Archivio mensile:Ottobre 2009

Chissà perché?

Chissà perché quando sento parlare di rigore nei conti pubblici e di tagli delle spese “improduttive” nella Pubblica Amministrazione un brivido mi percorre la schiena?

Sarà forse perché di solito si fanno tanti esempi, ma poi si finisce per andare ad incidere sulla spesa “improduttiva” per eccellenza, cioè la scuola?

Sì perché anch’io ogni tanto mi chiedo come si possa misurare la mia produttività: forse in base alle ore trascorse a scuola? (quelle sono uguali per tutti). Forse sulla base dei risultati ottenuti?

Quali risultati?

Le promozioni o le bocciature così di moda nella nuova  scuola della serietà e del rigore?

E poi su che base misuro i risultati? Sulla base delle conoscenze acquisite dai ragazzi a prescindere dal loro livello di partenza, dalla situazione socio ambientale della famiglia, dal quoziente intellettuale?

Sono più “produttiva” se insegno la grammatica a un ragazzino intelligente o se riesco a portare un ragazzino con gravi difficoltà ad esprimersi in modo comprensibile nella sua lingua madre?

Quando si ha a che fare con una professione che implica la presenza di esseri umani le variabili diventano infinite e nemmeno i famigerati test dell’Invalsi riescono a dare un quadro precisano della situazione proprio perchè misurano i risultati sulla base di standard senza tener conto della diversità degli individui.

L’ingiustizia di fare parti uguali fra disuguali, come diceva don Milani, consiste proprio in questo.

Per questo motivo, proprio perché affrontare senza semplificazioni la complessità della scuola è scomodo e laborioso, ho sempre il timore che chi ci governa decida di risolvere la questione dando un bel “taglio”.

…e gli avvenimenti recenti mi danno ragione….

Parole fuori dal comune.

Parole fuori dal comune” è una manifestazione che si ripete ormai da diversi anni e coinvolge le biblioteche del Sistema bibliotecario del Vimercatese: quest’anno si tratta di una serie di occasioni per parlare di fumetti, di libri, di Milano attraverso le canzoni e di molto altro.

Gli incontri sono ospitati nelle biblioteche del sistema e coprono un arco temporale che va dalla fine di ottobre a dicembre.

Questa sera a Cavenago si è svolta una interessante e divertentissima conferenza (con ritmi da cabaret) su “come nasce un fumetto” tenuta da Antonio Serra,  sceneggiatore di Dylan Dog e creatore di Nathan Never, accompagnato da Francesca Palomba, abilissima e raffinata disegnatrice.

Così, tra una battuta e un aneddoto gustoso, è stato possibile svelare alcuni misteri e sfatare qualche mito sul mondo sconosciuto del fumetto.

Una serata diversa.

Aspettando che finisca la cottura….

Seduta in cucina, con il portatile sul tavolo, aspetto che il forno finisca di fare il suo mestiere e la torta al cioccolato sia pronta e intanto che scruto lo sportello illuminato do un’occhiata alla posta, controllo i quotidiani online e scrivo questo post che è un po’ la continuazione di quello di due giorni fa sulle pari opportunità.

Mi ritaglio i miei spazi così, cerco di non rinunciare ai miei interessi e alle mie curiosità, ma contemporaneamente mi sforzo di non far mancare niente ai miei cari e la torta che cuoce allegramente, spandendo per casa un profumo che mette l’acquolina in bocca, è un po’ la metafora della mia condizione di vita quotidiana.

C’è il lavoro, innanzitutto, e l’impegno in comune, ma c’è anche la casa che non è (e non deve essere) solo un dovere gravoso, ma è anche la gioia di fare qualcosa per le persone che amo e mentre sbatto le uova nella terrina sono consapevole che si tratta di un gesto d’amore.

E allora cucino una torta, uso una ricetta semplice, burro, zucchero, farina, tre uova e un pizzico di sale, il cacao e il lievito e poi via, nella teglia: una torta sempre uguale, ma sempre diversa, perchè io mi annoio a fare sempre le cose uguali, allora una volta ci metto la marmellata di albicocche e la glassa, una volta le mandorle, una volta l’uvetta perchè neache la torta della prima colazione può essere una routine.

Come la vita…

“Dalli all’untore”

Gridava la  gente all’indirizzo del malcapitato Renzo il quale, in piena pestilenza, aveva indugiato un po’ troppo con la mano sul battente della porta, se la vede brutta il giovane e riesce a sfuggire all’ira della folla solo saltando sul carro dei monatti.

A scuola, in questi giorni, il clima è un po’ quello descritto dal Manzoni: le classi sono decimate, qualche collega è assente, colpito da febbre e sindrome influenzale, anche la mitica insegnante di lettere (quella che si vocifera non sia umana) che non fa un giorno di malattia dal ’93.

