Archivio mensile:Dicembre 2008

Uno sguardo sul bosco.

“Se d’inverno vedi gli uccelli grassi, aspettati un freddo da spaccare i sassi” ho sentito dire da queste parti e credo che ci sia del vero in questo proverbio.

In questi giorni freddissimi me ne sto quieta ad osservare  il bosco, con gli alberi dai rami carichi di neve che il pallido sole non può sciogliere, metto le briciole di pane sul balcone e aspetto i piccoli ospiti che non tardano ad arrivare.

I merli sono i più spavaldi, zampettano intorno ai pezzetti di pane con movimenti rapidi, tenendo d’occhio anche il mio più impercettibile movimento, ma non volano via a meno che non si sentano minacciati.

Poi, quando rientro in casa, quando sembra che non ci sia più alcuna presenza umana, arriva un piccolo pettirosso, coloratissimo, con il corpo gonfio di piume soffici, si avvicina sospettoso al cibo, becchetta rapido continuando a guardarsi intorno: è minuscolo, ma perfetto.

Allora me ne sto lì, nascosta dietro la tenda, lo osservo a lungo, incantata dalla sua bellezza, osservo i suoi movimenti che sembrano passi di una danza silenziosa, ammiro la sua livrea sgargiante: è incredibile che ci sia tanta armonia in una creatura tanto minuscola.

Quante lezioni mi insegna il bosco.

Pettirosso

Fiaba di Natale.

C’era una volta un paese lontano dove regnava un tiranno feroce, capace di macchiarsi dei più tremendi delitti per salvaguardare il suo potere.

Poco lontano dal palazzo reale viveva, in una dignitosa povertà, una famigliola tranquilla: una coppia di giovani sposi allietata dalla nascita di un bambino.

La loro serenità, però, era turbata da oscuri timori, il padre faceva sogni terribili, che non raccontava alla moglie per non turbarla, ma anche lei, pur senza rivelare mai ad alta voce le sue paure, temeva per la loro incolumità, ma soprattutto per quella del neonato, così fragile e prezioso.

Così, un giorno, decisero di andarsene via dal loro paese diventato ormai ostile e si misero in viaggio, con i loro poveri mezzi, di nascosto, viaggiarono a lungo finché raggiunsero il paese vicino, un paese che nutriva per la loro patria un antico rancore, varcarono la frontiera clandestinamente e cercarono un luogo dove rifarsi una vita.

In fondo lui aveva un mestiere e tanta voglia di lavorare, nel nuovo paese poteva trovare qualcosa da fare per mantenere la famiglia, anche se intorno a loro c’era diffidenza, perchè parlavano una lingua diversa, mangiavano un cibo diverso, pregavano un Dio diverso, qualche volta c’era intolleranza, allora nasceva un’acuta nostalgia della loro terra, così vicina, ma inaccessibile.

Non si curavano dell’ostilità dei loro ospiti, sapevano di essere “diversi” di essere stranieri, ma sapevano anche che vivere lì rappresentava la salvezza e quindi non reagivano alle umiliazioni e persino alle offese di chi non si fidava di loro e non voleva vederseli intorno o abitare vicino a loro.

Poi, un bel giorno, il tiranno morì e la famigliola ritrovò la via del ritorno, ma sempre conservò nel cuore un sentimento di riconoscenza per il paese che, con qualche riluttanza, li aveva accolti e aveva permesso loro di sopravvivere.

Ricordiamolo sempre, quando qualcuno bussa alla nostra porta e cerca  asilo perchè fugge dalla guerra e dalla fame: anche Gesù bambino è stato un profugo e ha trovato rifugio in Egitto.

Controllo.

Internet, lo sanno anche i sassi, è no spazio aperto, uno spazio dove si trova di tutto, dove c’è libertà di espressione, dove chiunque ha qualcosa da dire, da proporre, da comunicare ha la possibilità di farlo senza tante pastoie burocratiche e senza troppe censure e questo può essere un problema.

Da molte parti si prospettano sistemi di controllo, che impongano regole e limitazioni: è di questi giorni l’affermazione del ministro inglese della cultura che definisce la rete “un mondo pericoloso” e propone divieti per i minorenni.

Sono consapevole che i ragazzini, lasciati da soli davanti al computer (come alla televisione, del resto) possono imbattersi in contenuti non adatti a loro, ma non credo che il divieto sia una soluzione praticabile.

