Archivio mensile:Settembre 2009

Non di sole escort…

Panem et circenses” si legge nelle Satire di Giovenale che, in questo modo spiccio, come può essere il latino, raccontava l’abitudine del potere di tener a bada il popolo con elargizioni di denaro e giochi del circo.

Aveva capito tutto Giovenale, dovremmo dargli un’occhiata ogni tanto.

In questa epoca di “panem” scarso abbondano i “circenses” in televisione e sulla stampa, per questo motivo non condivido la scelta degli autori di “Annozero” che hanno deciso di ospitare una signora della quale si è fatto un gran parlare (forse troppo) di questi tempi.

La mia modestissima opinione è che, da molte parti, si è parlato in modo eccessivo di questa faccenda e questo ci ha distolto dal concentrarci su problemi più seri.

Non sono fra coloro che pensano che gli uomini pubblici possano fare ciò che vogliono nel privato soprattutto perchè hanno la responsabilità di essere presi a modello dalla gente “comune”, tuttavia amerei sentir affrontare anche altre tematiche, per esempio: come si sta affrontando la crisi, quali prospettive ci sono per chi resta senza occupazione, cosa si fa per la sicurezza sul posto di lavoro, qual è la situazione della scuola e della sanità, quali scelte energetiche sono in discussione?

La vita privata del premier può anche essere un problema, ma sicuramente non è l’unico.

Il merito.

La mensa della nostra scuola è spesso criticata perchè è troppo cara, o perchè il cibo non è saporito (logicamente essendo una mensa scolastica non si abbonda con il sale e con i grassi), perchè i ragazzi esprimono giudizi pesanti sulla qualità delle pietanze (certo per loro  il cibo non  fritto, la verdura e la frutta sono una “schifezza”) e via dicendo.

Qualche tempo fa c’è stata un’ispezione a sorpresa dell’ASl di competenza e il risultato è molto lusinghiero: diete equilibrate, ingredienti di buona qualità, igiene ottima, qualità organolettiche di livello elevato.

Gli ispettori hanno fatto un solo rilievo: le grammature delle razioni sono forse un po’ troppo abbondanti.

Quando ne ho parlato con le cuoche le ho viste stupite e felici anche perchè a nessuno era venuto in mente di comunicare loro un esito così positivo.

Ecco spesso nel nostro paese (in Italia intendo)  funziona così: siamo sempre pronti a sollevare critiche ed eccezioni, ma quando si tratta di riconoscere il merito altrui diventiamo di colpo parsimoniosi.

Sono sicura che, da oggi, le cuoche lavoreranno più volentieri.

Cambiamento.

Fa ancora caldo, in questi giorni, un caldo quasi estivo, solo nelle prime ore del mattino l’aria è percorsa da un brivido leggero, ma il corpo fatica a rientrare negli indumenti più caldi, tipici dell’autunno.

Eppure le giornate sono diventate più brevi, la sera scende veloce, le ombre del tramonto si allungano, ma nelle ore centrali del giorno c’è un clima caldo, quasi innaturale per questo scorcio di settembre.

I ragazzi, in classe, sono ancora distratti dal sole e dal cielo limpido: non stento a credere che, se potessero, se ne starebbero fuori all’aperto, seduti su una panchina del parco a chiacchierare in gruppo o in giro per le strade ad inanellare ininiti giri con le biciclette o a disegnare acrobatiche evoluzioni con lo skateboard.

E invece devono starsene seduti nei banchi a concentrarsi su una lezione che non riescono a digerire.

C’è bisogno di un cambiamento, di pioggia e di freddo, di un clima più autunnale altrimenti la didattica rischia di essere danneggiata da questa coda d’estate.

Damnatio memoriae.

La “damnatio memoriae” era una pratica in uso nell’antica Roma che consisteva nel cancellare dai documenti, dalle iscrizioni, dall’arredo urbano il nome di quei cittadini che avevano mostrato, con il loro operato, di essere nemici della città e del senato.

Alcuni personaggi,come Caligola e Nerone, se l’erano meritata sul campo in virtù (si fa per dire) della loro condotta efferata.

Ora a me sembra una sorta di “damnatio memoriae” l’accanimento con il quale, in un comun della bergamasca, si stanno rimuovendo tutte le dediche a Peppino Impastato.

La scelta di qualche tempo fa di rimuovere la targa commemorativa dalla biblioteca comunale era un atto “politico” discutibile, ma dettato da una logica, ma l’ultimo episodio che ha visto sradicare l’ulivo a lui dedicato è assolutamente incomprensibile e inqualificabile.

Inqualificabile perchè mai si può sradicare un albero a cuor leggero, inqualificabile perchè l’ulivo è simbolo di pace, inqualificabile perchè il gesto è a sua volta simbolico: è come se si volesse far tacere ancora una volta una voce libera che si è levata, in assoluta solitudine, contro la mafia.

