Archivio mensile:Novembre 2009

Figlio mio.

Quante volte ho avuto la tentazione di scriverti una lettera come quella che un padre amareggiato ha indirizzato al proprio figlio, che condivido in larghissima parte.

So che anche tu sei una persona intelligente e capace, migliore di quello che tuo padre ed io avremmo osato sperare, so che ti abbiamo educato all’onestà, alla lealtà, al senso del dovere, all’amore per la giustizia e per la verità.

Sono consapevole che queste virtù possono tramutarsi in un pesante fardello in un mondo dove onestà, lealtà, dovere e giustizia sono spesso parole vuote.

Proprio per questo ti chiedo di restare e lottare: perché so che sei migliore di noi, perché spero che, con altri giovani donne e uomini come te, tu  possa cambiare questo paese.

Poichè ti abbiamo cresciuto libero di scegliere, lasciamo a te decidere, sapendo che, comunque, non ci deluderai.

Ottimizzare le risorse.

Controllando gli accessi al mio blog ho scoperto che una delle pagine più visitate in assoluto è quella nella quale scrivo di un racconto di Dino Buzzati che amo molto: “La giacca stregata“.

La chiave di ricerca di solito è di questo tipo: “riassunto+giacca+stregata+buzzati”

Ecco questa è la cosa che non capisco: si tratta di un racconto breve (quattro paginette o poco più) e Buzzati scrive in modo piano e comprensibile, quindi non sarebbe più semplice e veloce leggere il racconto e riassumerlo, piuttosto che navigare sui motori di ricerca in cerca del lavoro già fatto?

Inoltre vorrei far notare che nessun post può avere la freschezza e l’eleganza della prosa di Buzzati, che rappresenta uno degli scrittori più raffinati del ‘900.

Quindi, da vecchia prof d’italiano qual sono, invito tutti a leggersi il testo…riassumerlo poi è veramente un lavoro di pochi minuti.

Lavori in corso.

Oggi è stata una giornata di grandi manovre (…e probabilmente chi ha cercato di visitare questo blog se ne sarà accorto).

Cambiare hosting non è sempre facile, ma finalmente … ed in modo quasi inspiegabile, adesso sembra funzionare tutto.

Da domani si ricomincia, o almeno spero.

Fa’ la cena giusta 2009.

Una bella serata passata con amici a chiacchierare, mangiare bene e bere anche meglio.

La cena, organizzata dal G.E.O,, è stata cucinata con alimenti di Libera, del commercio equo e solidale e prodotti dell’agricoltura biologica.

E’ stata un’occasione preziosa d’incontro e di confronto oltre vche un momento di cordiale convivialità.

Misanderstending.

La mia breve esperienza politica (faccio parte dell’amministrazione comunale da giugno) mi ha già procurato qualche dispiacere e una leggera gastrite.

Non vorrei essere fraintesa: interessarmi della vita della comunità in cui vivo, assumerneme, nel mio piccolo, la responsabilità, prendere decisioni mi piace e mi appassiona, ma c’è un “però”.

Non ho capito perchè, quando ci si relaziona con un ufficio o con la pubblica amministrazione, spesso ci si senta in dovere di usare un linguaggio che nulla ha di umano (almeno relativamente agli “umani” di questo paese).

Dopo l’ennesima comunicazione infarcita di “misunderstandig” (non sarebbe meglio usare “incomprensione” o “fraintendimento”?), dopo l’ennesimo “feedback” (“reazione” sembrava brutto?), dopo una sfilza di “report” (che nulla hanno a che vedere con la trasmissione della Gabanelli), mi è venuto un attacco di orticaria e ho cominciato a ringhiare.

“Ma cosa credi” mi verrebbe da dire “pensi che non mi sia accorta che usi termini di questo genere per offrirmi un bel “vuoto montato a neve?”

Ho sempre pensato che chi ha le idee chiare non ha bisogno di usare un linguaggio complicato, “le parole sono importanti” diceva Moretti nel film “Palombella rossa” e io, da vecchia insegnante di italiano, non posso che condividere questa idea.

