Archivio mensile:Marzo 2009

L’utile e il bello.

La giornata di fine marzo è così così, ha smesso di piovere, ma fa ancora freschino e il cielo è nuvoloso, non rinunciamo alla nostra camminata del lunedì, ma non è il caso di impegnarci in un percorso lungo che ci porti troppo lontano dal parcheggio e dal rifugio sicuro dell’auto: non si sa mai, se dovesse ricominciare a piovere…

Camminiamo lungo l’Adda intorno a Trezzo e raggiungiamo la Centrale Taccani mentre le nuvole si aprono e comincia a fare capolino un timidissimo sole.

Mi piace molto questo impianto perchè mi sembra un po’ il simbolo di come si possa progettare qualcosa di utile senza rinunciare al bello: alla fine dell’ottocento Cristoforo Benigno Crespi acquistò il terreno sul quale sarebbe sorta la centrale che doveva alimentare il cotonificio e il villaggio operaio che avrebbe preso il suo nome.

Il particolare che mi ha sempre colpito è che l’imprenditore stabilì che la centrale idroelettrica doveva essere funzionale, ma perfettamente inserita nel paesaggio in modo da ridurre al minimo l’impatto ambientale.

Così l’architetto Moretti progettò un edificio elegante ed armonioso, utilizando il ceppo (la pietra tipica dell’Adda), ch si inserisce perfettamente nel paesaggio congiungendosi idealmente alla mole del castello.

E’ bella la Centrale Taccani, non sembra neppure un impianto industriale, si riflette sontuosa nello specchio d’acqua e sta lì a dimostrare che un edificio, nato per produrre energia, non deve necessariamente essere brutto, ma può arricchire il territorio: serve solo un po’ di attenzione all’ambiente e un po’ di voglia di investire in bellezza.

Lungo l'Adda tra Trezzo e Crespi

Equo e solidale.

Mi capita, ogni tanto, di imbattermi in una bottega del commercio equo e solidale e, di solito, entro ad acquistare i prodotti che sono di alta qualità, anche se qualcuno mi accusa di essere “radical-chic” (francamente è una definizione che mi fa innervosire anche perché so di non essere per nulla chic).

Non nascondo che acquistare in una bottega del commercio equo e solidale mi fa piacere, mi dà l’impressione di fare qualcosa di buono, anche se si tratta di una piccolissima cosa.

Qualche sera fa ho partecipato ad una riunione, organizzata dalla cooperativa Mondoalegre, che mi ha permesso di comprendere più a fondo il fenomeno.

Questa forma di commercio non solo consente ai produttori di ricevere un prezzo più adeguato per le loro merci, ma ha anche altre interessanti caratteristiche: innanzitutto una parte della somma viene anticipata, così da consentire al produttore di lavorare in modo sereno e non indebitarsi per acquistare sementi e mezzi di produzione, poi spesso vengono elargiti dei bonus laddove le comunità si impegnino nella realizzazione di opere sociali (scuole, ambulatori, etc), infine i contratti hanno la durata di diversi anni in modo da permettere ai contadini di poter contare su un guadagno sicuro a lungo termine.

Si tratta di piccoli timidi passi verso un mondo più giusto

Come una rosa blu.

Oggi vorrei regalare a tutti questa poesia scritta da Gerda Klein, mamma di una bimba affetta da da una forma di disabilità psichica, perchè  ci offre un diverso, preziosissimo, punto di vista.

Jenny è una bambina…..
un’adorabile bambina.
I suoi occhi sono nocciola,
i capelli un po’ più scuri.
Se i capelli le cadono sugli occhi,
li scosta.
Ma la mano non va diritta alla fronte,
prima si curva come un fiore
al primo schiudersi dei petali,
poi scosta i capelli dagli occhi.
Jenny è diversa.
Diversa ?
Si, diversa da quasi tutte le altre
Ma chi ha detto che tutte le persone
debbano essere uguali ?
Pensare, agire, apparire uguali ?
Per me Jenny è come una rosa blu.
Una rosa blu ?
Avete mai visto una rosa blu ?
Ci sono rose bianche,
e rose rosa, e rose gialle,
e una infinità di rose rosse.
Ma blu ?
Un giardiniere sarebbe felice
di avere una rosa blu.
La gente verrebbe da lontano per vederla.
sarebbe rara, diversa, bella.
Anche Jenny è diversa.
Ecco perché, in qualche modo,
è come una rosa blu.
Quando Jenny giunse a casa dalla clinica,
“una bambolina rosa, morbida e paffuta”
piangeva spesso,
più spesso degli altri bambini.
Perché ?
Chissà, forse vedeva ombre diverse
che la spaventavano.
Forse udiva suoni a lei sconosciuti.
Quando fu più grandicella,
stava sempre accanto alla mamma
e le si attaccava alla gonna.

