Archivio mensile:Febbraio 2010

Repetita juvant.

Credo di aver affrontato l’argomento diverse volte, ma, come dicevano gli antichi romani (che di latino un po’ ne sapevano): “repetita juvant” e quindi conviene ripetere, chissà che il concetto non passi.

Il concetto che vorrei che passasse è semplice: una scuola che si vanta delle insufficienze, una scuola che sparge a piene mani i cinque in condotta non è la scuola del rigore, non è la scuola della serietà è solo una scuola che abdica al suo compito.

Gli insegnanti non sono le persone incaricate, alla fine di un quadrimestre, di registrare successi e insuccessi come se fossero dei burocrati alle prese con numeri e statistiche, gli insegnanti sono coloro che, attenti ogni giorno all’andamento del proprio lavoro, cercano tutte le strategie, tutti gli strumenti, tutti gli effetti speciali che permettano loro di non dare nessuna insufficienza.

Il compito degli insegnanti è quello di motivare gli allievi, di interessarli, di appassionarli: è un compito difficile, a volte arduo, ma questo è il nostro lavoro e non possiamo limitarci solo a spiegare, verificare e valutare.

Vorrei ricordarLe, Signor Ministro, che la scuola seria, la scuola rigorosa non è quella che boccia è quella che, più semplicemente, insegna.

Documenti.

Il passaporto collettivo dei ragazzi è finalmente arrivato, trasportato con la stessa cura con cui si tratterebbe un neonato, curato a vista da tutti: il prezioso documento che ci permette di portare sessanta pargoli a Praga troneggia sul tavolo dell’aula professori tra l’incredulità degli astanti.

La partenza è fissata per lunedì alle sei, il torpedone (così lo definisce il prezioso documento di cui sopra) ci prenderà in carico nel piazzale davanti alla scuola.

Ci aspettano cinque giorni di viaggio, di scarpinate nella città d’oro, di notti probabilmente insonni, ma comunque vale la pena di fare l’esperienza di un viaggio con i ragazzi.

La scuola dell’eccellenza.

Qualche tempo fa, assistendo ad una puntata di Presadiretta, mi sono sentita profondamente amareggiata per l’abisso in cui sta precipitando ( o è già precipitata) la scuola pubblica e il divario sempre più ampio che la divide dalla scuola privata.

Anche nella scuola dove insegno si vedono i segni della “cura dimagrante” dei conti pubblici: sono state tagliate le compresenze e  molti laboratori, ma se di fatto il tempo scuola quantitativamente non è cambiato, la qualità dell’offerta formativa è ben diversa rispetto a due anni fa.

Sono indignata perchè vedo risorse dirottate verso chi ha già tante opportunità, mentre chi non può permettersi (o non vuole farlo) una scuola privata costosa vede la scuola pubblica sempre più depauperata.

Sono indignata, è vero, ma mi è anche venuto un soprassalto di orgoglio: se è vero che con i soldi si possono fare tante cose è pur vero che la mancanza di risorse non fa, necessariamente, della scuola pubblica una scuola da terzo mondo, perchè noi insegnanti siamo la risorsa dei nostri allievi, noi con le nostre competenze, con la nostra cultura, con la nostra passione.

Non dobbiamo aver paura di trasmettere molto, dobbiamo far capire ai nostri ragazzi che “noi” siamo la loro opportunità di crescere. che devono spremerci come limoni per ottenere da noi tutto ciò che possiamo dare.

Se riusciremo a trasmettere ai nostri ragazzi il desiderio di imparare, l’amore per la conoscenza e la curiosità  avremo creato una “scuola d’eccellenza” anche con pochi quattrini e senza troppe strutture.

Questa è la nostra sfida, questo è il nostro compito e non dobbiamo avere paura di provarci e dobbiamo farlo con entusiasmo, i ragazzi capiscono quando faccoiamo le cose con la testa e col cuore e, di solito, ci seguono.

Infinitamente grande, infinitamente piccolo.

