Archivio mensile:Agosto 2010

Piccole cose da aggiustare.

Il rientro a casa dopo due mesi di solito  è segnato dalla scoperta di piccoli grandi guasti che, durante la nostra assenza, non hanno trovato niente di meglio da fare che venire allo scoperto.

E così devo lottare con lampadine defunte, scarichi ostruiti da stalattiti di calcare, televisori che perdono nell’etere i canali, rubinetti che gocciolano come se fossero afflitti da rinite cronica.

E poi ci sono le bollette sepolte nella cassetta della posta e l’indispensabile visita dal parrucchiere, il frigo inesorabilmente vuoto e il passaggio obbligato in farmacia.

Sono tutte incombenze che vanno sbrigate in fretta perchè domani si torna a scuola e il tempo libero si ridurrà in modo drammatico.

Le immagini della memoria.

Passo il pomeriggio tra un lento e recalcitrante riordino degli indumenti estratti a fatica  (una fatica oserei dire tutta mentale) dai bagagli e il caricamento su flickr delle foto scattate durante questi due mesi di vacanza.

Le foto sono molto simili a quelle degli scorsi anni (e anche i bagagli del resto) visto che vado sempre in vacanza nello stesso posto e che le passeggiate, nonostante la mia buona volontà, più o meno sono sempre le stesse, ma non importa, mentre le scorro con lo sguardo per caricarle mi tornano alla mente sensazioni, colori, profumi, atmosfere e voci e ogni foto mi riporta un po’ dei giorni trascorsi, che sembrano sempre uguali, ma sono sempre diversi.

Forse non ricordo più perché ho scelto di fissare un’immagine, ma l’immagine resta, vive quasi di vita propria, si carica di nuove emozioni, parla a me e a chiunque la guardi in modo diverso e può raccontare storie diverse.

Amo questo racconto muto.

Piani di Artavaggio 2010

Butta la treccia.

Mi piace osservare i comportamenti delle persone e riflettere, lo dico spesso, perchè la gente è varia, si comporta nei modi più diversi e, a mio parere, c’è sempre qualcosa da imparare.

Oggi, mentre aspettavo degli amici seduta su una panchina della piazzetta, mi sono imbattuta in una splendida ragazza dai lunghissimi capelli neri che se ne stava tranquilla a prendere il sole su un balcone al terzo piano di una graziosa palazzina.

Sembrava una fanciulla da fiaba, di quelle che gettano la treccia dalla torre per permettere al principe di turno di arrampicarsi e salvarla.

Poi la “principessa”, all’improvviso, ha deciso di pettinare le chiome fluenti e ha cominciato a farlo con gesti lenti e aggraziati.

Alla fine, però, ha raccolto i capelli caduti e, sempre con infinita grazia, li ha buttati sul balcone sottostante.

La caduta di un mito.

… e si torna.

I mesi estivi sono passati, come sempre, troppo in fretta: quel patrimonio di giorni, ore, minuti che a giugno sembrava enorme si è consumato alla velocità della luce e mi ritrovo agli sgoccioli di questa vacanza con poca voglia di tornare alla pianura e alla vita “normale”.

L’ultima incombenza, quella di rifare i bagagli con uno spirito ben diverso rispetto a due mesi fa, non mi attira per nulla, ma mi tocca (come spesso vado ripetendo qualcuno il lavoro sporco lo deve pur fare).

Da lunedì ricomincerà la solita lotta quotidiana tra casa, lavoro e amministrazione comunale e, probabilmente, tornerò ad essere fedele al mio blog che durante l’estate (complice la connessione lenta o inesistente) ho trascurato.

L’importante è affrontare i giorni che verranno con la consapevolezza che non si tratta di una fine, ma di un nuovo inizio.

E allora si va a cominciare.

Si va…

Gli zaini sono pronti, ci sono gli indumenti (estivi e invernali, in questo mese di agosto non si sa mai), la macchina fotografica, un buon libro e poche altre cose, siamo pronti per partire, domani mattina, per i nostri abituali tre giorni in rifugio nella splendida cornice della Val Biandino.

Mi piace l’idea di tornare lassù (come negli anni scorsi) anche se ormai della valle conosco anche i sassi, ma non importa, non importa ripercorrere gli stessi sentieri, non importa ritrovare gli stessi panorami, quello che importa veramente è trascorrere tre giorni lontano da tutto e da tutti, tra persone ospitali e gentili, nel silenzio dell’alpeggio.

Si tratta della mia “beauty farm” dell’anima, del mio annuale stage dello spirito: è un’esperienza che mi fa bene, che mi aiuta a stare meglio con me stessa e con gli altri, che mi lascia il tempo di pensare.

Non vedo l’ora di partire.

Val Biandino

L’ora dell’aperitivo.

L’ora dell’aperitivo in realtà per noi è l’ora del caffè tardo pomeridiano, usciamo di casa per fare un po’ di spesa (soprattutto se durante la giornata siano stati a scarpinare), ci fermiamo al bar, quello con i tavolini sulla terrazza, mentre beviamo un caffè (anche se intorno a noi cominciano a circolare aperitivi e stuzzichini) diamo un’occhiata al giornale locale.

Ci fermiamo un attimo a chiacchierare con qualche conoscente perchè è l’ora in cui tutti sono per la strada, ne approfittiamo per spettegolare un po’, informarci sulle novità del paese, sulle iniziative organizzate dal comune o dalla parrocchia, su mostre e concerti d’estate o gite in montagna: sono momenti di puro ozio, ma servono anche quelli a rilassarci un po’.

