Archivio mensile:Marzo 2007

5 sogni…

Sono stata tirata in ballo da Ste per l’ennesima catena di Sant’Antonio.

Cinque sogni per cui farei carte false:

  1. Andare finalmente in pensione (potevo farlo nel ’95, ma allora mi era sembrato prematuro 🙁  )
  2. Andare a fare un viaggio in Patagonia.
  3. Fare trekking in Nepal.
  4. Potermi permettere un autista…
  5. Dormire per 24 ore filate

Passo la palla a Kromeboy, Gianluca, Bangiu, l’Elefante e Franciov…
Buoni sogni a tutti…………

…E poi diventano grandi.

Quando sono in terza media e l’anno scolastico è agli sgoccioli vengo afferrata da una specie di inquietudine, mi illudo che sia l’imminenza degli esami, con tutti gli adempimenti e le lungaggini burocratiche che comportano, ma in realtà non è così.

Piano piano prendo consapevolezza che i bambini di tre anni fa sono cresciuti, non solo fisicamente, ed è giunto per loro il momento di andarsene, di affrontare l’esperienza della scuola superiore, di lasciare l’ambiente “protetto” in cui hanno vissuto per tre anni.

E’ naturale ed è giusto che sia così, ma ai ragazzi mi affeziono e mi fa un po’ dispiacere il senso di aspettativa con cui si proiettano verso il futuro, lasciandomi qui a ricominciare di nuovo dalla prima.

So che potrei sembrare egoista, ma è difficile fare i conti con i sentimenti.

So che li incontrerò spesso per strada, il paese è talmente piccolo, so che qualcuno mi correrà incontro festoso per raccontarmi i suoi successi, mentre qualche altro cercherà di evitarmi per paura di domande incresciose.

Quanti ne ho visti passare!

Qualcuno ha frequentato con successo Università prestigiose, qualcuno è diventato un serio artigiano, qualche ragazza spinge per la strada una carrozzina o tiene per la mano un bimbo, mentre si avvia alla scuola elementare, qualche altra ha l’aspetto sicuro di una donna in carriera, qualcuno è felicemente sposato, qualcuno ha visto naufragare il suo matrimonio, qualcuno viene a scuola per il colloquio con gli insegnanti, facendomi così scoprire che ormai sono arrivata alla seconda generazione.

Stando sempre in mezzo ai ragazzini non mi rendo conto del passare del tempo, mi sembra di essere sempre la stessa, nonostante i capelli grigi, gli occhiali da presbite e il fisico non più scattante.

E’ un bel lavoro il mio: ogni tre anni mi consente di ricominciare, come se fosse un elisir di eterna giovinezza, ogni volta mi consente di affrontare una nuova sfida, di vivere di nuovo la stupenda avventura di stringere rapporti umani con dei bambini ed aiutarli a diventare adolescenti, mi permette di lasciare un’impronta nella loro vita…spero solo di non far danni.

foglie dorate

Notte.

Siete mai stati in montagna durante una notte d’estate?
Qualche anno fa passavamo spesso la notte in un rifugio molto ospitale: il rifugio Grassi, al passo del Camisolo, ai Piedi del Pizzo dei Tre Signori (siamo sempre nella mia Valsassina).

Salivamo con calma in giornata e poi ci trattenevamo per la notte, il custode a quei tempi era il mitico Mauro Buzzoni che aveva reso il rifugio un ambiente estremamente accogliente.

Nel pomeriggio gli escursionisti scendevano a valle e restavamo solo noi (con un’altra coppia dotata di quattro figlioli) e la famiglia del gestore.

I ragazzi scendevano agli alpeggi vicini ad osservare le operazioni di mungitura, mentre noi adulti ce ne stavamo fuori dal rifugio a leggere un libro, a giocare a carte, a farci accarezzare dall’ultimo sole in attesa di scoprire in cielo la prima stella, mentre dalla montagna scendeva un silenzio quasi innaturale portato da una brezza fresca e profumata.

Dopo mangiato (sempre molto abbondantemente) e prima di ritirarci nelle spartane brandine uscivamo a fare quattro passi per goderci l’incanto della notte silenziosa, rotta solo da qualche lontano campanaccio e da qualche latrato che arrivava attutito fino a noi, e ci dedicavamo a contemplare il cielo stellato.

