Archivio mensile:Gennaio 2009

Finiamola!

Ma sì, finiamola con tutti questi ristoranti etnici nei nostri centri cittadini, riprendiamoci le città, riprendiamoci le tradizioni, basta con il kebab, il sushi, gli involtini primavera e, già che ci siamo, con i cheeseburger e il milk shake.

A Milano, a tavola, si torni a parlare milanese:  risotto allo zafferano, ossibuchi, cotoletta (peccato che in Austria la chiamino wienerschnitzel) e panettone, possibilmente con il menù vergato nella lingua del Porta.

Cosa sono tutti quei lunch, brunch, happy qua e happy là?

Cucina bengalese

Speriamo solo che a nessun assessore di qualche città tedesca, o inglese, o francese, o polacca, o olandese, o bulgara venga in mente di spostare in periferia le “Trattorie Toscane” e le “pizzerie Bella Napoli” che infestano, contaminando la loro cultura, i centri storici delle loro città.

E pazienza se la conoscenza reciproca passa anche dalla tavola, pazienza se il cibo è uno strumento importante per avvicinare le altre culture e apprezzarne le caratteristiche, pazienza se, nel passato, quando gli europei hanno scoperto nuovi continenti hanno portato a casa cibi sconosciuti ed esotici (patata e pomodoro, per dirne due).

Sia chiaro, non intendo difendere esercizi fatiscenti e dalla dubbia pulizia, ma non ritengo che ristoranti che rispettano le norme igienico-sanitarie nella preparazione e nella vendita del cibo non debbano trovare posto accanto a ristoranti legati alla più pura tradizione locale: sta al cliente scegliere secondo i propri gusti e le proprie tasche.

O forse sbaglio, forse è ora di tornare alle origini e allora: polenta per tutti!

(ops: forse anche il mais è un cibo esotico)

torta paesana

Riordinando….

Riordinando le foto sparse per ogni dove ho scoperto che la mia conversione al digitale risale a dieci anni fa (cavolo son già passati dieci anni, chi l’avrebbe mai detto, tempus fugit….eccetera eccetera).

La mia prima digitale è stata una macchinetta della Casio, 64 mb di memoria (logicamente non ampliabile) che mi aveva passato un amico deluso: le foto erano pochine, sgranatissime, azzurrine, ma era già possibile intuire l’enorme potenzialità del mezzo.

In casa abbiamo tutti la passione della fotografia e tutti, prima o poi, siamo incappati in piccoli guai: in viaggio rullini di pellicola finiti davanti a panorami stupendi e inaspettati (con il primo negozio a più di cento chilometri di distanza), pellicola caricata male, che si strappa durante l’avanzamento, rullino smarrito dal laboratorio di sviluppo e poi foto mosse, sfuocate, inquadrature sbagliate o insignificanti, sottoesposte, sovraesposte (non si può mica vedere com’è la foto quando la scatti).

Per tutti questi motivi la mia conversione al digitale è stata totale ed entusiasta, mi piace avere la mia macchina sempre con me, pronta a cogliere l’attimo fuggente, la luce particolare, l’espressione irripetibile, mi piace non avere gli scatti “contati”.

La mia (le mie) digitale è diventata ormai uno strumento irrinunciabile della mia creatività.

Cavenago

Doverosa spiegazione.

Leggendo il post di ieri qualcuno potrebbe chiedersi (a ragione) perché io mi ostini, dopo più di un trentennio di onorato servizio, ad accompagnare i ragazzi nei viaggi d’istruzione, visto che la paga è poca e le responsabilità sono grandi.

Non si tratta, da parte mia, di masochismo, ma più semplicemente della convinzione che l’apprendimento passa per molte vie e non solo attraverso libri e spiegazioni.

Certo non si tratta di trascinare in giro per città d’arte orde di pargoli indifferenti, non si possono scaricare dei ragazzi in una piazza rinascimentale sperando che la magia del luogo compia il miracolo.