Poco importa che Peppino Impastato fosse un uomo fortemente caratterizzato da una ideologia, la sua lotta contro la mafia non aveva colore politico, era una lotta di civiltà e di libertà e tutti gli uomini civili e liberi possono riconoscersi nella sua lotta.

Poco importa che Peppino Impastato fosse un uomo del sud che poco aveva a che fare con la provincia orobica: il coraggio e la libertà non appartengono a un luogo o a un popolo, sono valori universali.

A chi fa paura ricordare Peppino Impastato?

Ma forse le motivazioni del gesto sono più semplici, forse si tratta solo di un gesto di stupido vandalismo venato da una profonda ignoranza.

Questo mi preoccupa: io non ho paura del confronto con chi la pensa in modo diverso da me, non ho paura di lottare per difendere ciò in cui credo, ma ho una paura terribile della stupidità e dell’ignoranza.

Dolce Brianza.

La Brianza non è solo il territorio della neonata provincia omonima, ma è molto più vasto e scivola dalla pianura lambita da canale Villoresi fino alle dolci colline messe lì a far da presagio alle Prealpi.

Era una terra verde e ricca di acque, un tempo punteggiata di splendide cascine, di filari di gelsi (perchè l’allevamento del baco da seta permetteva di arrotondare il magro bilancio delle famiglie contadine), ma anche di ville “di delizia” delle famiglie patrizie milanesi che qui venivano a cercare pace e frescura.

Era la terra dell’artigianato del legno e della seta, la terra ricca di prodotti agricoli dai gusti forti e caratteristici, come forte e caratteristico era il dialetto di coloro che qui vivevano da sempre, come forti erano le leggende e le credenze popolari che animavano, con sinistri bagliori, i racconti notturni nelle stalle, come forte era la devozione popolare che faceva sorgere dovunque edicole sacre o chiesette e faceva fiorire ingenui affreschi sui portali delle corti.

Oggi la Brianza non è più così, ma percorrendo i suoi paesi tutti uguali e le strade trafficate si possono ancora scorgere, non cancellati dal tempo, i segni delle sue tradizioni e del suo passato.

Per questo la giornata di domani, con la manifestazione “Ville aperte in Brianza 2009” è un’occasione ghiotta per percorrere questa terra, imparare a conoscerla e ad amarla.

montevecchia

Chi compra il sapone?

Sembra facile l’indicazione di lavare le mani frequentemente per contrastare la diffusione della nuova influenza, sembra così facile da essere addirittura ridicola, peccato che, nella scuola, tutto quel  sapone qualcuno lo deve pur comprare e per farlo, sembra incredibile, ma ci vogliono i soldi.

E di soldi pare proprio che ce ne siano pochini.

Nella mia scuola i registri e i libretti personali degli allievi li abbiamo comprati, ma pare che altrove non sia così, comunque anche i nostri portasapone liquido sono a secco (e a memoria di insegnante lo sono sempre stati).

Ci vergognamo un po’ a chiedere un intervento ai genitori, già abbastanza provati dalla crisi, ma le alternative sono veramente poche.

La scuola…ai tempi di facebook.

Ultimamente la mia chat di facebook è diventata rovente, tra i miei contatti ci sono molti dei miei allievi e quando vedono che sono online mi rivolgono domande di tutti i tipi sui compiti assegnati e sulle materie del giorno seguente.

Forse qualche insegnante un po’ più tradizionale e tradizionalista di me potrebbe storcere il naso, ma a me piace questa possibilità di scambio di informazioni così informale.

Certo c’è il rischio concreto che i ragazzi tendano a trascurare l’uso del diario, ma, d’altra parte, quando “chattano” con me i fanciulli si sforzano di fare molta attenzione all’ortografia, alla sintassi e al lessico, non scrivono “ke” e altre amenità consimili perchè sanno che mi provocano l’orticaria e questo è, indubbiamente, un fatto positivo.

Qualche volta usano la chat anche per raccontarmi qualcosa che non hanno il coraggio di dirmi a tu per tu e anche questo mi pare un fatto positivo perchè mi aiuta a comprenderli meglio.

Come per tutte le cose anche facebook non è un “angelo” e non è il “diavolo” è solo un mezzo, uno dei tanti, che mi permette di entrare nel mondo dei ragazzi e di conoscerlo un po’ di più.

In…patto sportivo.

Nel mio paese, alcuni anni fa, è nato il “Patto educativo” con l’obiettivo di affrontare le problematiche dell’universo degli adolescenti e dei giovani in modo responsabile e, possibilmente, univoco.

Della struttura fanno parte gli operatori dei servizi sociali del Comune, gli insegnanti, alcuni membri del comitato dei genitori, gli educatori del Centro di aggregazione giovanile, gli animatori dell’Oratorio e i membri delle associazioni sportive presenti sul territorio.