Se era una notte senza luna il firmamento appariva gonfio di stelle, attraversato dalla Via Lattea, luminosissimo e incantato e il cielo profondo ci offriva uno spettacolo che non è neppure pensabile nelle nostre città, ferite dall’inquinamento luminoso quasi più che da quello atmosferico.

Ci fermavamo soltanto una notte, ma la discesa a valle, il giorno seguente, aveva il sapore di un paradiso perduto.

Rifugio Grassi

Grembiule nero…

Ho già scritto della scuola elementare e di come fossimo inquadrati, come tanti soldatini, in qualsiasi momento della giornata scolastica, dalla preghiera della mattina all’uscita (sempre rigorosamente in fila).

Quando ero alle elementari non mi era mai neanche passato per l’anticamera del cervello che ci si potesse in qualche modo ribellare alla disciplina ferrea che ci era imposta: ero abituata ad ubbidire e tanto mi bastava.

Alla fine della quinta mio padre decise che era giunto il momento di trasferirci in Brianza, il poveretto lavorava dalle parti di Monza ed era stanco di percorrere tutti i giorni una cinquantina di chilometri già allora molto trafficati.

La scelta cadde su un paesino (quello dove vivo tuttora) nel quale abitavano parecchi dei suoi colleghi: si trattava di un piccolo agglomerato di case antiche, strette intorno al campanile, circondato da alcune costruzioni nuove, di cinque o sei piani, francamente meno poetiche.

Intorno c’erano campi a perdita d’occhio, un laghetto, cascine e casolari semi abbandonati: mi sembrò subito di essere in vacanza.

Anche la scuola media era un edificio nuovo, un po’ fuori dal paese, aveva due sezioni una maschile (al primo piano) e una femminile (al secondo), dalle finestre si vedeva la campagna e, all’orizzonte, la sagoma inconfondibile della Grigna e del Resegone.

Erano i primi anni della Scuola Media Unica, noi ragazze indossavamo un grembiule nero che ricordava un po’ un camice da lavoro, si portavano i libri legati con una cintura elastica e, soprattutto, a scuola si chiacchierava e si spettegolava a più non posso.

Finite le lezioni tornavamo a casa attraverso le cascine, qualcuna usava la bicicletta (io, ragazzina di città, non ho mai imparato seriamente a stare in equilibrio), perdevamo un sacco di tempo ad “accompagnarci” a vicenda, rallentavamo apposta per farci raggiungere dai maschi che scrivevano frasi di apprezzamento un po’ ingenue sui rari cartelli stradali.

Benchè per me fosse stato abbastanza traumatico lasciare la mia casa, la mia scuola e le mie compagne, tuttavia avevo scoperto una nuova libertà, un nuovo modo di stare con gli altri, nuovi comportamenti.

Senza saperlo avevo cominciato a crescere.

campagna

L’arma del delitto.

Quando viene commesso un omicidio una delle prime circostanze oggetto di indagine è l’arma del delitto.

Se si tratta di un’arma da fuoco si può stabilire il calibro e si può risalire alla marca e al modello con relativa semplicità (sono un’attenta seguace di Carlo Lucarelli), se si tratta di un’arma da taglio le cose si complicano un po’ di più, ma nel caso di un oggetto contundente, usato come una clava, è un bel problema.

Non a caso il cosiddetto “Delitto di Cogne” (chissà gli abitanti di Cogne come giubilano) resta tuttora un mistero, l’arma è un oggetto contundente: nelle ultime udienze del processo la difesa sostiene uno scarpone (quindi verrebbe dall’esterno, presumibilmente), l’accusa un mestolo (quindi più casalingo).

Comunque sia non credo che si riuscirà a fare piena luce su questo delitto, a meno che non sopraggiunga una confessione inaspettata e, almeno per ora, improbabile.

Se io dovessi compiere un omicidio saprei cosa usare, in realtà l’idea non è mia ma di Roald Dahl (sì lo “scrittore per bambini” autore della “Fabbrica del cioccolato).

