Oggi, viaggiando sulla metropolitana alla volta del San Raffaele (per l’ennesima risonanza magnetica di mio marito), mentre il treno attraversava sferragliando la ininterrotta periferia ho alzato, per un attimo, gli occhi dal libro e lo sguardo si è posato su una cascina, isolata in un fazzoletto di verde, tra edilizia residenziale suburbana e capannoni industriali.
Era una bellissima cascina, composta da diversi edifici, con la cappelletta e il minuscolo campanile, una cascina tipo “albero degli zoccoli” dove, un tempo, probabilmente vivevano e lavoravano diverse famiglie.
E allora mi sono persa (mi capita spesso di perdermi) a fantasticare su come doveva essere questo angolo di Lombardia solo pochi decnni fa, con i campi di grano appena arati, con quelli di mais accesi dei colori autunnali delle stoppie abbandonate dopo il raccolto, con i gelsi imponenti, con i silenzi della campagna profonda.
Intendiamoci: non sto vagheggiando una vita contadina arcadica di maniera, ma mi chiedo, osservando le colate di asfalto e cemento che hanno invaso ormai tutto il paesaggio a perdita d’occhio, se non fosse possibile un diverso equilibrio tra passato e presente.