Stiano in guardia i miei interlocutori: potrebbe anche venirmi voglia di condividerne la reazione.

L’umido e il secco.

Nel mio paese, da un sacco di tempo, si fa la raccolta differenziata dei rifiuti, spesso con scrupolosa attenzione tanto che il nostro comune riceve quasi ogni anno l’attestato di “Comune riciclone” da consorzio incaricato  dello smaltimento.

Più o meno di questi tempi, ogni anno, siamo chiamati in municipio per ricevere la scorta di sacchi e sacchetti per suddividere, in modo corretto, i vari rifiuti: quello grigio per il secco, quello giallo per la plastica, quello biodegradabile per gli scarti alimentari.

All’inizio dell’anno ci viene recapitato il calendario con indicate le date di raccolta dei vari rifiuti perchè nessuno si sbagli.

In cortile sono allineati ordinatamente i bidoni colorati con le scritte a caratteri cubitali visibili anche nella notti di nebbia.

…E allora come è possibile che qualcuno si ostini a gettare i rifiuti alimentari (l’umido, per intenderci) ben chiusi in una busta del supermercato inesorabilmente di plastica?

Il cellulare.

Decisamente non ho un buon rapporto con il telefonino.

Innanzitutto la mia è stata una conversione tardiva: ho acquistato il mio primo cellulare quando, ormai da lungo tempo, tutti i miei allievi erano muniti di modelli di gran lunga più avveniristici.

Il mio telefonino non fa fotografie, non serve per giocare, ha un tristissimo display monocromatico, ha una suoneria semplice (…e piuttosto fastidiosa), insomma il mio telefonino telefona e basta.

Lo uso pochissimo (una ricarica mi dura una vita), non invio sms perchè sono imbranatissima e non riesco a digitare un brevissimo testo se non in tempi biblici.

Lo tengo sempre silenzioso perchè non mi va di infastidire chi mi circonda (o perchè sono impegnata in conversazioni che non voglio interrompere, oppure sto lavorando) così mi accorgo solo con molto ritardo di aver perso una chiamata e quasi mai riesco a rintracciare chi mi ha chiamato (anche perchè spesso il numero è privato).

Quando sto aspettando una chiamata e lascio la suoneria al massimo solitamente l’oggetto maledetto va ad infognarsi nell’angolo più remoto della borsetta dove riesco a rinvenirlo, dopo una fantozziana ricerca, proprio nel momento in cui smette di suonare.

Una veloce lettura delle “chiamate ricevute” mi informa che si tratta di un numero privato (ancora, ma allora è un vizio!).

Se, per una fortunata congiuntura di eventi, riesco a rispondere prima dell’ultimo squillo, spesso e volentieri, si tratta di qualcuno che ha sbagliato numero.

Insomma il cellulare è proprio un oggetto del quale farei volentieri a meno.

A chi giovano i clandestini?

Da quando è stato introdotto il reato di immigrazione clandestina è un susseguirsi di iniziative, messe in atto dalle varie amministrazioni comunali, per adeguarsi alla legge.

Si tratta di provvedimenti ispirati ad un nuovo rigore, miranti a spazzare via ogni falso buonismo.

A ben guardare, però, questi provvedimenti vanno a cozzare contro comportamenti, non propriamente corretti, largamente diffusi anche fra i nostri connazionali.

Fa comodo a molti assumere una badante clandestina, così non chiederà mai di veder regolarizzata la propria situazione assicurativa e contributiva.

Fa comodo affittare un appartamento (ma in certi casi sarebbe meglio dire tugurio) a persone irregolari: si può fare il prezzo che si vuole senza alcuna pastoia burocratica, senza pagare tasse, senza mettere a norma gli impianti.

Gli immigrati senza permesso di soggiorno sono facilmente ricattabili, sono disposti a pagare cifre esorbitanti e a ricevere salari da fame pur di avere un tetto sopra la testa e un po’ di lavoro.

Certo l’immigrazione clandestina è un reato, ma anche chi approfitta di queste persone non è certo un campione di legalità.

Mi auguro che anche per loro le pene siano rigorosamente severe.