Ma sì, finiamola con tutti questi ristoranti etnici nei nostri centri cittadini, riprendiamoci le città, riprendiamoci le tradizioni, basta con il kebab, il sushi, gli involtini primavera e, già che ci siamo, con i cheeseburger e il milk shake.
A Milano, a tavola, si torni a parlare milanese: risotto allo zafferano, ossibuchi, cotoletta (peccato che in Austria la chiamino wienerschnitzel) e panettone, possibilmente con il menù vergato nella lingua del Porta.
Cosa sono tutti quei lunch, brunch, happy qua e happy là?
Speriamo solo che a nessun assessore di qualche città tedesca, o inglese, o francese, o polacca, o olandese, o bulgara venga in mente di spostare in periferia le “Trattorie Toscane” e le “pizzerie Bella Napoli” che infestano, contaminando la loro cultura, i centri storici delle loro città.
E pazienza se la conoscenza reciproca passa anche dalla tavola, pazienza se il cibo è uno strumento importante per avvicinare le altre culture e apprezzarne le caratteristiche, pazienza se, nel passato, quando gli europei hanno scoperto nuovi continenti hanno portato a casa cibi sconosciuti ed esotici (patata e pomodoro, per dirne due).
Sia chiaro, non intendo difendere esercizi fatiscenti e dalla dubbia pulizia, ma non ritengo che ristoranti che rispettano le norme igienico-sanitarie nella preparazione e nella vendita del cibo non debbano trovare posto accanto a ristoranti legati alla più pura tradizione locale: sta al cliente scegliere secondo i propri gusti e le proprie tasche.
O forse sbaglio, forse è ora di tornare alle origini e allora: polenta per tutti!
(ops: forse anche il mais è un cibo esotico)