Vietare qualcosa ai ragazzi è semplice, ma non sempre rappresenta una soluzione, spesso i più giovani sono più abili degli adulti ad aggirare i divieti e la censura rischia di risolversi in un “pannicello caldo” che mette a posto la coscienza, o peggio, permette di esercitare un controllo su tutta la rete, anche sui siti che fanno informazione in modo libero.

A mio parere la strada per avviare i ragazzi ad un uso consapevole di internet passa dall’educazione: certo si tratta di una strada più lunga che richiede, da parte degli adulti, attenzione e una conoscenza approfondita della rete, ma sicuramente può essere più fruttuosa della semplice proibizione che rischierebbe di creare curiosità anche laddove non ce ne sono.

I ragazzi crescono se sono educati a comprendere il mondo che li circonda, crescono se conoscono la realtà e se sanno muoversi in essa in modo consapevole, il divieto può spingerli a cercare da soli e in modo clandestino ciò che sono impreparati ad affrontare.

Come ogni anno….

“Natale con i tuoi…”, dice il proverbio, e nella mia famiglia si rispetta la tradizione anche se non trascorriamo il periodo delle feste a casa, ma ci trasferiamo tutti in montagna.

Nai primi giorni, almeno fino a Santo Stefano, il paese è abbastanza vuoto, gli abitanti effettivi sono poche centinaia: non si fanno code nei negozi, i parcheggi sono vuoti, c’è tranquillità e silenzio.

Poi, all’improvviso, come ad un segnale convenuto, il paese comincia a popolarsi, arrivano in gran numero tutti coloro che hanno rispettato la tradizione a casa loro ed ora si accingono a trascorrere tra le montagne il Capodanno, di solito, come quest’anno, l’arrivo dei villeggianti coincide con un deciso crollo delle temperature, i bar si riempiono di folle in cerca di bevande calde per combattere il gelo invernale, tutti sono contenti: i negozianti perchè finalmente vedono la clientela riempire i negozi e i “vacanzieri” che possono concedersi il meritato riposo.

Capisco questa contentezza, ma, francamente, preferisco il paese vuoto, quando cammino per le strade silenziose e i miei passi, attutiti dalla neve, hanno un suono leggero leggero.

Mi piace il silenzio delle montagne, il silenzio della neve che si posa delicatamente sui rami degli abeti davanti alla mia finestra, mi piace osservare il pettirosso che, sospettoso, becchetta le briciole posate sul balcone, mi piace la pace di boschi, ma non si può avere tutto dalla vita…..

Riposo.

L’arrivo del freddo polare, minacciato dalle previsioni meteo dei giorni scorsi, ha portato nubi, vento e neve, ieri mattina sul balcone ce n’erano almeno venti centimetri, che il sole non riusciva a sciogliere.

Non ho voglia di uscire, in casa c’è un bel tepore, c’è il caffè caldo, la musica e un buon libro e così decido di starmene rannicchiata come un gatto sul divano e mi lascio andare al piacere della lettura.

Così in pochissimo tempo ho letteralmente divorato “L’imperatore di Portugallia” di Selma Lagerlof, il libro scelto dal mio gruppo di lettura.

E’ stata veramente una lettura piacevole, una storia fantastica, nella quale la realtà ha il sapore della leggenda e si mescola con il soprannaturale.

Era da tanto che non avevo la possibilità di dedicarmi ad uno dei miei passatempo preferiti, era da tanto che non riuscivo a leggere un romanzo in poche ore, di solito ho troppo da fare e troppe cose a cui pensare, ma questa vacanza si sta rivelando veramente riposante.

Luce.

“A Natal el pass de un gall” (a Natale il passo di un gallo) sussurrava mia nonna guardando fuori dalla finestra: la mia nonna paterna, pur nella confusione dei pensieri minati da una malattia, allora, senza nome, che cancellava i ricordi recenti e ravvivava quelli più remoti, era una vera e propria miniera di detti e proverbi, rigorosamente dialettali, perchè la mia nonna, con la sua “erre” arrotata così simile alla mia, si esprimeva solo in dialetto.

Il “passo di un gallo” era l’impercettibile allungamento delle giornate, impercettibile perchè Natale è così vicino al solstizio d’inverno che non è praticamente possibile, se non con un orologio alla mano, valutare l’aumento della luce, ma in sè quel proverbio aveva il sapore della speranza.

