Archivio mensile:Maggio 2009

Bella gente.

Conosco molte persone che dedicano una gran parte del loro tempo agli altri, persone che, essendo in pensione, potrebbero trascorrere le giornate in modo più riposante, magari leggendo un libro, giocando a carte, guardando la televisione o portando a spasso il cane.

Invece si alzano di buon mattino e si dedicano ad una serie di occupazioni, incastrando orari e impegni con maggior zelo di quando andavano a lavorare, accompagnano gli ammalati a fare visite mediche ed esami, tengono compagnia agli anziani, fanno assistenza a domicilio, cuciono e ricamano per raccogliere fondi, liberano le strade dalla neve, assistono le persone in difficoltà: in poche parole sono i volontari i quali, raggruppati nelle diverse associazioni, dedicano tempo, lavoro ed entusiasmo a migliorare la vita di tutti.

Sono persone splendide perchè agiscono gratuitamente e hanno spesso il sorriso sulle labbra.

Fra tutti i volontari che lavorano in paese ci sono i signori del “Pedibus”: un gruppo di persone che accompagnano i bambini a scuola, radunandoli da tutto il paese e guidandoli per le strade come un lungo coloratissimo bruco.

Questa iniziativa ha lo scopo di evitare l’utilizzo, da parte dei genitori, delle automobili e di guidare i bambini su percorsi sicuri.

E’ bello vedere i bimbi affidarsi a questo gruppo di nonni che vestono vistosi giubbini colorati, è bello ascoltarli, mentre camminano, raccontare agli adulti i loro piccoli segreti ed è bello vedere le lunghe file convergere, alla mattina, verso il piazzale della scuola fra risate e chiacchiere che ricordano il cinguettio dei passerotti sugli alberi della scuola.

I volontari si meritano veramente la nostra riconoscenza.

Ma se la legge è ingiusta?

Sento spesso parlare, soprattutto nei dibattiti elettorali, nei faccia a faccia fra candidati, di legalità intesa non tanto come civile rispetto di regole, ma come pedissequa obbedienza alle leggi.

Allora mi chiedo: e se la legge fosse ingiusta, non conforme ai miei principi morali o all’essenza del dettato costituzionale, contraria alla mia coscienza, a ciò in cui credo? Dovrei ubbidire ugualmente o poteri esercitare il mio diritto alla disubbidienza civile?

E’ un interrogativo che mi pongo spesso e davanti al quale resto perplessa perchè, da una parte, ho un grande rispetto per la legge e per le istituzioni, ma dall’altra ho una coscienza che si ribella a quelle che la mia sensibilità considera ingiustizie e non mi basta l’alibi di aver ubbidito ad una norma per tacitare la mia coscienza.

Nel libro cult della mia adolescenza “Il gran sole di Hiroshima“, che narra le vicende di una famiglia devastata dallo scoppio della prima bomba atomica, c’è una scena per me illuminante.

Al capezzale della piccola Sadako, colpita da leucemia da radiazioni, ci sono il padre e il fratello che discutono: il padre afferma che i piloti del bombardiere americano avevano ubbidito a un ordine impartito, mentre il fratello sostiene che lui non avrebbe ubbidito, perchè ad un ordine ingiusto è ingiusto ubbidire.

Sarà perchè questo romanzo mi aveva profondamente colpito negli anni della formazione, ma io la penso esattamente così.

Ultimi fuochi.

Questi sono giorni di grande impegno, giorni che dovrebbero durare almeno trenta ore e che, invece, scivolano via come sabbia tra le dita.

Ieri c’è stata la chiusura ufficiale del laboratorio tetrale con due spettacoli, uno alla mattina per i ragazzi, e uno alla sera, per i genitori, che hanno costretto i miei piccoli attori a tenere la concentrazione per tutto il giorno (mentre io avevo l’adrenalina alle stelle).

Oggi le ultime lezioni e, intanto, le ultime scartoffie e un problema urgente che è scoppiato, in classe, come una bomba a orologeria, un discorso spiacevole che avrei preferito non dover affrontare, ma che era mio dovere affrontare: abbiamo discusso, abbiamo dialogato, i ragazzi hanno capito gli errori commessi e sembravano decisamente pentiti non per paura di una punizione (che non mi interessa dare9, ma perchè hanno compreso che devono assumersi le loro responsabilità.

Riconoscere i propri errori e porvi rimedio è un modo per diventare grandi quindi non è tempo perso parlare con i ragazzi di responsabilità anche se non è sempre comodo.

E poi c’è la campagna elettorale, che è sempre più frenetica, e la vita quotidiana che non risparmia pensieri e impegni e, infine, questo caldo già estivo che toglie le forze e la voglia di fare.

Devo tener duro per far fronte ai miei numerosi impegni, ma ho tanto bisogno di vacanza.

Fatto!