Anche la mia classe è ridotta ai minimi termini e non riesco a capire se si tratti dell’influenza che ha falcidiato le giovani menti o di un riflesso dell’effetto Topo Gigio (“se hai la tosse, il raffreddore o la febbre stai a casa, a letto e chiama il medico di famiglia”).

Quelli che sono restati in classe passano la giornata a lavarsi le mani, salvo poi farsi prestare una matita da un compagno e succhiarne l’estremità con trasporto, ma basta che uno di loro starnutisca per ottenere il vuoto immediato.

Si vocifera di due, tre, quattro ragazzi ricoverati in ospedale dei quali uno sicuramente colpito dal virus innominabile, salvo poi incontrarli al pomeriggio che girano garruli in bicicletta per le vie del paese.

Insomma per ora la situazione è grave, ma non seria.

Un passo indietro.

L’Italia retrocede di qualche passo nella particolare classifica  che misura le pari opportunità fra uomini e donne.

Non c’è da andarne fieri, ma d’altra parte c’è poco da stupirsi.

Essere donne in Italia, quando si ha la responsabilità di una famiglia, è un lavoro duro: bisogna riuscire a conciliare i tempi della professione con la gestione della casa che, almeno per le donne della mia generazione, è tutta o quasi sulle spalle del sesso debole (alla faccia della debolezza).

Essere donne e decidere di impegnarsi nel lavoro e/ o nell’attività politica è difficile soprattutto se si vuole gestire la famiglia (i bambini da crescere, gli anziani da accudire) in modo responsabile.

Le donne, per questo motivo, scelgono (o sono costrette a scegliere) un’attività professionale o una militanza politica di basso profilo.

Non stupisce quindi che per l’altra metà del cielo le  opportunità, nel nostro paese, siano tutto meno che “pari”.

Il passo più lungo della gamba.

Eravamo un popolo di attente formichine, capaci di risparmiare una fetta cospicua del salario o della pensione, eravamo anche un popolo tendenzialmente diffidente nei confronti delle carte di credito, fino a qualche anno fa abbastanza rare rispetto alle medie europee e statunitensi, eravamo un popolo abituato ad indebitarsi solo per acquisti importanti come la casa, ad esempio, o l’automobile.

Stando all’Adiconsum il profilo dell’italiano medio non è più così, anzi, mediamente, ci siamo indebitati per il 58% del reddito (per carità, rispetto agli altri europei o agli americani siamo ancora “virtuosi”) e il perdurare della crisi, con la perdita di posti di lavoro, potrebbe aggravare la situazione.

Anche nella mia famiglia, una volta, ogni acquisto era valutato secondo due criteri fondamentali: la necessità e la possibilità.

Ci si sedeva intorno ad un tavolo e si stilava una lista di priorità, si facevano delle scelte sulla base del bilancio familiare: i libri di scuola piuttosto che un cappotto nuovo, le cure dentistiche invece delle vacanze, certo a qualcosa si doveva pur rinunciare, ma in tempi di ristrettezze economiche non si poteva avere tutto.

In fondo, in casa mia, ci comportiamo ancora così, con un occhio rivolto al futuro, alle possibili spese future indispensabili, ma non prevedibili, con un po’ di attenzione agli sprechi, ma non è facile in questo mondo in cui contano più l’apparire e l’avere che l’essere.

E non è facile far digerire questa idea agli adolescenti per i quali c’è sempre in agguato un telefonino ultimo modello, o la scarpa griffata, o la felpa irrinunciabile e allora la tentazione di fare il passo più lungo della gamba e di acquistare a credito viene spontanea, anche perchè tutto congiura a farci accettare questa possibilità, il “compra oggi e paga dopo” è un concetto che si è fatto largamente strada fra i consumatori.

Il problema, purtroppo è il “dopo”.

vetrina

Sosta.

Quanta gente si fa del male, si affanna per raggiungere obiettivi che, alla fin fine, si rivelano effimeri, “vanitas vanitatum si legge nelle Scritture, ma ci ugualmente facciamo prendere dal vuoto, dall’ambizione, dall’invidia, dal desiderio.

Bisognerebbe ogni tanto fare una sosta e cercare di ricalibrare la propria vita puntando su ciò che veramente conta: gli affetti, per esempio, e l’amicizia, la quieta serenità della consapevolezza di aver fatto il proprio dovere, la tranquillità della propria coscienza, il sapore modesto dell’onesta e del rigore.

Spesso invece ci perdiamo dietro a vani fantasmi di felicità alla ricerca di mete che, una volta raggiunte, scivolano inesorabilmente dietro le nostre spalle spalancandoci davanti una nuova strada in salita, lastricata di compromessi, di arrivismo, di ansie, di solitudine.

