Tra le discussioni estive, quelle, per intenderci,che si consumano nello spazio di pochi giorni sotto l’ombrellone, è saltata fuori la storia del telefonino perduto con una serie di messaggi che definire criptici è un eufemismo.
C’è stato un grande stracciamento di vesti per la temuta, prevedibile, decadenza della lingua italiana, ammazzata dagli acronimi, dalle K, dalla scomparsa delle doppie.
D’altra parte si tratta di un vero e proprio nuovo linguaggio, nato dalla necessità di scrivere in fretta. in poco spazio, con grande risparmio di caratteri, un nuovo linguaggio che però, ben presto, è uscito dallo stretto ambito degli s.m.s. per debordare in tutte le manifestazioni della lingua scritta ivi inclusi i temi in classe (che io sanziono con particolare durezza).
Come tutti i linguaggi, però, non è sufficiente lamentarsi per la corruzione dei costumi, ma è necessario cercare di comprenderlo e, in questo senso, il testo rinvenuto nella memoria del telefonino ricorda un po’ la stele di Rosetta.
Non dobbiamo neppure pensare che l’uso di abbreviazioni e acronimi sia solo un segno della decadenza dei tempi in cui viviamo, in fondo chi ha studiato epigrafia sa che anche gli antichi romani sulle lapidi (vista l’ovvia mancanza di spazio) abbreviavano i testi in modo anche talora arbitrario.
Ricordo quanto mi facevano soffrire espressioni del tipo Q.Q.V.P.XXX.
In questo gli antichi romani e i giovani italiani hanno molto in comune anche se, a dire il vero, è inquietante osservare che anche la lingua latina è scomparsa.