Archivio mensile:Ottobre 2007

Ogni tanto la televisione.

Si è da poco conclusa, su La7, la trasmissione dello spettacolo “Il sergente” di Marco Paolini, tratto dall’opera di Mario Rigoni Stern “Il sergente nella neve”.

L’attore, balzato all’attenzione del grande pubblico televisivo, qualche anno fa, con “Il racconto del Vajont”, ha saputo narrare, con il suo stile scarno e coinvolgente, fortemente evocativo, la tragedia della ritirata dei soldati italiani dell’Armir, durante l’inverno del ’42-’43, attraverso la Russia.

Personalmente amo il teatro di Paolini, che è teatro di narrazione, senza scenografia o costumi, ma imperniato sull’incredibile capacità, propria dell’attore, di raccontare con particolare vivezza gli avvenimenti, costruendo la storia a partire dalle storie individuali, con variazioni di tono dal comico al tragico.

Nel panorama televisivo, spesso deludente, lo spettacolo di Paolini mi è sembrato una piacevole voce fuori dal coro, un’occasione per riflettere su una crudissima pagina della nostra storia, un momento di impegno civile e sono convinta che chi stila i palinsesti, di tanto in tanto, dovrebbe trovare il coraggio di andare un po’ controcorrente e di proporre programmi di qualità, forse il pubblico si aspetta (e si merita) anche questo.

Addio cummenda!

Vorrei ricordare anch’io Guido Nicheli, un onesto professionista che aveva creato, nella figura del “Commendator Zampetti”, una maschera da teatro dell’Arte.

Il suo era un cinema disimpegnato, leggero, ma non sta scritto da nessuna parte che si debba, per forza, essere “impegnati” e, comunque, col suo lavoro d’attore sapeva regalare un sorriso, magari spensierato, ma sicuramente salutare e liberatorio.

Aveva creato un personaggio “vero” come ne ho conosciuti tanti. piccoli imprenditori venuti su dal nulla, con un linguaggio a metà strada fra il dialetto della bassa e un inglese maccheronico, con l’orologio costoso sul polsino, la macchina rombante, mentre la moglie fa shopping nel triangolo della moda, che va alla prima della Scala, ma preferirebbe di gran lunga sedere, imbacuccato, nel primo anello di San Siro, settore rosso, a pochi metri dalla tribuna Vip, che mangia sushi, ma sogna la “cassoeula”, sorseggia champagne, ma berrebbe volentieri un barbera.

Il nostro cinema è, da domenica, un po’ più povero.

Luci d’autunno.

C’è una luce particolare in montagna in questi giorni nebbiosi d’autunno, i vapori si arrampicano sui pendii, scivolano liberando varchi per i timidi raggi del sole che illuminano squarci di foglie coloratissime, angoli di cielo azzurro occhieggiano, subito cancellati dall’accorrere di riccioli di nebbia che si srotolano portati dall’aria tesa.

L’umidità penetra nelle ossa, non fa ancora freddo, solo un brivido percorre le membra sottilmente, basta rialzare il bavero e infilare le mani in tasca per ritrovare un po’ di tepore, basta accelerare il passo e affrontare la salita per cancellare il sentore d’autunno.

Allora è piacevole entrare nel rifugio, dove la stufa riscalda la sala, sedere a tavola e assaporare il vino, la polenta e il cervo, sapori autunnali caldi e confortanti che ridanno colore alle guance e osservare, dalla finestra chiusa, l’infinito rincorrersi delle nubi che sembrano impigliarsi tra i rami e le rocce.

Una foglia gialla, colpita dal sole, una bacca rossa e lucida, un fiore estivo ormai avvizzito spezzano come lampi di colore il grigiore monotono del bosco.

bacche

Chi l’avrebbe immaginato?

I telegiornali riportano con stupore e una punta di riprovazione la “notizia” secondo la quale alcuni si sarebbero recati al tribunale di Como per chiedere i biglietti per assistere al processo per la “Strage di Erba” che vede la prima udienza fissata per il 29 gennaio 2008.

Francamente mi stupisco che ci si stupisca, dopo che si è fatto di ogni avvenimento di cronaca nera un evento mediatico, dopo che sui delitti di Novi Ligure, Cogne, Erba e Garlasco, si è disquisito in lungo e in largo, con abbondanza di esperti e testimoni, dopo che ci sono stati propinati il plastico, le ricostruzioni, le biciclette come potrebbe il pubblico, trasformato volutamente in “audience”, non interessarsi al processo come fosse un succulento reality.