Fermiamoci ogni tanto ad osservare la bellezza dei fiori dei campi, il cielo limpido, un torrente che scorre, un bosco illuminato dai raggi del sole, fermiamoci e interroghiamoci su ci che veramente ci serve, su ci che veramente è importante.

Moggio autunno

Responsabilità.

Dopo ventiquattro ore di dichiarazioni e smentite il Presidente Marrazzo ha deciso di autosospendersi dalla guida della regione Lazio e io penso che questa decisione, sicuramente difficile, sia degna di rispetto perché si tratta di una scelta responsabile.

Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare di interferenze fra privato e pubblico, di diritto alla privacy, della libertà che ciascuno ha di agire, nella vita privata, come meglio crede, per questo motivo la  decisione del governatore del Lazio mi sembra limpida e dignitosa: anche se i suoi comportamenti privati, a suo dire, non hanno interferito con il suo ruolo pubblico tuttavia chi riveste un ruolo pubblico dovrebbe avere comportamenti ineccepibili proprio perchè i cittadini guardano ai governanti come a modelli di comportamento.

Al di là delle vicende personali, che sono appunto personali e private, provo una grande stima per un politico che ha saputo assumersi le proprie responsabilità e rinunciare ad un ruolo di prestigio e di potere (anche se il suo vero errore è quello di non essere uscito allo scoperto e di non aver denunciaato l’estorsione).

Comunque fare un passo indietro questi tempi non succede spesso.

Il tempo che passa.

La scuola dove insegno è immersa nel verde, proprio davanti alla finestra della mia classe, sula collinetta vicino all’entrata del giardino, si ergono degli alberi imponenti che, ogni tanto, i ragazzi si perdono ad osservare quando la lezione si fa più pesante.

Sono belli i nostri alberi e ci aiutano a scandire i mesi di scuola, quando si tingono di mille colori, quando restano spogli avvolti dalle nebbie , quando sui rami secchi mostrano le prime tenere gemme e quando si caricano di foglie verdi e noi ce ne andiamo in vacanza lasciandoli lì, di guardia alla scuola, finalmente immersi nel silenzio.

Me li ricordo esili piantine, venticinque anni fa, quando ci fu consegnata la scuola nuova e lustra e i volontari di una organizzazione ambientalista arrivarono con i teneri alberelli e gli attrezzi da lavoro: per un pomeriggio i ragazzi lavorarono alacremente per metterli a dimora mentre li osservavo perplessa chiedendomi se e quando le pianticelle sarebbero diventate degli alberi abbastanza grandi da fare ombra ai loro giochi.

Ed ora gli alberi sono lì, alti e robusti, muti testimoni del tempo passato e delle generazioni di studenti passate di qua.

Sono affezionata ai miei alberi.

nebbia

Il fascino di Leonardo.

Oggi gita scolastica sotto la pioggia (quando la meta è Milano è quasi una costante) per visitare alcuni aspetti significativi del genio di Vinci: il codice atlantico, innanzitutto, e poi, dulcis in fundo, il Cenacolo.

Anche se Leonardo è toscano per nascita tendiamo a considerarlo  un po’ nostro, sarà perchè ha soggiornato e lavorato a Milano, sarà perchè è stato ospite della famiglia Melzi nella grande villa di Vaprio d’Adda (a un tiro di schioppo da noi), sarà perchè quando passeggiamo lungo l’Adda ritroviamo i suoi paesaggi e le sue soluzioni idrauliche perciò il maestro esercita, persino sui ragazzi, un grande fascino.

Visitiamo la Pinacoteca Ambrosiana soffermandoci su diverse opere tra le quali i cartoni della “scuola di Atene” di Raffaello e la suggestiva “canestra di frutta” del Caravaggio, ma l’attenzione si concentra di più nella sala della biblioteca dove si possono ammirare la pagine coperte di fitta scrittura e di minuziosi disegni del prezioso codice.

Dopo una scarpinata nel traffico cittadino finalmente giungiamo al cospetto dell’Ultima Cena e lì non ci sono veramente parole, i ragazzi ammutoliscono e si muovono in punta di piedi, ascoltano la guida senza staccare gli occhi dal dipinto e, quando stanno per uscire dopo i quindici minti di visita, si soffermano a guardare ancora la parete, quasi a lanciarle un ultimo saluto.

Sono veramente emozionati e fanno fatica ad esprimere le loro sensazioni.

Mentre torniamo verso casa uno degli aggettivi che ricorre più frequentemente è “stupendo”.

Piccola nota in appendice: spesso i gruppi scolastici sono mal sopportati dagli altri visitatori che li considerano un inutile disturbo alla loro quiete, ma che non si fanno scrupolo di soffermarsi ad ascoltare le spiegazione della guida che, faccio sommessamente notare, le famiglie dei ragazzi hanno pagato profumatamente.

Vaprio