Per un uccello così, volare è difficile:
ci vuole più forza, più fatica, più tempo.
Per un uccello con le ali normali
volare è una cosa scontata,
ma un uccellino con le ali corte
deve impegnarsi molto per imparare.
Non importa cosa.
Ma c’è un’altra Jenny,
una Jenny che, in un triste pomeriggio d’inverno,
siede in poltrona e si dondola,
con la sua bambola fra le braccia.
E’ molto turbata, è confusa.
Lentamente mi dice:
“ mamma,
Sally ha detto che sono ritardata.
Che vuol dire, mamma ?
Ritardata ?
I bambini dicono ritardata,
e ridono.
Perché ridono, mamma ?”

Sapete, quando un gattino perde la coda
l’udito gli si fa più acuto, dicono.
E’ vero che la coda aiuta un gattino
a correre più veloce,
ma un gatto senza coda ci sente meglio
e avverte i passi che s’avvicinano
molto prima degli altri micini.
Ma alcuni non sanno che un gatto simile
può avere un udito tanto acuto;
vedono solo che gli manca la coda.
Certi bambini sono crudeli
e guardano fisso, e prendono in giro:
“gatto senza coda ! “
A volte Jenny correva dalla mamma
e le si aggrappava stretta,
così, senza una ragione,
o almeno senza una ragione chiara per noi.
Pian piano capimmo che il mondo di Jenny
era un poco diverso,
un mondo, in un certo senso, a noi ignoto.
Cominciammo a pensare
che vivesse in un mondo nel quale
potevamo non sentirci a nostro agio.
Entrare in quel mondo
è un po’ come andare su un altro pianeta.
E’ come se Jenny vivesse dietro uno schermo,
uno schermo che non riusciamo a vedere.
Forse ha colori magnifici,
forse quei colori, a volte, distraggono Jenny
dal prestare attenzione a quel che diciamo.
O forse ascolta una musica che noi
non possiamo sentire.
I pesci hanno un linguaggio e una musica
tutta loro, portata dalle onde, dicono.
Una musica che noi non possiamo udire
perché non abbiamo orecchie abbastanza fini.
Si, forse Jenny ode suoni che noi non udiamo,
forse è per questo che a volte balza in piedi
e intreccia misteriosi passi di danza.
Jenny è come un uccellino,
un uccello dalle ali molto corte,
mi capita di pensare.

Ci sono molte cose che Jenny non capisce.
E ci sono molte cose di Jenny
che gli altri non capiscono:
che Jenny è come un gattino senza coda,
che Jenny sente una musica diversa,
che Jenny ha le ali corte,
che Jenny deve essere protetta.
Jenny è come una rosa blu, delicata e bellissima,
Ma le rose blu sono così rare
che ne sappiamo poco, troppo poco.
Sappiamo solo che hanno bisogno
di essere curate di più.
Di essere amate di più.

Spaghettata notturna.

Si lavora per tutta una settimana a preparare un evento, c’è la giusta tensione, c’è il timore di non arrivare a preparare tutto quanto come si deve, poi la serata arriva e passa, tutto fila liscio come un ingranaggio ben oliato, ci si guarda in faccia, nei visi di tutti c’è un’espressione sollevata e leggera “…è andata”.

Di colpo ci i sente stanchi, contenti, ma un po’ svuotati e si ricomincia a guardare avanti.

Cosa c’è di meglio allora che sedersi intorno a un tavolo: mentre qualcuno prepara i piatti e i bicchieri dalla cucina arriva il profumo dell’aglio e salta fuori, come per magia, un pezzo di formaggio, ci vuole un attimo  buttar giù due spaghetti, ma mette tanta allegria.