Poi si torna a casa, dopo lo “struscio” nella via principale (che è anche un po’ l’unica) perchè è l’ora di cucinare la cena.

Anche questa è vacanza.

Il cimitero degli elefanti.

In famiglia siamo molto conservatori nel senso che tendiamo a conservate tutto: vecchi biglietti d’autobus e dei metro delle città che abbiamo visitato negli anni, i biglietti d’ingresso dei musei, monete e banconote fuoricorso (mandate in pensione in mezza Europa dall’avvento repentino dell’euro), cartine di città che, nel frattempo, sono cambiate radicalmente e hanno visto la scomparsa, ad esempio, di un muro che le attraversava da parte a parte e tante altre cianfrusaglie delle quali non riusciamo a liberarci perchè sono cariche di ricordi.

Poi ci sono gli oggetti che non buttiamo via perché “non si sa mai” come i telecomandi di televisori e videoregistratori che non esistono più, i carica batterie di telefonini antidiluviani che hanno tirato le cuoia, gli imballi che “è indispensabile conservare” di computer e stampanti che si sono dissolte negli anni (ma gli imballi, polistirolo incluso, sono ancora lì ad ingombrare lo sgabuzzino).

Si tratta del nostro personale cimitero degli elefanti che, prima o poi, dovremo deciderci a smantellare.

Saggezza popolare.

La sapevano lunga i nostri nonni che vivevano, sicuramente più di noi, a stretto contatto con la natura e con le intemperanze del clima e avevano imparato a trarre auspici dai fenomeni meteorologici.

In giornate come questa in cui, tra le mie montagne, ha piovuto e grandinato senza ritegno avrebbero commentato un po’ sconsolati” la prima aqua de agùst la rifrésca el busch” (traduco per i non padani “la prima acqua di agosto rinfresca il bosco”) come a dire che con i primi temporali di agosto l’estate si avvia inesorabilmente al suo declino.

A ben vedere non avevano tutti i torti visto che oggi ci sono temperature più adatte ad un inverno mite che ad una coda d’estate e, a guardare dalla finestra, si ha l’impressione che il tanto vituperato caldo di luglio sia ormai archiviato definitivamente.

Avremo ancore giornate di sole (almeno spero), ma con un brivido sottile che annuncia che è quasi ora di risintonizzarsi con il ritorno a casa e al lavoro.

Peccato!

La stele di Rosetta.

Tra le discussioni estive, quelle, per intenderci,che si consumano nello spazio di pochi giorni sotto l’ombrellone, è saltata fuori la storia del telefonino perduto con una serie di messaggi che definire criptici è un eufemismo.

C’è stato un grande stracciamento di vesti per la temuta, prevedibile, decadenza della lingua italiana, ammazzata dagli acronimi, dalle K, dalla scomparsa delle doppie.

D’altra parte si tratta di un vero e proprio nuovo linguaggio, nato dalla necessità di scrivere in fretta. in poco spazio, con grande risparmio di caratteri, un nuovo linguaggio che però, ben presto, è uscito dallo stretto ambito degli s.m.s. per debordare in tutte le manifestazioni della lingua scritta ivi inclusi i temi in classe (che io sanziono con particolare durezza).

Come tutti i linguaggi, però, non è sufficiente lamentarsi per la corruzione dei costumi, ma è necessario cercare di comprenderlo e, in questo senso, il testo rinvenuto nella memoria del telefonino ricorda un po’ la stele di Rosetta.

Non dobbiamo neppure pensare che l’uso di abbreviazioni e acronimi sia solo un segno della decadenza dei tempi in cui viviamo, in fondo chi ha studiato epigrafia sa che anche gli antichi romani sulle lapidi (vista l’ovvia mancanza di spazio) abbreviavano i testi in modo anche talora arbitrario.

Ricordo quanto mi facevano soffrire espressioni del tipo Q.Q.V.P.XXX.

In questo gli antichi romani e i giovani italiani hanno molto in comune anche se, a dire il vero, è inquietante osservare che anche la lingua latina è scomparsa.

La maglia di lana ai tempi di facebook.

Va bene, lo ammetto, sono una mamma apprensiva e un po’ chioccia e, anche se il mio pargolo è un uomo adulto, ogni tanto avrei la tentazione di chiedergli se si è messo la “maglia di lana”, ma mi trattengo perchè ho ancora un barlume di senso del ridicolo.

Mi trattengo anche dal chiedergli di darmi ogni tanto un colpo di telefono, per Bacco è un uomo, ha la sua autonomia (come è giusto che sia) e non deve raccontare alla mamma tutto quello che fa.

Mi trattengo, ma faccio fatica, in fondo è l’unico figlio che ho e i figli, si sa, so “pezz’è core”.

Mio figlio, che mi conosce benissimo e, probabilmente, apprezza i miei sforzi, anche se ogni tanto si lascia andare a commenti ironici, usa uno stratagemma per darmi sue notizie (quelle che ritiene giusto darmi): ogni tanto lascia un post su facebook o su twitter e io mi rendo conto che, spesso, sono a mio esclusivo uso e consumo.

Così quando accendo il computer, do un’occhiata a facebook e non gli rompo le scatole.

Ogni tanto però mi piacerebbe scrivere un commento del tipo: “ti sei messo la maglia di lana?”