Archivio mensile:Dicembre 2009

Che anno!

Il 2009 è stato, nonostante tutto, un buon anno anche se segnato dalla crisi economica, da qualche risparmio in più, da qualche attenzione in più nelle spese.

Il 2009 è stato un anno in cui sono riuscita a ritagliarmi un po’ di tempo per camminare e ho percorso gli argini della Martesana e dell’Adda in lungo e in largo godendo della bellezza dei corsi d’acqua in tutte le stagioni.

E’ stato anche un anno di serene camminate in montagna, di panorami stupendi, di pace e silenzio.

Il 2009 è stato un buon anno a scuola: i miei ragazzi si sono rivelati curiosi , intelligenti, interessati, studiosi ed è stato stimolante lavorare con loro.

L’anno che sta per chiudersi è stato anche l’anno dell’impegno politico, delle elezioni amministrative, della campagna elettorale appassionante e incerta fino all’ultimo voto, dei primi passi, spauritii, nel mondo dell’amministrazione di un comune.

Ho imparato a leggere e studiare le delibere, ho imparato a fare i conti con il patto di stabilità, a collaborare con gli uffici, ad assimilare procedure che per me erano completamente ignote: ho imparato che amministrare una comunità non è una cosa che si improvvisa, ma che, con un po’ di buona volontà, si può imparare.

Il 2009 è stato l’anno in cui, finalmente, mi sono decisa ad affrontare l’intervento chirurgico alla mia gamba malfunzionante e adesso me ne sto qui, un po’ zoppicante, ma contenta di aver risolto un problema che trascinavo da anni.

Nulla di ciò che è successo quest’anno era scritto nell’oroscopo, anzi non ricordo nemmeno cosa ci fosse scritto nel mio oroscopo, ma poco importa: i conti si fanno sempre alla fine.

Buon 2010 a tutti!

Adda tra Imbersago e Brivio

Rischio estinzione.

Prima che fossero i cellulari c’era il telefono pubblico: ricordo ancora le cabine con le porte battenti a rischio incastro e i telefoni a gettoni (per una telefonata interurbana bisognava munirsi dei preziosi dischetti metallici in quantità industriali).

Poi, piano piano, sono comparse cabine più eleganti (ma sempre con le porte a tagliola) e “conchiglie” in plexigas con telefoni dalle fogge sempre più avveniristiche, sono scomparsi i gettoni e hanno fatto la loro comparsa le tessere telefoniche (che qualcuno, nella foga della telefonata, abbandonava nell’apparecchio).

L’avvento dei cellulari ha pian piano mandato in pensione i telefoni pubblici, almeno nelle città, perchè nei paesini di montagna, dove trovare campo spesso è un’impresa, le cabine telefoniche sono ancora utilizzate con una discreta frequenza.

Ora pare che trentamila cabine siano destinate a sparire a meno che non ci si rivolga al Garante delle Comunicazioni per segnalare quelle situate in luoghi particolari o in realtà dove il cellulare non è sempre utilizzabile.

Il consiglio , quindi, è quello di tenere d’occhio le cabine telefoniche e di “adottarle” proprio come si fa con le specie in via di estinzione.

Primi passi.

Oggi sono salita ai Piani di Artavaggio per provare a vedere come se la cava la mia gamba operata da poco.

L’esperimento è stato confortante perchè sono riuscita a camminare sulla neve senza fatica e senza zoppicare troppo, e poi c’era uno splendido sole e una temperatura quasi primaverile.

E’ bello, ogni tanto, poter camminare con calma godendosi il panorama delle cime innevate, senza preoccupazioni di tempo e di impegni, lasciandosi accarezzare dal tepore del sole che, in giornate come questa, sembra più vicino e più caldo.

Piani di Artavaggio

Te g’het bon temp.

La mia nonna materna, sempre piuttosto critica nei miei confronti (sospetto avesse una predilezione per i nipoti maschi), avrebbe commentato così la mia attività di blogger, brontolando la frase in dialetto che, più o meno suona come “hai del tempo da perdere” o, più semplicemente “sei una perditempo”.

In realtà i miei impegni in famiglia, nel lavoro e nell’attività politica mi lasciano pochissimo tempo libero e, qualche volta, mi sento un po’ in colpa a ritagliarmi questi brevi momenti per scrivere.

Tuttavia non riuscirei a rinunciarvi, perchè non si tratta di un impegno gravoso, ma di trovare pochi attimi che mi permettano di mettere a fuoco (e di condividere) qualcosa che mi ha colpito durante la giornata, un ricordo, una sensazione, un dolore, una speranza.

D’altra parte scrivo in fretta, di getto, e non rileggo quasi mai (…e qualche volta si vede) e scrivere non mi è mai costato fatica.

Quindi, pur sapendo che la mia nonna mi avrebbe disapprovato, continuerò a rubacchiare minuti e a cercare di tradurre quello che ho dentro in poche frasi, spero ancora per molto tempo.