Sembra di tornare ragazzi, quando si facevano normalmente queste “mattate” e l’aglio era decisamente meno indigesto, grazie allo stomaco di ferro tipico della giovinezza.

Se il tempo non basta.

La mia giornata comincia poco più tardi delle sei, il mio primo gesto, puramente istintivo, coniste nel cercare a tentoni la sveglia, nel tentativo inconfessato e inconfessabile di scagliarla fuori dalla finestra.

Siccome sono dotata di un grande autocontrollo (…e di una notevole pigrizia), mi limito a spegnerla e poi cerco di girarmi dall’altra parte, ma non cado in tentazione e balzo in piedi.

In realtà non “balzo” visto che ho sempre la pressione bassissima e il recupero della stazione eretta richiede tutta una serie di rituali propiziatori e di movimenti a rallentatore, come se camminassi su una nuvola.

Il primo caffè della giornata mi restituisce un po’ di lucidità e, da quel momento, comincia una incredibile teoria di impegni: il lavoro, le faccende domestiche, la spesa, la banca, la posta, gli uffici vari, le visite mediche (con relative attese bibliche), le riunioni alle quali non si può assolutamente mancare.

Il tempo non basta mai, corro trafelata da un posto all’altro, sempre con la paura di non arrivare in orario.

Alla fine mi ritrovo, poco dopo la mezzanotte, a cercare di convincere mia madre ad andare a dormire, tutte le sere è la stessa storia: lei dormicchia durante la giornata e alla sera è sveglia come un grillo, io mi trascino con la reattività di un bradipo sognando solo di appoggiare la testa sul cuscino.

Avrei proprio bisogno di una giornata più lunga….

E io che ci contavo….

Per una volta un annuncio del governo mi aveva entusiasmato: da tanto tempo sogno di avere uno studio dove stipare i miei libri, dove mettere una vecchia scrivania (di quelle monumentali da ufficio), dove rinchiudermi a correggere i temi, a studiare, a scrivere in santa pace, ma in casa mia non c’è spazio.

La possibilità di allargare l’abitazione, che era stata ventilata con il nome di “piano-casa”, mi aveva spalancato emozionanti prospettive.

Purtroppo, visto che vivo in un condominio, non sarebbe stato semplice decidere da che parte espandere la mia proprietà.

Avrei potuto murare il balcone che è spesso inutilizzato (considerato anche l’inverno persistente), avrei potuto acquistare spazio a spese dell’appartamento del vicino (magari approfittando delle vacanze estive), avrei potuto creare uno spazio nel vuoto, magari sorretto da pali in legno artisticamente intarsiati per non deturpare la facciata, insomma avrei dovuto fare ricorso a tutta la mia creatività, ma sicuramente avrei trovato una soluzione.

Ero già pronta a consultare qualche amico architetto, ero già in procinto di  ingaggiare maestranze ed acquistare materiali (prima della inevitabile lievitazione dei prezzi provocata dall’aumento della domanda).

Invece prima è arrivata la notizia che il provvedimento avrebbe riguardato solo le abitazioni mono e bifamiliari, poi si sono diffuse voci di uno slittamento dell’esame del piano casa.

Pazienza: vorrà dire che dovrò rinunciare ad uno spazio tutto mio.

Facebook…e la terza persona.

Premetto che resto sempre un po’ sconcertata quando qualcuno parla di sè, delle proprie opinioni e del proprio operato in terza persona: di solito, siccome sono sempre un po’ distratta, faccio un po’ di fatica a capire chi sta parlando di chi.

Anche quando frequentavo il Ginnasio mi scappava un po’ da ridere quando traducevo il “de bello gallico“, anche se la mia prof.  aveva spiegato lungamente che Cesare aveva optato per quella scelta stilistica nel tentativo di dare una parvenza di oggettività alla narrazione delle sue imprese, continuavo a considerare il buon vecchio Giulio un po’ suonato (d’altra parte può anche succedere a uno che fa una vita d’inferno per rompere le scatole alla popolazione di mezza Europa).