Nelle sere d’agosto, quando c’è ancora luce, ma ci si accorge che la notte è sempre più incombente, il tramonto ha già un presagio di oscurità, di freddo, di giorni autunnali sempre più brevi, ma in dicembre, dopo Natale, anche se non si riesce ancora a percepirlo, le giornate cominciano ad allungarsi di qualche minuto e tanto  basta a dare l’impressione che la vita stia ricominciando, che presto la primavera sarà qui, che i prati torneranno verdi, che le gemme spunteranno sui rami, che torneranno i fiori e il tepore.

Siamo figli della luce e del sole, l’oscurità non ci appartiene, conviviamo con essa, ma cerchiamo di sfuggirle: per questo scrutiamo l’orizzonte, per questo ci aiutiamo con la saggezza popolare.

luci al tramonto

Natale è qui.

Natale è la buona notizia che non t’aspetti e che ti cambia la vita,

è il fiore che sboccia inatteso nel più gelido inverno,

è la voce che non credevi più di ascoltare,

è il silenzio carico d’attesa,

è uno spiraglio aperto sulla speranza….

Buon Natale a tutti


elleboro

La soluzione più semplice.

Una delle cose più divertenti (o più irritanti, dipende) della creatività italiana è l’incredibile abilità nel trovare stratagemmi per aggirare le regole.

Ricordo che, quando divennero obbligatorie le cinture di sicurezza (abbastanza in ritardo rispetto ad altri paesi europei), comparvero delle simpatiche magliette decorate con una banda trasversale nera che, almeno da lontano, poteva dare l’impressione di una cintura allacciata.

Che dire poi dei cd, che ogni tanto si vedono sul retro delle auto o appesi agli specchietti retrovisori, che, secondo una leggenda metropolitana, ingannerebbero gli autovelox?

Che dire dei caschi calzati in capo, ma non allacciati?

L’inasprimento delle pene, la patente a punti, lungi dal convincere della necessità di una guida più sicura, sembrano scatenare la più sfrenata fantasia volta ad escogitare contromisure che hanno un po’ il gusto della bufala.

Eppure c’è un sistema sicuro per sfuggire alle multe e mantenere intato il monte-punti della patente, si tratta di un sistema abbastanza semplice, di facile accesso e di costo ridottissimo, un sistema tanto elementare che sembra incredibile che nessuno ci abbia mai pensato: rispettare le regole.

La neve come una volta.

C’era tanta neve ieri ai Piani di Artavaggio, tanta neve proprio come una volta, quando ero bambina e salivo lassù, con i miei pesantissimi sci di legno e sciavo tutto il giorno fino a quando tornavo a valle esausta, con la faccia arrossata dal sole.

Ieri, mentre camminavo sulla neve, mi tornavano alla mente quelle giornate spensierate, giornate fatte di levatacce, di panini mangiati seduti su un sasso, di salite a piedi, con gli sci in spalla, perchè gli impianti di risalita erano decisamente primitivi, di discese fortunose nella neve fresca: non c’erano comodità e lussi, ma per me era già un lusso passare una giornata in montagna, dopo esserci inerpicati su strade tortuose con un’ansante seicento.

La cosa veramente importante era condividere una giornata all’aperto con i miei genitori, con mio padre, che non vedevo mai, perchè lavorava sempre fino a tardi e alla domenica, invece di riposare, caricava tutta la famiglia in auto, all’alba, e via verso una giornata nel sole.

Erano gioie semplici, le nostre, gioie fatte di poco, quasi a costo zero, ma hanno riempito la mia infanzia.

Piani di Artavaggio

Inverno.

Dopo il mese di novembre, freddisimo e terrificante, fa un  po’ sorridere dire che inizia l’inverno, eppure, astronomicamente parlando, è così.

Oggi mi sono svegliata e ho visto la Grigna bianchisima, accarezzata dai raggi del primo sole, incorniciata dallo stipite della finestra: ci ho messo un attimo per rendermi conto di stare tra le mie montagne.

La giornata è stupenda, c’è un’aria tiepida che scivola giù dalle montagne e fa quasi caldo, in paese una signora si ferma a fare quattro chiacchiere con me, anche all’ombra si sta bene eppure c’è tanta neve come in paese non si vedeva, nel mese di dicembre, da tanti e tanti anni.

I primi giorni di vacanza sono dedicati a rimettere in funzione la casa, a riempire il frigorifero, a organizzarsi un po’ la vita: vedere gli orari dei negozi, della funivia, del medico (non si sa mai), poi comincerò ad andarmene a spasso.

Come previsto: la scuola comincia ad essere uno sbiadito ricordo.

sopravvivenza