Archivio mensile:Agosto 2008

Quasi un trasloco.

E così siamo partiti, destinazione casa (dolce casa), le mie montagne per aiutarmi a combattere la malinconia questa mattina si sono presentate, alle prime luci dell’alba, ammantate di nuvoloni neri.

Ho guardato fuori dalla finestra e ho deciso che, tutto sommato, partire non era proprio così deprimente: ho ammassato le nove (diconsi nove) tra borse, borsoni e valigie (oltre alla sedia a rotelle di mia madre) e ho cominciato a chiudere casa.

Gli spostamenti, nella mia famiglia, hanno sempre un sapore epico bisogna trascinarsi dietro quantità di indumenti per tutte le temperature (si sa in montagna può succedere di tutto) e per tutte le occasioni (se dovessero conferirmi un’alta onorificenza mentre sono in vacanza farei ugualmente la mia porca figura) la radio di mia madre, il mio portatile, medicine per tutte le evenienze, scarpe per tutti i terreni.

Così i nostri trasferimenti ricordano piuttosto un trasloco e richiedono comunque due auto.

Ora siamo a casa (dolce casa), fa caldo da scoppiare, guardo fuori e il panorama è inesorabilmente piatto, in anticamere allignano nove (diconsi nove) tra borse, borsoni e valigie che devono essere sistemate, mi viene un po’ il magone…

…e domani, ore nove, Collegio Docenti….

Tavolo di lavoro (rifugio Sassi Castelli)

Corsi e ricorsi.

E così torneranno le pagelle e torneranno i voti, in realtà non so ancora se la faccenda mi sconcerta o mi lascia indifferente, penso solo al tempo passato a cercare sistemi di valutazione alternativi che fossero informativi e formativi per i ragazzi, ripenso ai giudizi analitici elaborati ed esaustivi che richiedevano ore e ore di lavoro, ripenso alla compilazione delle schede di valutazione che, in tempi meno informatici, richiedeva un impegno da amanuensi e una pazienza da certosini.

Ora tutta questa mole di lavoro, tutti i sistemi di valutazione (che non erano semplicemente una traduzione in parole dei voti numerici, ma un tentativo di delineare in modo più preciso un percorso formativo) se ne vanno in soffitta: tornano, almeno così pare, le pagelle con i voti numerici, come quelle che riposano fra i miei documenti, scritte a mano con inchiostro azzurrino dalla mia maestra.

Va bene così: in tanti anni di servizio ho fatto il callo alle riforme e alle controriforme, alle innovazioni si sapore un po’ “gattopadesco” (cambiare tutto perchè non cambi niente), alle clamorose marce indietro.

Come è succeso ogni volta ci metterò un attimo ad adeguarmi, in tanti anni di lavoro ho imparato ad essere flessibile, ben sapendo che le cose fondamentali non cambiano: non cambiano il mio ruolo e la mia responsabilità educativa, non cambia il mio rapporto con gli studenti.

Non basta camminare.

Le vacanze in montagna, nonostante l’aria buona e le lunghe camminate, presentano inevitabilmente un risvolto inquietante: l’ago della bilancia non si sposta di un millimetro.

Francamente non riesco a capire come passeggiate in salita nei boschi, su impervi sentieri, non riescano a farmi perdere neppure un grammo.

L’unica spiegazione che, razionalmente, riesco a trovare, dopo lunghe elucbrazioni, risiede nel fatto che al termine di ogni percorso c’è un rifugio e nel rifugio allignano veri e propi attentati alla mia linea sotto forma di polenta (più o meno pasticciata), brasato, salamelle, formaggi e torte al cioccolato o (se proprio si vuole essere virtuosi) fette di strudel di dimensioni incredibili.

Che sia veramente questo il motivo?

Sarà meglio che mi convinca  che, purtroppo, camminare per ore non basta, ma, d’altra parte, un pranzo in rifugio è il degno coronamento di ogni fatica.