Oggi, quando alla televisione sento qualche politico o qualche opinionista parlare di sè in terza persona, mi scappa un po’ meno da ridere: “cavolo” penso tra me e me “ci metti la faccia e poi prendi le distanze da te stesso!”.

Qualcuno sostiene che  si maschera la difficoltà di accettarsi , l’imbarazzo di presentarsi al pubblico prendendo le distanze da sè stessi,  altri invece pensano che l’uso della terza persona sia sintomo di maggiore sincerità (la famosa “oggettività” di Cesare).

A me continua a sembrare strano e, comunque, continuo a parlare di me usando “io”, sarà che ho una smodata considerazione di me stessa, sarà che mi confondo se parlo di me in terza: dopo un po’ tendo a perdermi.

Per questo motivo faccio fatica ad aggiornare il mio “status” su Facebook: mi dà fastidio quel “Renata pensa”, “Renata dice…”, preferirei di gran lunga “Io dico”, “Io penso” perchè ho l’impressione che il più celebre e celebrato social network contribuisca a diffondere una cattiva abitudine.

La terza persona mi sembra così distante, così “altro” da me, così impersonale…..

Basta!

Forse ci vogliono più regole, o più sanzioni, o più attenzione o più formazione.

Forse tutto questo non basta e qualche volta si tratta veramente di fatalità.

Tuttavia un paese civile non può arrendersi e limitarsi a registrare questo inaccettabile bollettino di guerra.

Il mostro in prima pagina.

Negli anni venti esplose a Roma una incredibile serie di rapimenti e stupri di bambine che destò vasta eco nell’opinione pubblica, tanto che Mussolini, preoccupato dal rischio che si pensasse che il regime non era in grado di garantire la sicurezza, fece pressioni sul capo della polizia affinchè assicurasse al più presto il colpevole alla giustizia.

Dopo alcune false piste i sospetti si appuntarono, sulla base di semplici coincidenze, su un giovane scapolo Gino Girolimoni il quale, nonostante si proclamase innocente e avesse un alibi almeno per uno dei delitti, fu accusato e imprigionato: i giornali uscirono con la notizia, a caratteri cubitali, della cattura del mostro.

La tranquillità era tornata a Roma.

In seguito, però, un solerte commissario riprese le indagini, mise in luce i punti controversi tanto che Girolimoni fu completamente prosciolto, ma la notizia passò quasi sotto silenzio e al malcapitato restò attaccata l’infamante etichetta di mostro.

Per fortuna oggi non viviamo più in tempi così oscuri, l’informazione non è più controllata da un regime in cerca di consenso perciò spero che Karol Racz, accusato degli stupri della Caffarella e di Primavalle, la cui immagine è comparsa su tutti i giornali e in tutti i telegiornali e che è stato, a quanto sembra, ompletamente scagionato, venga giustamente riabilitato e il suo nome non resti, nell’immaginario collettivo, come sinonimo di stupratore.

Dovremmo sempre ricordarci che nessuno, ma proprio nessuno, è colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia riconosciuta da un tribunale.

Là dove c’era l’erba (il Mugello).

Ho letto una storia terribile, la storia dello scavo di un tunnel che ha provocato devastazioni e mutamenti, probabilmente irreversibili, a livello idrogeologico e ambientale in un’area di una bellezza struggente: il Mugello.

Immagino che quando furono iniziati i lavori della TAV, che avrebbe fatto risparmiare ben 22 minuti sulla tratta Bologna Firenze, ci siano state le consuente manifestazioni degli ambientalisti, spesso liquidate come un inutile e dannoso bastone fra le ruote alle “magnifiche sorti e progressive”.

Da una parte sta chi si batte per difendere l’ambiente sempre e comunque, dall’altra chi, fidandosi ciecamente della tecnologia, del progesso, della modernità fa risalire le numerose arretratezze del nostro paese anche ai continui intralci di una politica ambientalista miope.

Non penso che sia giusto opporsi ad ogni grande opera, ad ogni innovazione, ma credo che andrebbero tenute in considerazione le voci allarmistiche di chi chiede che le infrastrutture siano studiate accuratamente così da avere il minor impatto ambientale possibile.

Forse uno studio più attento avrebbe permesso di realizzare la ferrovia ad alta velocità (che comunque è utile) conservando intatto il patrimonio naturale.