Poi venne l’era delle fotocopie e, spesso e volentieri, il lavoro di ricerca si limitava semplicemente a ricercare gli articoli da fotocopiare allegramente.

L’avvento di internet, dei motori di ricerca e di Wikipedia ha ulteriormente semplificato il lavoro, rendendolo, peraltro, del tutto inutile e di scarsissimo valore didattico.

Così mi sono rassegnata a rinunciare a ricerche, tesine e amenità consimili che altro non erano che velocissimi processi di “copia e incolla”.

Solo ultimamente l’introduzione della Lim in classe ha ridato un senso al lavoro dei miei ragazzi che elaborano semplici presentazioni e le illustrano ai compagni.

Di solito si susseguono immagini suggestive e interessanti con brevissime didascalie che i ragazzi presentano con abbondanza di particolari e linguaggio appropriato, sforzandosi di trovare notizie inedite e particolari curiosi che possano attirare l’attenzione dei compagni.

Forse, grazie alla Lim, il lavoro di ricerca ha ancora un senso e, soprattutto, i ragazzi possono ritrovare il gusto di approfondire e la curiosità di scoprire.

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Tredicesime.

Si comincia a parlare di tredicesima e la stampa, scritta e parlata, scopre che gli italiani quest’anno non si dedicheranno allo shopping sfrenato ma utilizzeranno i soldini in più per pagare le rate dei mutui, le bollette in arretrato, qualche debito accumulato durante l’anno.

Niente caviale e champagne, quindi, e neppure acquisti da Cartier (o Tiffany per chi sta a Milano), soprattutto per coloro che, avendo un contratto atipico, la tredicesima se la sognano ( come le ferie o la malattia).

In casa mia, da tempo immemorabile e ben prima della crisi, ci siamo sempre astenuti dallo shopping natalizio: di solito ci limitiamo ad acquistare ciò che ci serve quando ci serve anche se il mese di dicembre (e gennaio) è quello dei rinnovi di una serie di iscrizioni e abbonamenti (dal Touring Club al C.A.I, dall’ Auser alla associazione del “LIbro Parlato”, per non parlare del canone R.A.I. che mi ostino, contro ogni logica, a pagare).

Poi ci sono tutte quelle associazioni di volontariato (quelle dei fondi del 5 x 1000 saccheggiati) che allestiscono mercatini, vendite straordinarie, raccolte di fondi e come si fa, con la tredicesima in tasca, a fare finta di niente e tirare dritto?.

E per quest’anno la tredicesima è sistemata.

Una firma per la civiltà.

E’ possibile firmare in rete l’appello, rivolto a deputati e senatori, contro la limitazione a 100 milioni dei fondi da destinare al “5 x 1000” per il 2011.

In buona sostanza lo stato tratterrebbe per sè tre quarti della cifra  ( già ridotta rispetto al totale dei fondi raccolti) destinata lo scorso anno alle organizzazioni no-profit.

Si tratta di organizzazioni che agiscono nel mondo della cooperazione internazionale, nella ricerca, nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e che spesso suppliscono alle mancanze dello stato grazie alla generosità di chi si impegna a raccogliere e donare fondi e al lavoro gratuito di migliaia di volontari.

Emergency (una delle organizzazioni toccate dai tagli) ha diffuso un comunicato choc: “Da domani potremo curare un malato su quattro. Chi sarà il fortunato?”.

Io non voglio pensare che ricevere delle cure debba essere una specie di terno al lotto, non voglio pensare che la volontà di migliaia di cittadini, che hanno liberamente scelto di destinare alle organizzazioni di cui si fidano il 5 x 1000, non conti proprio nulla, non voglio pensare che si faccia cassa depauperando associazioni che svolgono compiti preziosi e spesso insostituibili.

Vorrei essere sicura che la mia firma (e quella dei miei familiari) continui a sostenere i volontari che accompagnano gli anziani all’ospedale per le visite mediche, o le signore che affiancano i malati terminali o i bambini in ospedale, o i donatori di voce che permettono a mia madre di trovare conforto nel buio della sua cecità.

Vorrei che la mia volontà di cittadino fosse rispettata.

Vicini di casa insopportabili.

C’è uno spot pubblicitario (che reclamizza credo una merendina) che mi fa innervosire in modo esponenziale.

Il protagonista è un giovane atleta di belle speranze che trova, nei recessi più reconditi di un armadietto della cucina, un’ultima, tristissima, abbandonata merendina e si accinge, con la giusta dose di goduria, ad addentarla, quando suona il campanello.