Sono sempre stata attratta dall’astronomia, dall’osservazione del cielo, mi piacerebbe conoscere il nome delle stelle e riconoscere le costellazioni, sono affascinata dalle enormi distanze, “dall’interminato spazio e sovrumani silenzi” che riesco solo ad intuire quando guardo il cielo.

Sono una dilettante assoluta, ho un piccolo telescopio con il quale mi sforzo di esplorare il buio profondo e di osservare i corpi celesti, mi appassiono alle foto pubblicate sul sito della Nasa che mi raccontano di mondi lontani.

Così mi è capitato di vedere un ingrandimento di una immagine ripresa dalla sonda Cassini: in primo piano, enormi, ci sono gli anelli di Saturno e sullo sfondo, nel buio dello spazio, un puntino luminoso che la didascalia descrive come la Terra.

Ecco l’astronomia mi piace proprio per questo, perchè mi insegna che non bisogna mai prendersi troppo sul serio, perchè tutti noi siamo un puntino luminoso infinitamente piccolo nell’infinitamente grande dell’universo, perchè tutto il nostro correre ed affannarci, visto da lontano, conta veramente nulla.

E’ la stessa sensazione che provo, nelle notti limpide in alta montagna, quando osservo la Via Lattea ed è una sensazione di incredibile serenità.

La musica delle parole.

Ehi raga che forza, adesso si può fare il Karaoke con le poesie dei grandi classici della letteratura italiana e pazienza se sarà un po’ come cantare in inglese (della serie so il testo, ma non l’ho mica tanto capito, però riesco a cantarlo e tanto basta).

Ma veramente si può pensare che in questo modo si riesca a far digerire la poesia ai ragazzi? E poi era proprio indispensabile ingaggiare la paroliera del premier? Mi sembra che le parole ci fossero già e che fossero sufficientemente sublimi.

Vorrei sapere chi ha avuto la bella idea di buttare via qualche paccata di euro per mettere in musica ciò che ha già una intrinseca inarrivabile musicalità.

Le parole della poesia sono parole delicate, vanno lette ad alta voce, possibilmente nel silenzio e posso garantire, per esperienza personale, che quando si riesce a farlo i ragazzi hanno sufficiente sensibilità per “sentire” la musica delle parole e per lasciare che l’armonia scivoli dentro di loro.

Questa operazione mi sembra superficiale e poco “didattica”, non insegna a comprendere e ad amare la poesia, insegna un’accozzaglia di parole messe in fila: nessuna canzonetta potrà mai riprodurre la dolente consapevolezza del”sole che abbaglia” e dei “cocci aguzzi di bottiglia”.

I padri della letteratura ringraziano sentitamente.

Firenze

Sindrome nucleare.

Una strana sindrome colpisce i candidati alle elezioni regionali del centrodestra: tutti sono più o meno d’accordo con la necessità di un ritorno al nucleare, ma tutti, fedeli al buon vecchio NIMG, non vedono di buon occhio la localizzazione di una centrale nel territorio che si accingono a governare.

Sarò maliziosa, ma ho la sensazione che queste ferme prese di posizione abbiano a che fare con le strategie della campagna elettorale e temo che, all’indomani della vittoria, si apriranno cantieri un po’ dovunque.

D’altra parte il rifiuto di ospitare le centrali nel proprio territorio non è molto sensato, delle due l’una: o le centrali non sono sicure e allora non ha senso rifiutarsi di costruirle in regioni che non hanno le dimensioni del Texas (un incidente in una regione limitrofa avrebbe conseguenze catastrofiche anche su quelle circostanti: Chernobyl docet), oppure le centrali sono strasicure e allora non ha senso rifiutarsi di costruirle.

Comunque possiamo stare tranquilli: tra poco più di un mese sapremo come andrà a finire.

La pietra dello scandalo.

Pare che, nell’antica Roma, chi falliva doveva sedersi violentemente su una pietra e gridare forte “Cedo bona” (cedo tutti i miei beni), la cerimonia  andava ripetuta per tre volte e solo in questo modo l debitore insolvente non poteva più essere perseguitato dai creditori, logicamente la pietra, testimone di tanto scandalo, era definita “la pietra dello scandalo“.

