Archivio mensile:Settembre 2008

Mondo contadino.

Oggi, viaggiando sulla metropolitana alla volta del San Raffaele (per l’ennesima risonanza magnetica di mio marito), mentre il treno attraversava sferragliando la ininterrotta periferia ho alzato, per un attimo, gli occhi dal libro e lo sguardo si è posato su una cascina, isolata in un fazzoletto di verde, tra edilizia residenziale suburbana e capannoni industriali.

Era una bellissima cascina, composta da diversi edifici, con la cappelletta e il minuscolo campanile, una cascina tipo “albero degli zoccoli” dove, un tempo, probabilmente vivevano e lavoravano diverse famiglie.

E allora mi sono persa (mi capita spesso di perdermi) a fantasticare su come doveva essere questo angolo di Lombardia solo pochi decnni fa, con i campi di grano appena arati, con quelli di mais accesi dei colori autunnali delle stoppie abbandonate dopo il raccolto, con i gelsi imponenti, con i silenzi della campagna profonda.

Intendiamoci: non sto vagheggiando una vita contadina arcadica di maniera, ma mi chiedo, osservando le colate di asfalto e cemento che hanno invaso ormai tutto il paesaggio a perdita d’occhio, se non fosse possibile un diverso equilibrio tra passato e presente.

cascina

Seduto in quel caffè….

…io non pensavo a te”, oggi, il 29 settembre, mi tornano in mente le parole della fortunata canzone di Battisti (e Mogol) e mi ritorna in mente (giusto per restare in tema) anche una ragazzina, appena adolescente, che corre alla mattina presto (sempre in ritardo io) verso il Liceo Zucchi di Monza, con i calzettoni, i libri tenuti stretti da una cinghia, l’aria distratta.

Mi piaceva quella canzone, mi piaceva canticchiarla, mi piaceva ascoltarla alla radio, quando riuscivo a strappare a mia madre il permeso di sintonizzarla su “Bandiera Gialla“.

La ricordo cantata dall’Equipe 84 il gruppo musicale che seguivo con passione spendendo i miei pochi spiccioli in riviste (come “Ciao amici”) e tappezzando la mia stanza di poster coloratissimi o in 45 giri che ascoltavo sul grammofono di mio padre, prima di diventare proprietaria di un avveniristico mangiadischi color fucsia.

Era l’età delle prove generali di adolescenza, quando prendere il pullman per andare a scuola mi faceva sentire grande, era l’età dei primissimi amori (quelli per tutta la vita), delle prime ribellioni nate più dal desiderio di affermare la mia personalità che da un reale disagio, l’età del grembiule nero (obbligatorio nel mio liceo) lasciato appeso per mesi sull’attaccapanni del corridoio.

Quelli della mia generazione erano adolescenti decisamente più imbranati, ci avrebbe pensato il ’68 , con le sue luci e le sue ombre, a svegliarci.

Strehler è sempre Strehler.

Ho trovato in edicola il dvd del “Re Lear” di Shakespeare messo in scena dal “Piccolo” molti anni fa, nel 1972, con la regia di Giorgio Strehler e l’interpretazione di un gigante del palcoscenico come Tino Carraro.

Non ho saputo (e voluto) resistere alla tentazione di acquistarlo e mi sono goduta lo spettacolo che avevo avuto la fortuna di vedere dal vivo in quegli anni quando, quasi ventenne, frequentavo con il fidanzatino di allora (oggi mio marito), con il quale condividevo e condivido la passione per il palcoscenico, i teatri milanesi.

Mi sembra di ricordare, ma forse è solo nostalgia dettata dalla lontananza nel tempo, che fosse un periodo di grandi eventi culturali ai quali riuscivamo a partecipare senza grandi difficoltà finanziarie (benchè fossi ancora una liceale e avessi sempre pochi soldi in tasca), mi sembra di ricordare spettacoli messi in scena da grandi registi e con attori che avevano alle spalle una solidissima professionalità.

Anche oggi, all’inizio della stagione teatrale, do un’occhiata al cartellone dei vari teatri, ma difficilmente resto attratta da qualche produzione, sarà forse pigrizia, sarà mancanza di tempo, sarà che la mancanza di soldi è sempre cronica, ma non riesco più a frequentare il teatro come una volta.

re lear

Oceano facebook.

Dopo lunghe resistenze ho finito per iscrivermi a Facebook forse con la segreta speranza di rintracciare qualche vecchio compagno di università o di liceo, invece, a parte il mondo dei blogger (con i quali, comunque, comunico in altri modi) ho trovato solo amici del figlio e ex allievi grandi e piccoli.