Pazienza: mi metterò a dieta quando tornerò al lavoro.

valbiandino

Ombre del passato.

In questi giorni ho avuto l’occasione di riallacciare rapporti, per ora solo telefonici, con amici che non sentivo da trenta e passa anni: è stato come affacciarsi, all’improvviso, sul passato, sugli anni della giovinezza, sul tempo delle speranze intatte e delle idee grandi.

Si tratta di amici che vivevano dietro un muro eretto dalla stupidità umana, ma quella barriera di cemento non ci aveva impedito di conoscerci e di frequentarci, pur tra mille difficoltà, poi il muro è caduto, ma le vicissitudini della vita di ciascuno di noi ci ha allontanati erigendo un nuovo muro, quello della vita quotidiana con gli impegni, le difficoltà, le responsabilità.

Gli anni sono passati veloci, lasciandoci sempre l’illusione di poter stringere di nuovo quei rapporti che invece andavano diluendosi sempre di più nel tempo e nello spazio.

Oggi che, fortunosamente, ci siamo ritrovati c’è il rimpianto del tempo passato, delle occasioni perdute, di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, ma c’è anche la muta reciproca promessa di riallacciare un’amicizia che ha saputo comunque resistere alla prova del tempo.

Ovvio.

A pochi giorni dalla riapertura delle scuole si riaccendono polemiche e discorsi che hanno un preoccupante sentore di déjà-vu.

Sui quotidiani appaiono articoli sul rincaro dei prezzi dei libri di testo e dei materiali (quaderni, astucci, matite e così via): probabilmente gli aumenti sono reali, ma, passato il mese di settembre, l’allarme rientra salvo poi riparlarne l’anno successivo, senza peraltro studiare soluzioni come, ad esempio, promuovere concretamente l’editoria elettronica.

Già dallo scorso anno nella scuola dove insegno abbiamo deciso di non utilizzare l’antologia (…e di crearcene una su misura), da quest’anno probabilmente rinunceremo alla grammatica e al libro di storia, ma queste, come altre iniziative analoghe, prendono corpo solo grazie all’impegno di alcuni di quei bistrattati insegnanti che, a detta di chi parla di scuola senza conoscerla dall’interno, sono delusi e demotivati (nonchè un po’ depressi), ma sono piccole soluzioni che tentano di venire incontro alle necessità delle famiglie, senza tante parole, ma con grande concretezza

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So per esperienza diretta che nella scuola operano tante persone entusiaste, innamorate del proprio lavoro, desiderose di trovare sempre nuove strategie e nuovi percosi, ma l’impegno, si sa, non fa notizia.

A quanti non si sono ancora arresi, a quanti riescono ancora a fare le nozze con i fichi secchi, a quanti tirano avanti senza curarsi dei discorsi inconcludenti di chi dovrebbe migliorare le nostre condizioni di lavoro, a tutti i miei colleghi: buon anno scolastico.

Ancora pochi giorni.

Comincia l’ultima settimana di vacanza, sì lo so che non dovrei lamentarmi: in fondo è dal 29 giugno che sto tra le mie montagne, ma alle vacanze, purtroppo, si fa l’abitudine ed è difficile pensare di tornare alla routine di lavoro, faccende domestiche, riunioni serali, visite mediche e via dicendo.

Intanto approfitto di questo post per salutare quanti, magari proprio in queste ore, stanno tornando a casa, accendono il computer e capitano da queste parti.

Tornare a casa significherà anche per me riprendere una serie di rapporti che quassù, a causa della connessione lenta e del clima vacanziero, ho forzatamente trascurato: tornerò a leggere i blog che seguo abitualmente e che mi piace considerare amici, tornerò a dire la mia (per quel che vale) su quello che mi succede intorno, che mi fa inquietare o che mi fa riflettere, tornerò alla consuetudine quotidiana con questo spazio che sono riuscita a ritagliarmi, come una nicchia, in cui sto bene.