Ogni gita deve essere accuratamente preparata, deve essere parte integrante o conclusione di un lavoro di ricerca e di studio, i ragazzi devono “vedere” dal vivo ciò che già conoscono dalle letture, devono poter comprendere ciò che vedono: allora, e solo allora, la gita scolastica ha un senso, allora può capitare che si appassionino a qualcosa, che si interessino ad un quadro, a un monumento, a una vallata.

Uscire dalla scuola per imparare meglio non è, come alcuni pensano, una perdita di tempo, non è “una passeggiata” anzi, qualche volta, richiede maggior rigore e impegno più serio anche da parte degli insegnanti, ma ha l’indubbio vantaggio di fissare, in modo indelebile, le conoscenze acquisite sui libri, di rendere ciò che si è studiato incredibilmente concreto, più vero e reale.

Per questo motivo, anche se mi lamento (fa parte del gioco dei ruoli), mi ostino ad accompagnare i miei ragazzi in gita.

Fannulloni in trasferta.

Sveglia all’alba (anzi un po’ prima visto che alle sei, dalle nostre parti, è ancora buio pesto), colazione abbondante, tuta e scarponi e via che si parte per la montagna.

Come ogni anno si ripete l’esperienza della “scuola in montagna“, questa volta, però, estesa a tutti gli allievi di prima e seconda (quelli di terza rosicano, ma devono studiare per gli esami e quindi niente distrazioni), i ragazzi sono divisi in tre gruppi: quelli che sciano, quelli che fanno snowboard e quelli che fanno attività di trekking per imparare come orientarsi e come usare le ciaspole.

Alla partenza c’è una piccola folla di genitori: c’è la mamma un po’ ansiosa che si lascia sfuggire un sinitro “Speriamo che vada tutto bene” che ha lo straordinario potere di catalizzare tutta la sfortuna della provincia.

Tra i genitori serpeggia un atteggiamento represso di invidia “Che fortuna questi professori: passano una giornata a divertirsi in montagna e sono pure pagati per farlo”.

Non sanno che gli insegnanti pagherebbero per trascorrere una giornata di noia senza dover badare ai loro pargoli che riescono a cacciarsi in tutti i guai possibili e immaginabili.

Ci sono quelli che escono dal noleggio mulinando minacciosamente sci e racchette sulle teste dei compagni in coda, ci sono quelli che si slacciano la tavola e la lasciano beatamente scendere a valle, a velocità folle, “tanto la riprendono giù” (e pazienza se la tavola punta contro la prof d’italiano che, data l’età, ha qualche problema a togliersi fulmineamente dalla traiettoria del bolide), ci sono quelli che, alla dodicesima volta, non hanno ancora capito che il cartello con la scritta “alzare i bastoncini all’arrivo” significa che bisogna “alzare i bastoncini all’arrivo” altrimenti il tapis roulant si blocca e poi si ribaltano perchè il tapis roulant, logicamente, si blocca.

E poi ci sono quelli che dopo lunghe ed estenuanti vestizioni ( “prof : non si allaccia lo scarpone, lo sci scivola, il casco è stretto, ho perso un guanto) dopo aver infilato scarponi, sci, guanti e casco scoprono che “dovevano” andare in bagno e quindi procedono a lunghe ed estenuanti svestizioni.

Alla fine tutti quanti fanno ritorno a casa un po’ provati, soprattutto i prof. (quelli pagati per andare in montagna a divertirsi).

Scendo dal  pullman e giuro a me stessa che è l’ultima volta, che la prossima starò a casa, che vadano pure gli altri colleghi…ma domattina, alle sette, sarò già pronta, con tuta e scarponi, per un’altra divertente giornata sulla neve.

tramonto a lizzola

Memento (il giorno della memoria).

“Memento”, tradotto dal latino, significa “ricorda”: si tratta più di un ammonimento solenne che di un ordine, ma un ammonimento proiettato nel tempo, negli anni a venire, non solo per noi, ma per le generazioni future.

Memento, ricorda, soprattutto ora che, con il passare inesorabile degli anni, i testimoni se ne vanno, ad uno ad uno, portandosi dietro quel numero tatuato sul braccio e il tremendo fardello di ciò che è stato.