Oggi abbiamo ufficialmente concluso il programma di storia con la lettura di due immagini poste in fondo alla pagina, nell’immagine a sinistra Napoleone sale lungo il sentiero che porta al Gran San Bernardo, indossa un cappotto militare piuttosto dimesso, ha l’aria decisamente stanca e preoccupata, l’immancabile mano destra protegge lo stomaco in un gesto divenuto proverbiale, una guida trascina per la cavezza un cavallo (o un mulo) riluttante, intorno il paesaggio è coperto di neve mentre una nuvolaglia grigia copre il cielo, l’immagine non ha nulla di eroico o di epico.

A destra vi è l’altra immagine, la più celebre, quella di David.  Il generale cavalca un destriero che sembra usare solo le zampe posteriori, indossa una divisa smagliante ed è avvolto in un drappeggio rosso (che, tra l’altro, a cavallo deve risultare piuttosto scomodo), il vento impetuoso sembra sospingerlo verso l’alto, mentre la mano ha abbandonato l’addome dolorante per puntare verso la meta, non c’è neve sul sentiero, ma una roccia sulla quale il “fato” ha inciso il nome dell’eroe, cancellando quelli di condottieri non meno celebri, ma più remoti: Annibale e Carlo Magno (sic transit gloria mundi).

A conclusione dell’anno scolastico ci prendiamo un po’ di tempo per interpretare queste due illustrazioni e introdurre il concetto di “culto della personalità”: l’anno prossimo, in terza, ne avremo sicuramente bisogno.

Non si può piacere a tutti.

I rapporti tra persone sono spesso complessi, la simpatia e l’antipatia sono sovente una questione di pelle, una persona ci piace o non ci piace non sempre per motivi razionali e controllabili, ma perchè un suo sguardo, un discorso, un atteggiamento ci ricordano esperienze positive o negative, fantasmi del passato che riemergono e che, se restiamo in superficie, possono condizionarci: noi non sappiamo il perché dei nostri sentimenti nei confronti degli altri, il nostro cervello sì.

Sono quelle che io chiamo simpatie o antipatie istintive sulle quali mi piace indagare per comprenderne i meccanismi.

Poi ci sono le antipatie “vere”, quelle che nascono per un motivo concreto: se qualcuno ci danneggia o parla male di noi suscita logicamente sentimenti negativi.

In questi giorni ho sperimentato anche l’antipatia “elettorale”, quella di persone che fino a qualche mese fa mi salutavano cordialmente e oggi, solo per il fatto di essermi schierata da una parte, se m’incontrano girano ostentatamente il capo dall’altra parte.

Non pretendo di essere simpatica a tutto il mondo, non pretendo neanche che chi non la pensa come me mi dia il suo voto, un cenno di saluto, però, è solo un gesto di cortesia, non necessariamente di condivisione e costa veramente poca fatica.

Al santuario.

Oggi è stata un’altra giornata di caldo africano (ma i miei amici africani dicono che dalle loro parti fa più fresco, o per lo meno c’è meno afa).

Decidiamo, dopo pranzo, di fare una passeggiata al santuario di Ornago, attraverso le Foppe e il bosco, alla ricerca di un po’ di ombra.

Sotto gli alberi si sta un po’ meglio, anche gli uccellini si azzardano a cantare, camminare sotto gli alberi, sulla terra battuta e il prato fa indubbiamente piacere, non è come stare sull’asfalto che rimanda insopportabile la vampa del sole.

Sul limitare del territorio vincolato a Parco (del Rio Vallone) in prossimità del cartello che ne indica i confini, sono spuntate come funghi delle palazzine proprio dove, fino a poco tempo fa, si stendevano i campi e il cemento assedia persino la fonte miracolosa che è diventata irriconoscibile.

Mi ritrovo a camminare sull’asfalto, non più protetta dall’ombra gentile degli alberi e, francamente, mi viene una grande tristezza.

Quando la smetteremo di cementificare ogni metro quadrato di verde?

P.S. niente foto oggi, perchè non c’è proprio niente di bello da vedere e da raccontare.

Parliamo d’altro.

In questi giorni si fa un gran parlare dela sentenza Mills e dell’affaire Noemi con accuse, memoriali, domnde senza risposta, attacchi e contrattacchi, ma forse, pur nella loro importanza per la gravità delle implicazioni, è altro ciò di cui i giornali dovrebbero parlare.

Forse dovremmo accalorarci un po’ di più per questa crisi, talora sottovalutata, che sta falcidiando posti di lavoro e gettando molte famiglie in una preoccupante precarietà.