Per ora, tuttavia, ancora per una settimana, fino a pochissime ore dal primo collegio docenti del primo settembre me ne starò tra questi monti e questi boschi dai quali fatico sempre di più a separarmi.

Non si può vivere di sola vacanza (purtroppo)!

piani d'alben

Santa Margherita.

Tra le leggende della Valsassina ci sono quelle riconducibili al ciclo dei santi della montagna: eremiti, che la tradizione vuole fratelli, ai quali la pietà popolare ha elevato chiesette e cappelle in luoghi inaccessibili, che sono diventate il centro di sagre e feste che si ripetono annualmente, perpetuando un’antica devozione.

I santi fratelli della leggenda sono Fedele, Sfirio (sul Legnoncino), Calimero (eremita sui monti di Pasturo), Ulderico, Grato, e Defendente i quali, sempre secondo la tradizione, dialogavano fra loro per mezzo di fuochi accesi sui monti.

La leggenda vuole anche che avessero una sorella, Margherita, alla quale è dedicata una graziosa chiesetta a Somadino, presso Casargo,: si tratta di un edificio millenario, dalle forme semplici, ma eleganti che sorge, presso una curva della strada che sale da Margno, addossata ad un cascinale.

Vale la pena, passando per questi luoghi, di soffermarsi un attimo ad ammirare questo gioiellino romanico sconosciuto, ma veramente degno di nota.

Santa Margherita a Somadino (Casargo)

Per antiche strade.

Ogni tanto, nelle nostre giornate di vagabondaggi per la valle, quando il tempo non è abbastanza stabile da permetterci di salire in quota, ci ritroviamo a percorrere antichi sentieri, i percorsi che nel passato, quando l’automobile era ancora di là da venire,collegavano i villaggi e gli alpeggi, sentieri tracciati per essere percorsi rigorosamente a piedi, sentieri faticosi che attraversano le valli scendendo in modo rapido un versante per risalire, in modo altrettanto rapido, il versante opposto.

Sono le strade sulle quali non ci si spostava per diletto, ma solo per necessità, attraverso boschi fitti, pascoli verdissimi, torrenti impetuosi.

Quando, come oggi, ci troviamo a percorrere uno di questi antichi tracciati, dove non si incontra nessuno e il silenzio fa quasi paura, succede che i pensieri si perdano sulle orme degli antichi viandanti: il sentiero scende nella valle, che oggi si supera con un ponte ardito alto un centinaio di metri, attraversando con stretti tornanti un bosco di faggi, poi si raggiunge il fondo, dove scorre il torrente e si comincia a risalire.

Ogni tanto, ad una curva, la pietà popolare ha eretto una piccola cappella così da permettere a chi si sofferma a riprendere fiato di elevare una breve preghiera.

Mi piace percorrere gli antichi senieri, muti testimoni di un tempo passato, di un modo di vivere che non esiste più, ma che non è giusto dimenticare.

Maggio Cappelletta

Risvegli.

La prima notte al rifugio Tavecchia (la prima notte della nostra vacanza-vacanza) era anche la notte di San Lorenzo, così ho lasciato aperte le persiane della stanzetta che ci ospitava, ho scostato la tendina e ho passato la notte ad osservare le stelle.

In rifugio si va a letto presto, sarà per la stanchezza, sarà per il clima rilassato, così (complice anche il cambiamento di letto oltre a quello di orario) ogni tanto mi svegliavo e mi avvicinavo alla finestra per godere dello spettacolo della via lattea.

Poi, verso le sei, cominciano a sentirsi i primi rumori, i passi leggeri di chi si prepara a partire prestissimo per un’escursione impegnativa, l’acciottolio delle stoviglie in cucina, i campanacci delle mucche nel vicino alpeggio, il canto di un gallo e allora non si riesce più a restare a letto, si salta in piedi con la voglia di partire per raggiungere quelle creste che sembrano così vicine nella luce dell’ alba.

E’ particolare il risveglio in rifugio, non è un risveglio “normale”: è sempre l’inizio di un’avventura.

rifugio tavecchia