In fondo era una punizione imbarazzante, ma sopportabile se si considera che, in tempi più remoti, un debitore potva anche essere ucciso o ridotto in schiavitù.

Un’usanza simile esisteva anche nella Firenze rinascimentale tanto che, nella Loggia del Porcellino, esiste ancora la pietra adatta alla bisogna, murata nel pavimento, spesso celata dalle bancarelle: sono andata a cercarla, l’ho trovata e l’ho fotografata.

“La pietra dello scandalo” è il simbolo di un’età nella quale essere debitori insolventi era un peccato capitale, soprattutto nell’ambiente mercantile e finanziario di Firenze, è il simbolo di un’epoca , forse un po’ semplice, in cui truffare il prossimo non era considerato “finanza creativa”, ma un motivo per essere additato al pubblico ludibrio come una persona inaffidabile.

Una volta i crac finanziari erano motivi di scandalo: che tempi incivili!

Firenze

Ah però!

Il rientro alla vita quotidiana mi ha riportato alla realtà, mi metto in pari con i giornali, leggo le notizie che, mentre ero impegnata tra chiese e musei, non avevo tempo e voglia di leggere: se vacanza deve essere vacanza sia, in tutti i sensi.

Nello scorrere i titoli dei quotidiani online mi casca l’occhio (è proprio il caso di dirlo) su una frase dell’indiscusso mentore della Lega: “Non candidare chi viene trovato con le mani nel sacco”.

Forse sarò la solita inguaribile ingenua, ma oltre all’occhio mi cascano anche le braccia: ma come? C’era bisogno di dirlo?

Rifaccio i bagagli.

La vacanza è quasi finita, in realtà il rientro era previsto per oggi, ma lo sciopero dei trasporti mi ha convinto (non che sia stato faticoso) a rimandare il rientro a domani.

Stasera abbiamo cenato in una trattoria molto tipica (dove la maggior parte degli avventori erano stranieri): cucina genuina, vino buono, prezzi non da infarto, camerieri simpatici e disponibili.

Sarà per colpa del vino, ma abbiamo girovagato per le viuzze del centro in cerca dell’atmosfera unica di questa città unica.

Ho già preparato la valigia, dentro vorrei chiudere tutte le meraviglie che ho visto in questi giorni, le più note e le meno famose, ma ugualmente imperdibili.

Una delle ultime impressioni sono le celle del convento di San Marco affrescate dal Beato Angelico, il quieto silenzio degli ambienti, la severa eleganza dei dipinti.

Quante immagini porterò a casa con me, come vorrei poter rendere i ricordi e le emozioni indelebili!

Capisco.

Capisco tutti quei ragazzi spagnoli, inglesi, tedeschi, tutti quei gruppi di turisti giapponesi che si mettono ordinatamente in fila davanti agli ingressi dei musei di questa stupenda città,

Capisco che deve trattarsi di una emozione indescrivile trovarsi al cospetto di dipinti e sculture che, da soli, varrebbero il costo del viaggio.

Noi italiani siamo viziati, siamo abituati all’arte sparsa a piene mani e tante volte non ci ricordiamo nemmeno dell’immenso patrimonio artistico del nostro Paese.

Quando si entra nella Galleria dell’Accademia gli sguardi corrono al David, posto là in fondo, in piena luce, possente, con i muscoli pronti allo scatto, come un arco che sta per tendersi e scoccare una freccia micidiale, ma mentre ci si avvicina alla celeberrima scultura pochi si soffermano ad osservare i prigioni o il San Matteo, le sculture di Michelangelo appena sbozzate, eppure così vive, così emozionanti.

E’ al cospetto dei prigioni che si scopre come il maestro “vedesse” la figura prigioniera della pietra e si possono leggere, ad uno ad uno, i segni dello scalpello che chiama alla vita i personaggi.

Quanta bellezza c’è in ogni angolo di Firenze, quanta storia, quale incanto: capisco gli stranieri che si mettono pazientemente in coda, capisco il viaggio lunghissimo per essere qui ed ora, in questa città unica al mondo e in fondo capisco che è un privilegio vivere in questo Paese.

Firenze