Mi sembra ipocrita pretendere che il pubblico assista con sobria serietà ed il giusto distacco ad un avvenimento che altrove, magari contemporaneamente, è trattato alla stregua di una fiction.

Sarebbe forse il caso che il giornalismo televisivo, soprattutto quello di approfondimento, non indulgesse, come fa, sulla cronaca nera che, nel panorama dell’informazione, dovrebbe ricoprire un ruolo marginale rispetto alle notizie di politica interna ed estera o di economia, ma si sa le fluttuazioni di borsa sono meno morbosamente appetibili e poi è difficile riprodurle in un plastico.

Solo poche parole.

Non ho parole per commentare le foto che arrivano dalla Birmania, non ci sono parole per l’orrore, la crudeltà, il senso di impotenza: semplicemente rilancio la notizia anche se non sono sicura che serva a qualcosa, tuttavia il silenzio mi sembra più colpevole.

Faccio mia la frase di Lao Tze diventata il motto di Amnesty International: “è meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”.

Free Burma

In un vecchio palco della Scala.

“In un vecchio palco della Scala, nel gennaio del novantatré spettacolo di gala, signore in decolleteé, discese da un romantico coupee…” cantava il Quartetto Cetra tanti anni fa, beh forse l’atmosfera non era proprio quella, ma l’emozione di sedere in un palco della Scala è veramente unica.

Giovedì scorso, rigorosamente vestita di nero, con un filo di perle e un filo di trucco ho varcato l’ingresso del mitico teatro lirico, quello che i milanesi doc citano con un misto di orgoglio e reverenza.

La Scala risplendeva nel buio, in una Milano lucida di pioggia, l’interno ci ha accolti ovattato, trionfale ma elegante e il nostro palco, minuscolo, ma accogliente, era una piccola nicchia di broccato rosso e stucchi affacciata su una sala gremita.

Dalla sala saliva il brusio del pubblico e dal golfo mistico le voci dissonanti degli strumenti musicali, un attimo prima di diventare orchestra.

Poi cala il buio, il sipario si apre, inizia la musica e sulla scena cominciano a danzare i ballerini dai corpi snelli ed aggraziati, ma incredibilmente forti, i gesti esprimono i sentimenti seguendo le note, le geometrie dei movimenti raccontano storie semplici o complesse e la musica immortale e lieve di Mozart riempie lo spazio.

L’incanto ruba il tempo, lo spettacolo sembra durare lo spazio di un soffio, le luci si riaccendono e, quasi a malincuore, ci si avvia verso l’uscita, non è ancora il momento dei commenti, i sensi sono ancora rapiti dall’emozione, fuori è freddo e cade una pioggia sottile, su questa Milano splendida, tirata a lucido per gli ispettori dell’Expo.

La serata è stupenda, il balletto è stupendo e la Scala il teatro più bello del mondo.

Il cielo di Torino.

“Non grattiamo il cielo di Torino” è lo slogan dei gruppi contrari alla costruzione di un grattacielo, progettato da Renzo Piano per la Banca Intesa San Paolo, che turberebbe la skyline ottocentesca della città sabauda.

In effetti se si guarda la cartolina “taroccata” con l’edificio piantato lì “a far da palo nella vigna” l’impressione non è delle migliori.

Torino Mole Antonelliana

E’ già passato un anno.

Stento a crederci persino io, ma è già passato un anno da quando ho aperto, timidamente e con qualche perplessità, questo blog.

Un anno fa, visto che le mutate condizioni familiari mi costringevano a passare più tempo in casa, avevo deciso di provare a scrivere di me, di raccattare nel solaio della mia memoria i ricordi più o meno sbiaditi, di dire la mia su quello che capita intorno e così, affidandomi alla consulenza tecnica del mio guru personale, ho iniziato l’avventura di questo blog.

Piano piano ho imparato ad affrancarmi dalla totale dipendenza dal mio tecnico di fiducia e a elaborare le mie pagine secondo i miei gusti (in fondo ho una laurea in filologia classica e decodificare i codici è un po’ il mio mestiere).

Ho cominciato a scrivere, quindi, di me e per me, senza curarmi di avere un pubblico (neanche i venticinque lettori di manzoniana memoria), gironzolando fra gli altri blog in punta di piedi, poi è comparso, al termine di un post, il primo commento e ho scoperto che c’era effettivamente qualcuno che leggeva i miei vaneggiamenti: da allora mi sono sentita circondata da un piccolo gruppo i persone (posso dire di amici?) che nel tempo è andato modificandosi, crescendo di numero, delineandosi con contorni precisi.

Ringrazio tutti per l’attenzione, per la simpatia e per l’affetto che avete voluto donarmi.

Un abbraccio.