L’idea è che queste “agenzie educative” facciano rete e propongano dei modelli educativi comuni.

Una volta all’anno, all’inizio dell’anno scolastico, le associazioni sportive organizzano una giornata di attività, all’interno della struttura scolastica, per promuovere un modello di sport “sano” che prende il nome di “In…patto sportivo”: i ragazzi delle varie classi si dividono in squadre e partecipano a tornei di calcetto, volley, basket e ginkana in bicicletta.

Le regole sono semplici: tutti i ragazzi devono far parte almeno di una squadra, indipendentemente dal fatto che siano degli atleti provetti o dei “brocchi” e si deve gareggiare in modo leale e “sportivo”.

Va da sè che aderiscono all’iniziativa quelle associazioni che si prefiggono non tanto di creare dei “campioncini” in erba, competitivi ad ogni costo e per definizione “vincenti”, ma di proporre l’attività sportiva come momento di divertimento e, allo stesso tempo, di crescita.

La giornata è stata faticosa, ma ben organizzata e premiata da uno splendido sole, i ragazzi, tutti i ragazzi, hanno giocato e hanno fatto il tifo dalle nove alle sedici con un breve intervallo per un pic nic in compagnia, alla fine giovani e adulti erano distrutti, ma contenti, tutte le classi hanno ricevuto una coppa ricordo della manifestazione.

Oggi è stata veramente una buona giornata e una buona occasione per crescere.

Effetti speciali.

Le lavagne multimediali sono state istallate e collaudate (per inciso quella della mia classe è già fuori servizio e restiamo in attesa dei tecnici), troneggiano sulla parete dalla quale spunta il braccio meccanico che regge il proiettore.

Vado nella classe di una collega per cominciare ad impratichirmi con il funzionamento di questo che, in fondo, è solo uno strumento di lavoro.

I ragazzi seduti nei banchi sono più silenziosi del solito: seguono gli appunti che ho preparato sulla Restaurazione, con un’attenzione insolita, sulla superficie fioriscono parole e immagini, con la penna elettronica (che altro non è che un mause) evidenzio in rosso i concetti, sottolineo nomi e date, traccio collegamenti fra i vari periodi e intanto chiedo ai ragazzi le nozioni relative al “principio di legittimità” e alla “politica di equilibrio”: con mio sommo stupore rispondono in modo puntuale.

La lezione scivola via in un lampo e alla fine uno particolarmente sveglio mi chiede di salvargli gli appunti sulla chiavetta.

E’ inutile girarci attorno: i nostri ragazzi sono nati in mezzo alle nuove tecnologie e riescono ad intuirne gli utilizzi alla velocità della luce.

La testa e la pancia.

Non mi stupisco se un ministro usa toni sopra le righe per esprimere un concetto (condivisibile o meno), non mi stupisco più perchè ormai da molti anni la comunicazione politica ha visto nascere un nuovo stile fatto di slogan ripetuti all’infinito, di insulti, di colorite metafore, di neologismi improbabili, di urla, di “torte in faccia”.

Certamente la comunicazione politica non è solo questo, ma questo è ciò che resta nell’immaginario collettivo.

Non riesco a ricordare quando i nostri politici hanno cominciato ad esprimersi in modo colorito (da bar o da caserma, per intenderci) nell’intento di lasciare una traccia durevole dei loro pensieri e delle loro parole.

Sta di fatto che ora se sentiamo un esponente politico svolgere un ragionamento sottovoce, in modo educato, siamo presi da un attacco di noia, perchè la comunicazione non è brillante, non attira l’attenzione, parla alla testa e non alla pancia.

Andiamo a rivederci l vecchie tribune elettorali, quelle in bianco e nero di Ugo Zatterin, con i politici vestiti rigorosamente di scuro, spesso splendidi oratori, che avevano studiato retorica e sapevano citare i classici, capaci di una dialettica dalla logica stringente, ma che probabilmente ai nostri occhi risulterebbero irrimediabilmente soporiferi anche se impegnati in accesissimi dibattiti (accesissimi, s’intende, secondo lo stile dell’epoca).

Allora non si badava all’aspetto dei politici, non ci si curava se sapessero cantare o cucinare il risotto, ma ci si sforzava di capirne le idee, per approvarle o confutarle, e di scegliere sulla base di programmi illustrati in modo chiaro, magari noiosissimo, ma chiaro.

Forse dobbiamo imparare di nuovo ad ascoltare, a distinguere le idee dal modo in cui vengono formulate, a non fermarci alla superficie dei discorsi, a non accontentarci di slogan che vorrebbero venderci la politica come si fa con un’auto o un detersivo.

Forse dobbiamo imparare di nuovo a ragionare con la testa e non con la pancia.