Le parole della politica.

Poche cose come la politica si servono del linguaggio per comunicare in modo rapido ed efficace delle idee che richiederebbero alti esercizi retorici: per questo motivo, da sempre, la politica conia immagini, slogan, parole d’ordine di facile consumo e di presa immediata.

Durante gli anni del ventennio le parole erano scritte sui muri da dove, a poco a poco, la storia che non ammette retorica, le ha cancellate: così si possono ancora intuire tra le crepe dell’intonaco mozziconi di idee ormai superate “vi…ere”, “se avanzo segu….. s.”

La prima Repubblica ci ha lasciato improbabili “convergenze parallele” che sfidavano arditamente le leggi della geometria euclidea e il sogno del “compromesso storico“: espressioni destinate a durare più degli uomini che le avevano create e a superare la prova degli anni.

Solo di recente abbiamo sentito risuonare all’infinito l’obamiano “yes we can”, semplice ed efficace, ma carico di emozione.

Il 2009, che sta per chiudersi, ci lascia in eredità “Il Partito dell’Amore” che vagamente mi ricorda un altro periodo della storia del nostro paese.

Ho l’impressione che anche la creatività dei nostri politici si stia deteriorando.

… E mica solo loro…

Ho letto che la fondazione Farefuturo ha lanciato una campagna di boicottaggio dei Cinepanettoni nel quale l’autore del post ravvisa un velato attacco nei confronti del ministro Bondi (il quale avrebbe proposto di dare ai film in questione la qualifica di “Film d’Essai“).

Ora non so se veramente ci sia un disegno politico nella proposta della fondazione vicina al Presidente della Camera, tuttavia penso che i Cinepanettoni siano veramente confrontabili con pellicole di alto livello estetico e storico come la “Corazzata Potemkin” e come tali vadano giudicati: “una cagata pazzesca” di fantozziana memoria.

La giornata degli avanzi.

In giorno di Santo Stefano, nella mia famiglia, è quello nel quale si consumano gli avanzi del giorno precedente e non solo in questi tempi di crisi, ma anche negli anni scorsi quando lo spreco era un lusso che molti potevano permettersi.

Una volta dopo il pranzo si partiva per la montagna per trascorrere le feste di fine anno, ora invece ci trasferiamo direttamente tra i monti prima di Natale così, in questa giornata, ce ne stiamo quieti in casa a goderci il fuoco del camino e i vecchi film alla televisione.

E’ un giorno sereno perchè non c’è la felicità obbligatoria del giorno di Natale, ma lo stare insieme ha il gusto di una affettuosa quotidianità.

Caro Gesù bambino…

E’ da tanti anni che non ti scrivo, da quando ero molto piccola e preparavo, all’inizio di dicembre, la letterina che consegnavo strategicamente a mamma e papà.

Mi scuso per questo lungo periodo di silenzio, ma, ad una certa età, ho cominciato a rivolgermi direttamente ai miei genitori e poi, diventata adulta, non ho mai avuto tanto da chiederti.

Quest’anno, però, una cosa ci sarebbe e ho deciso di mettermi sulla scia di altri che si sono rivolti a te con le loro preghiere.

Quest’anno per Natale vorrei un Paese dove chi sbaglia ammetta di aver sbagliato e se ne assuma le responsabilità.

Vorrei un Paese nel quale essere “furbi” non sia considerato un titolo di merito.

Vorrei un Paese nel quale chi ha i numeri per avere successo nel suo lavoro non sia costretto ad andarsene altrove per fare spazio ai soliti incompetenti raccomandati.

Vorrei un Paese nel quale ci si scandalizzasse un po’ di più se un lavoratore perde la vita sul posto di lavoro.

Vorrei un Paese nel quale non siano i nonni, con la loro pensione, a doversi preoccupare di sostenere le famiglie dei figli in cassa integrazione o senza lavoro.

Vorrei un Paese nel quale gli “ultimi” siano sempre i primi nei pensieri nostri e di chi ci governa.

Vorrei un Paese con poche semplici norme che, però, tutti indistintamente dovrebbero seguire.

Vorrei un Paese nel quale chi deve andare a lavorare non sia costretto a restare al freddo per ore in una stazione abbandonata sotto una coltre di pochi centimetri di neve.

Vorrei un Paese nel quale, quando succede un fatto straordinario, come una nevicata largamente prevista, o una frana in un sito dissestato, o il crollo di case costruite non a regola d’arte in una zona sismica, non si invocasse sempre l’imperscrutabilità del destino e la congiura degli eventi.

Insomma, caro Gesù bambino, per Natale vorrei un Paese “normale”.

Grazie.

Valori cristiani.

Non per mettere sempre i puntini sulle i, ma vorrei confrontare la notizia con queste celeberrime (ma spesso sottovalutate) parole:

Matteo 5,3-12

3 «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
4 Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati.
5 Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta.
8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9 Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.
11 Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. 12 Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.

Penso che, sotto Natale, un ripassino non guasti.