Chissà perché quando sento parlare di rigore nei conti pubblici e di tagli delle spese “improduttive” nella Pubblica Amministrazione un brivido mi percorre la schiena?
Sarà forse perché di solito si fanno tanti esempi, ma poi si finisce per andare ad incidere sulla spesa “improduttiva” per eccellenza, cioè la scuola?
Sì perché anch’io ogni tanto mi chiedo come si possa misurare la mia produttività: forse in base alle ore trascorse a scuola? (quelle sono uguali per tutti). Forse sulla base dei risultati ottenuti?
Quali risultati?
Le promozioni o le bocciature così di moda nella nuova scuola della serietà e del rigore?
E poi su che base misuro i risultati? Sulla base delle conoscenze acquisite dai ragazzi a prescindere dal loro livello di partenza, dalla situazione socio ambientale della famiglia, dal quoziente intellettuale?
Sono più “produttiva” se insegno la grammatica a un ragazzino intelligente o se riesco a portare un ragazzino con gravi difficoltà ad esprimersi in modo comprensibile nella sua lingua madre?
Quando si ha a che fare con una professione che implica la presenza di esseri umani le variabili diventano infinite e nemmeno i famigerati test dell’Invalsi riescono a dare un quadro precisano della situazione proprio perchè misurano i risultati sulla base di standard senza tener conto della diversità degli individui.
L’ingiustizia di fare parti uguali fra disuguali, come diceva don Milani, consiste proprio in questo.
Per questo motivo, proprio perché affrontare senza semplificazioni la complessità della scuola è scomodo e laborioso, ho sempre il timore che chi ci governa decida di risolvere la questione dando un bel “taglio”.
…e gli avvenimenti recenti mi danno ragione….