Ho l’impressione di appartenere alla generazione sbagliata: mi sento anacronistica come l’orologio al polso dei soldati romani nel film “Scipione l’Africano”.

Un discorso difficile.

I tagli sulla scuola, le razionalizzazioni, gli interventi fatti più con la scure che con il bisturi vanno a incidere, fatalmente, sulle situazioni di maggior disagio che, richiedono, al contrario, grandi investimenti di tempo, di passione e di risorse.

E’ dificile parlare della situazione di tanti ragazzi svantaggiati per i quali non è previsto un insegnante di sostegno e che possono essere seguiti in modo efficace solo se inseriti in classi poco numerose nelle quali l’orario di servizio degli insegnanti possa permettere attività in compresenza e interventi veramente individualizzati.

I ragazzini “bravi” che hanno la fortuna di avere una famiglia di buon livello culturale, attenta all’educazione dei figli e alla loro crescita potrebbero stare anche in una classe di trenta allievi, i ragazzini con una situazione di disabilità conclamata hanno le giuste protezioni dalla legge, ma gli altri, quelli che provengono da famiglie culturalmente e socialmente deprivate, quelli che, al di fuori dei testi scolastici, non hanno mai letto un libro, quelli che provengono da un’altra nazione e a casa parlano solo la lingua del paese d’origine per i quali la scuola è l’unico mezzo per mettersi in comunicazione con il mondo, quelli che devono ritrovare la motivazione allo studio: i ragazzini “difficili”, insomma, sono le vere vittime dei tagli, perchè è difficile studiare ed attuare percorsi didattici individualizzati se devi seguire individualmente trenta individui.

E’ un discorso difficile, lo so, è un discorso scomodo, ma la scuola non può permettersi il lusso di promuovere solo le eccellenze.

Ai miei tempi….

Mi par di capire, leggendo sondaggi e sentendo discussioni televisive, che da parte “dell’opinione pubblica” ci sarebbe un deciso gradimento nei confronti della proposta di tornare al maestro unico, inoltre, sempre in tema di razionalizzazione (leggi tagli sulla spesa) si propone di innalzare il numero degli allievi per classe.

Un bel ritorno all’antico, non c’è che dire, anche la mia maestra, “unica” in molti sensi, cinquant’anni fa gestiva con pugno di ferro e guanto di velluto una trentina di bambine, ma sicuramente eravamo una classe molto diversa da quelle attuali.

Eravamo silenziose e tranquille, non ricordo che ci fossero bambine straniere, non ricordo che qualcuno avesse problemi di dislessia, discalculia o disgrafia, la maestra spiegava, noi imparavamo e se, per caso, qualcuno di noi non ce la faceva non c’era bisogno di attuare complicate procedure di recupero, bastava la bocciatura a  risolvere ogni problema.

Indossavamo il grembiulino con il fiocco azzurro, avevamo cartelle di cuoio anonime, ma pesantissime, scrivevamo con penna pennino e calamaio, non facevamo mai ginnastica, ma una volta al mese cantavamo in coro con ardore, non studiavamo inglese e, logicamente, il computer era di là da venire.

In compenso la mia mamma pendeva letteralmente dalle labbra della “Signora Maestra” e a nessuno, nemmeno nelle fantasie più sfrenate, sarebbe mai venuto in mente non solo di criticarla, ma neppure di mettere in discussione un suo giudizio o una sua correzione.

Ai miei tempi insegnare doveva essere decisamente più facile.

Safari.

L’estate appena finita è stata all’insegna delle invasioni di esseri più o meno gradevoli che si sono avvicendati nelle mie abitazioni (quella abituale e quella di montagna) creandomi qualche patema e impegnandomi in estenuanti battute di caccia.

Tutto è cominciato in giugno quando, poco prima che si scatenasse una serie di furiosi temporali, il mio balcone era invaso di lunghe teorie di formiche le quali, forse attirate dalle briciole cadute dal balcone superiore, avevano imparato la strada per entrare nella mia cucina dove avevano deciso, evidentemente, di trascorrere le vacanze.

Intendiamoci ho un grande rispetto per le formiche e ammiro la loro predisposizione alla vita associata,  ma altro è ammirarle altro è permettere loro di soggiornare nella mia dispensa per cui ho messo in atto tutti i mezzi, ecologici e non, per dissuaderle.

In montagna è stata poi la volta dell’invasione degli scorpioni, per i quali francamente nutro meno rispetto, che, per fortuna, dopo due settimane di scorribande sui miei pavimenti sono spariti come erano arrivati, senza lasciare traccia.