Parlare della crisi non significa schierarsi su posizioni ottimistiche o pessimistiche, azzardare previsioni di durata e di intensità, cercare cause remote o contingenti, ma adottare misure per fronteggiarla, per proteggere chi rischia di non farcela, per creare posti di lavoro, magari battendo la strada inesplorata delle fonti d’energia rinnovabili, come avviene negli Stati Uniti dove schiere di disoccupati stanno riqualificandosi come istallatori e manutentori di impianti fotovoltaici ed eolici.

Forse dovremmi parlare di “piccole opere” come quelle necessarie per la manutenzione degli edifici scolastici (fino a qualche mese fa non si diceva che un terzo delle scuole non è sicuro?) che creerebbero tanto lavoro diffuso su tutto il territorio nazionale, senza lanciare imprese faraoniche che, logicamente, richiedono grandi investimenti e tempi lunghi.

Forse di argomenti simili si dovrebbe parlare, non abbiamo tempo per il gossip.

Le nozze con i fichi secchi.

Alcuni dirigenti scolastici denunciano in modo pressante una mancanza di fondi che rischia di paralizzare gli istituti:  non solo mancano i soldi per i toner, la carta igienica, i detersivi, ma anche per pagare le supplenze e le famigerate visite fiscali  per assenze anche di un solo giorno (ebbene sì, anche le visite fiscali sono a carico dei bilanci, già magri, degli istituti quindi se il corpo docente di una scuola è cagionevole di salute sono guai seri).

La situazione è così critica che i dirigenti si sono rivolti alle famiglie, inventandosi delle collette più o meno onerose per permettere alla scuola pubblica, e sottolineo pubblica, di funzionare.

E’ ora che si cominci a comprendere che non si può sempre tagliare (pardon razionalizzare) sulle spese di funzionamento della scuola, è ora che si comprenda che una scuola pubblica funzionante garantisce istruzione ed educazione, è ora che si cominci seriamente ad investire sul nostro futuro.

Valori.

Stiamo lentamente avviandoci verso la fine della campagna elettorale, tra due settimane tutto questo grande lavoro sarà concluso, ci rimetteremo al giudizio degli elettori e staremo a vedere come va a finire.

Di questo periodo mi restano alcune impressioni piacevoli: mi piace  aver collaborato a costruire un progetto, mi piace il fatto di essermi confrontata con tante persone di età diverse, di esperienze diverse, ma con alcune idee fondamentali comuni, mi piace aver condiviso un percorso che è stato anche, come sempre, un percorso di crescita nel quale ho imparato tanto.

Abbiamo condiviso visioni del mondo e valori, anche se c’è sempre un po’ di pudore, da parte mia, a parlarne: ho l’impressione che troppi si riempiano la bocca con i “valori”, mentre, almeno per me, non sono titoli da sbandierare, ma principi che informano tutta la mia vita, sui quali si fonda quello che sono e quello che faccio.

Non credo sia necessario parlare di valori, credo sia fondamentale agire coerentemente con essi, con umiltà, ma anche con il coraggio di fare scelte a volte difficili, a volte impopolari nella consapevolezza che la vita ci mette alla prova ogni giorno e, alla prova dei fatti, solo chi ha ancoraggi solidi può permettersi il lusso di essere credibile.

Sono però sicura che, qualunque sia il risultato delle urne, non cambierà il mio impegno nella condivisione delle mie competenze, grandi e piccole, e del mio tempo che continuerò a mettere a disposizione di quanti mi circondano, come faccio da sempre, come credo continuerò a fare.

Lavorare con gli altri e per gli altri non può essere un fatto transitorio e contingente.

Essere sé stessi.

La serata è tiepida, non riesco più a stare seduta nel salone dove è in corso un dibattito politico, conosco le domande, ma soprattutto conosco le risposte (…e ho l’impressione che le conoscano anche quelli che hanno posto le domande).

Esco nel cortile a prendere una boccata d’aria e incontro un mio ex-allievo che stento a riconoscere perchè è cresciuto in maniera incredibile e non solo fisicamente, mi fermo a parlare con lui senza suscitare sospetti: ha sedici anni, non è un elettore, è semplicemente un amico.

Lo ricordo timido e impacciato quando frequentava la scuola media, lo ritrovo sicuro di sé, desideroso di affermare le proprie convinzioni che sono un po’ estreme, ma a sedici anni è fisiologico.

Lo ascolto interessata: ha un gran desiderio di affermare la propria personalità, sta cercando una strada, sta costruendosi delle idee, non si accontenta delle idee preconfezionate, così come rifiuta un look preconfezionato, si arrabbia se incontra il pregiudizio, vuole essere giudicato per quello che è e non per quello che sembra.

Mi piace questo adolescente desideroso di costruirsi un’identità, mi piace che i miei discorsi ripetuti fino alla nausea in classe abbiano lasciato una traccia: ho l’impressione di aver trovato un giovanissimo uomo che rivendica la libertà di essere sé stesso.

Mi piace pensare che anch’io ho dato il mio piccolo contributo alla sua libertà.