E’ sempre lei, la ragazza che lo perseguita da una serie infinita di spot, che ha trovato casa vicino alla sua, anzi si istalla direttamente nell’appartamento del giovane, in cerca di cibo.

E’ di gusti difficili, la donzella, vuole qualcosa di più sfizioso di un toast o di meno calorico di una fetta di torta, e punta direttamente alla merendina che il giovane cerca invano, non senza qualche  imbarazzo, di nascondere dietro la schiena.

La ragazza scopre il suo gioco, anzi lo accusa persino di fare il furbo e lo obbliga a condividere.

Mi verrebbe spontaneo buttarla fuori di casa, “ma chi l’ha invitata?”, mi chiedo, “ma dove sta scritto che un povero giovane sia obbligato a dividere con lei l’ultimo boccone che, verosimilmente, ha acquistato e pagato?”.

Invece lui, rassegnato (ma anche un po’ seccato) condivide.

Se avessi una vicina di casa così, probabilmente sparerei.

Itaca.

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sara` questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne’ nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; piu’ profumi inebrianti che puoi,
va in molte citta` egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

Kostantin Kavafis

Io sono ancora in viaggio, con gli occhi e la mente ben aperti, sempre curiosa, desiderosa di imparare e di scoprire…

Cinque terre

Zappingando.

In una delle rare sere trascorse in casa, doverosamente davanti alla televisione, faccio un po’ di zapping, qua e là, senza appassionarmi troppo ai programmi in cui mi imbatto: mi passano davanti spezzoni di polizieschi cruentissimi, dibattiti politici, pezzi di film più o meno antichi.

E poi mi impianto davanti allo spettacolo di due bambini (avranno sì e no dieci anni) che cantano una delicatissima, sofferta canzone di Tenco, una canzone d’amore dal testo difficile ed essenziale, come di solito sono i testi delle canzoni di Tenco.

Resto un po’ allibita: che senso ha, mi chiedo, far cantare a dei bambini un testo che, per età, esperienza di vita e sensibilità non sono in grado di comprendere?

Mi spiace, ma il senso non riesco a trovarlo.

Perchè non lasciare che i bambini abbiano pensieri e parole da bambini?

Il lifting e la ricerca della felicità.

Viviamo tempi difficili nei quali l’aspetto, l’apparenza spesso contano più della sostanza: non è indispensabile essere giovani e belli, basta sembrarlo ed il gioco è fatto.

Se lo specchio restituisce un’immagine diversa da quella desiderata basta un po’ di chirurgia estetica, un tirante qua, una puntura là per ottenere un aspetto levigato, magari inespressivo, ma liscio come il marmo.

Tutto ciò che è vecchio, rugoso, imperfetto può essere migliorato, “normalizzato”, può ritrovare l’aspetto di un tempo.

L’aspetto di un tempo, appunto, come è successo al gruppo scultoreo (momentaneamente ospite di Palazzo Chigi) che è stato sottoposto più che a un restauro ad una vera e propria operazione di lifting.

A Venere sono spuntate come per magia le mani (e non è detto che prima o poi  non si provveda ad una ritoccatina al seno), mentre il dio Marte si è visto miracolosamente restituire la virilità perduta.

Non si tratta di un restauro, come dicevo, proprio perchè il restauro non prevede la ricostruzione posticcia di parti mancanti, ma chi può negare che ora le statue sembrino come nuove?

Appunto: sembrino.

Stia in guardia Pasquino: vista la moda imperante potrebbe ritrovarsi un bel corredo di arti nuovi nuovi.

roma

Nessun colpevole, come sempre.

Tra i ricordi dell’adolescenza e della giovinezza ci sono quelli delle stragi, la strage di Piazza Fontana che mi aveva colpito particolarmente perchè aveva ferito la mia città proprio nel periodo tra la festa del Patrono (che allora forse era più sentita) e il Natale, l’altra, un po’ più recente, è quella di Piazza della Loggia a Brescia della quale ricordo bene la registrazione radiofonica con il susseguirsi dei suoni: l’esplosione, le urla, le concitate istruzioni del servizio d’ordine e poi una secca, dolente bestemmia.

Ieri è terminato il processo e, come era purtroppo prevedibile, la strage è rimasta impunita con buona parte delle vittime e dei feriti.

Non ho più cuore di seguire queste vicende giudiziarie, non riesco più ad accettare che non si riesca mai, ma proprio mai, ad appurare la verità e a fare giustizia.

Eppure mi piacerebbe vivere in un paese normale nel quale al dolore non debba sempre aggiungersi la vergogna del silenzio.

Brescia