Al ritorno in città ho dovuto subire una vera e propria coabitazione con nugoli di zanzare contro le quali ho messo in atto tutti i sistemi che conosco, dagli zampironi ai più tecnologici fornelletti, dopo aver irrorato tutti i membri della famiglia con lozioni repellenti (anche per gli esseri umani).

Da qualche giono trovo qua e là dei simpatici bruchi dei quali non riesco a individuare la provenienza per cui mi aggiro un po’ spiritata sul balcone in attesa di individuarli e eliminarli brutalmente con un colpo di scopa.

Sono un po’ preoccupata perchè sta per iniziare la stagione delle cimici….

coccinella

Come navi nella notte.

All’inizio dell’anno scolastico e almeno per tre settimane è in vigore l’orario provvisorio delle lezioni, anche perchè, nonostante promesse, assicurazioni e proclami, si parte sempre con l’organico ridotto e l’orario deve adeguarsi alle caselline che vanno via via riempiendosi soprattutto per cercare di evitare che alcune classi vadano in overdose di alcune materie a scapito di altre.

Finchè l’orario è provvisorio io mi rifiuto di memorizzarlo anche perchè non vorrei rischiare di sbagliare in seguito quando l’orario definitivo sarà diversissimo da questo.

Una cosa però ho notato: in queste due settimane di scuola non ho mai incontrato la mia collega di matematica, il che dovrebbe essere praticamente impossibile considerando l’altissimo numero di ore che passiamo nella stessa classe.

Ci sfioriamo, come navi nella notte, ma non ci incontriamo mai, leggiamo reciprocamente le firme sul registro di classe, ma non abbiamo mai occasione di scambiare due parole nel darci il cambio e questo mi dispiace perchè, al di là degli spazi istituzionalizzati, quelle quattro fuggevoli chiacchiere in corridoio, mentre i ragazzi ne approfittano per cambiare i libri e tirare il fiato, ci permettono di aggiornarci in tempo reale sulla situazione della classe, sui problemi didattici, sulle emergenze.

Aspetto con fiducia l’orario definitivo…

Routine.

Me ne sto in cucina, la lavastoviglie ha appena annunciato garrula la fine delle operazioni e ho avviato la lavatrice, sul fuoco cuoce la verdura per la cena e intanto mi annoto sull’agenda le incombenze della settimana (perchè ormai se non mi scrivo tutto finisce che dimentico la metà di quello che devo fare).

Mi prendo sempre un po’ di tempo al lunedì per organizzare la settimana, me lo sono imposta visto e considerato che, per indole e costituzione, sono una disorganizzata cronica e, se lasciata fare, tenderei a lasciare tutto all’improvvisazione e all’ispirazione del momento.

Qualche volta incastrare l’orario di lavoro con qualche commissione nei vari uffici, le visite mediche, la spesa diventa un’impresa, allora io scrivo sull’agenda e poi, quando sono riuscita a fare ciò che dovevo fare, spunto la voce in questione con una punta di sollievo.

Se non capitano imprevisti (e non è sempre auspicabile che capitino) la settimana si riduce ad una snervante routine che si trascina fino al sabato quando, di colpo, mi ritrovo a correre per recuperare il “non fatto”.

Allora si fa strada dentro di ne una sottile inquietudine: la voglia di essere altrove…..

Il figlio dello sceicco.

Non ho intenzione di scrivere del film del ’26 interpretato da Rodolfo Valentino, ma di un misterioso individuo che sta infestando le mie giornate (e non solo quelle…e non solo le mie).

Da qualche giorno si aggira, intorno all’isolato in cui vivo, un giovane che inforca un rumorosissimo motorino, passa il tempo ad inanellare giri, con una tenacia degna di miglior causa, per ore e ore, manco avesse deciso di stabilire un record di percorrenza.

Ad intervalli regolari si sente il rombo all’angolo, poi il rumore cresce in modo esponenziale, per spegnersi oltre la curva accompagnato dalle pie benedizioni degli abitanti del quartiere.

Non è dato conoscere l’identità del centauro solitario il quale, ubbidendo alle norme vigenti, calza un impenetrabile casco, tuttavia, visti i costi del carburante, si vocifera che si tratti del figlio di uno sceicco (di qualche paese produttore di petrolio) o di un fortunato individuo che, scavando nell’orto, abbia trovato un giacimento di oro nero.

Non si spigherebbe altrimenti l’incredibile quantità di carburante (con il relativo esorbitante costo) consumata in questo “innocente” passatempo.

Mi affaccio al balcone e vengo investita da una zaffata di combustibile bruciato…il rombo della moto del figlio dello sceicco si sta spegnendo all’orizzonte.