Memento, ricorda, soprattutto ora che si fa strada il negazionismo: come se i lager, sparsi in tutta Europa, fossero una sorta di macabri “parchi a tema”, creati per qualche losco motivo, da una astuta regia.

Memento, ricorda, soprattutto ora che sui muri delle nostre città compaiono scritte che mettono i brividi e serpeggia un antisemitismo più diffuso di quanto, a prima vista, potrebbe sembrare che scivola attraverso le barzellette e le chiacchiere da bar.

Memento, ricorda, perché se non teniamo vive le coscienze e permettiamo all’orrore di annacquarsi, di banalizzarsi significa che siamo pronti a nuovi orrori.

dachau

Pagelle online (parte seconda)

Nel 1983 usciva sugli schermi una pellicola che amo molto: “Wargames“, nella quale un adolescente riusciva ad entrare in contatto con un supercomputer del Pentagono impegnato nel controllo dei silos dei missili intercontinentali, rischiando di scatenare una guerra termonucleare.

Nelle prime scene del film il giovincello, per mostrare la propria abilità alla ragazzina del cuore, entra nel database della scuola e modifica (logicamente in meglio) i propri voti e quelli della compagna, facendola naturalmente franca.

Mi sembra una storia istruttiva soprattutto in questi giorni nei quali si riparla di pagelle online e di totale abolizione della carta dalla pubblica amministrazione.

Sia chiaro: non ho una mentalità medievale, non sono contraria all’uso di tutti quei mezzi che possono facilitarci la vita facendoci risparmiare tempo e denaro, non sono contraria, per principio, al computer (mi sembra di servirmene quotidianamente senza paure e timidezze), tuttavia mi piacerebbe che questi annunci fossero accompagnati da azioni che permettessero una effettiva realizzazione di progetti così ambiziosi come, ad esempio, una copertura totale dell’adsl sul territorio nazionale, possibilmente a prezzi accessibili a tutti, o magari gratuita (come gratuita, per le famiglie, è la pagella), meglio se wi-fi.

Per quanto riguarda la comunicazione via s.m.s. delle assenze mi sembra francamente un po’ macchinoso: nella scuola dove insegno le assenze vengono comunicate ai genitori con il buon vecchio telefono e mi sembra che il sistema funzioni.

Per tutto il resto ci sono i rapporti personali tra genitori e insegnanti che, come suggerisce la pubblicità,…non hanno prezzo.

Amatevi

Amatevi l’un l’altro,
ma non fatene una prigione d’amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l’un l’altro le coppe,
ma non bevete da un’unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco,
ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e state allegri,
ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
Donatevi il cuore,
ma l’uno non sia di rifugio all’altro,
Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro.

Kahlil Gibran

l'onda

Emozioni.

Qualche volta una fotografia mi riporta intatta un’emozione che credevo perduta: guardo e mi perdo, penso e ricordo e ritrovo i sentimenti nascosti nelle pieghe dell’anima.

Ho ritrovato questa immagine, persa in una cartella dimenticata, un file come tanti  accumulati negli anni, e mentre la osservavo intenerita ho ricordato le tante volte che mi sono trovata lassù, con l’impressione di avere il mondo ai miei piedi e solamente il cielo sopra di me.

Oggi so che difficilmente potrò tornare su quella cresta, il sentiero è troppo impervio, non ce lo possiamo più permettere, per noi ci sono solo strade larghe, magari faticose, ma dove il passo incerto di mio marito può procedere in totale sicurezza.

Non c’è rimpianto, si tratta solo di una nuova fase della vita, del tempo che scorre, ma c’è la dolcezza del ricordo e la gioia della consapevolezza che, comunque, ciò che è stato è stato e nulla e nessumo può portarmelo via.

grignetta

Blog dePovizzato.

Dichiaro solennemente che in questo blog non troverete nulla su Povia, sulla sua partecipazione a Sanremo 2009, sulla canzone “Luca era gay” di cui tanto si parla.

Non conosco la canzone, non ho letto il testo, forse potrei ricavarne materiale per centinaia di post, ma ho deciso di astenermi dal farlo.

E’ tutto.