In un suo racconto l’autore immagina un delitto consumato tra le mura domestiche: la moglie ammazza il marito, senza tanti complimenti, colpendolo violentemente con un cosciotto congelato che poi cucina e serve, tutta premurosa, agli affamati poliziotti estenuati per l’inutile ricerca dell’arma del delitto.

Mi sembra un’idea semplice e geniale, utilizzabile a patto di possedere un congelatore delle giuste dimensioni e un po’ di sangue…freddo.

Una incredibile congiunzione astrale.

Non so cosa sia capitato dalle parti dei Gemelli (non leggo mai l’oroscopo, non m’intendo di ascendenti, temi natali e compagnia bella, so giusto qual è il mio segno zodiacale), non so quali pianeti abbiano deciso di influenzare la mia giornata, ma deve essere successo qualcosa di “astrale”, perchè una serie positiva di avvenimenti come è capitata oggi non mi era mai successa.

Avendo la mattinata fortunosamente libera (anche questo è un fatto raro, legato a strani computi di recuperi nel mio orario di servizio) ho deciso di sbrigare una serie di faccende arretrate, che non potevo più permettermi di rimandare: ho fatto due calcoli e ho stabilito che se ne sarebbe andata praticamente tutta la mattina.

E invece:

  • Allo sportello, dove sono andata a prenotare alcuni esami clinici, invece della proverbiale coda di trenta persone ce n’erano solo quattro (diconsi quattro): tempo di attesa dodici minuti!
  • Ho telefonato al centro prenotazioni di un altro ospedale dove ho trovato subito (al primo colpo, senza ascoltare per venti volte la musichetta d’attesa) una persona disponibile ed efficiente che ha sbrigato la mia pratica in due minuti.
  • Al supermercato non c’era nessuno!
  • Ho ritrovato “immediatamente”, nel sovrumano casino dei miei documenti, le carte necessarie per la denuncia dei redditi.

E così, praticamente in meno di un’ora, avevo già esaurito tutte le incombenze che mi ero assegnata per la mattina e, incredibile, ma vero, mi sono ritrovata padrona del mio tempo.

Mi capita così raramente di avere un po’ di tempo per me che questo inatteso regalo del destino mi ha rallegrata e stupita.

Allora ho rallentato il passo (mentre di solito procedo tipo fanfara dei bersaglieri), ho alzato lo sguardo, ho “visto” il ciliegio fiorito all’angolo della strada, ho sbirciato le vetrine, mi sono seduta al bar e ho sorseggiato il caffè sfogliando oziosamente il giornale: sono piccole cose, lo so, ma di lunedì mattina sono così rare da diventare preziose.

Che bello non essere schiavi del tempo!

Meridiana valsesia

Sorella Acqua.

Ultimamente si fa un gran parlare di acqua: acqua che scarseggia, acqua inquinata, acqua in concessione, acqua privatizzata, acqua bene di tutti, acqua diritto di tutti, acqua sprecata…

E’ vero che per chi vive, come me, in una zona dove l’acqua non scarseggia mai, c’è la tendenza a considerarla poco preziosa perché inesauribile.

Eppure, in questi giorni, camminando in quota è facile notare come i nevai, i serbatoi della stagione estiva, sono praticamente vuoti e i torrenti non hanno la solita irruenza del disgelo, ma corrono quieti e silenziosi come nelle estati siccitose.

C’è una valle, dalle parti di Premana, la Valvarrone che, oltre ad essere scavata da un torrente, è costellata di sorgenti, tanto è vero che quando la si percorre, camminando per circa due ore e salendo quasi mille metri di dislivello, si può anche evitare di portarsi la proverbiale borraccia, perché, a breve distanza l’una dall’altra, si susseguono fonti di acqua freschissima alle quali è possibile dissetarsi.

E’ così “normale” trovare da bere gratis che si fa fatica a pensare a realtà diverse, realtà dove il controllo di una fonte d’acqua può anche diventare motivo di lotta, dove l’acqua fa la differenza tra sopravvivere e rischiare di morire.

Inoltre chi ha la fortuna di vivere dove l’acqua abbonda sa che essa ha una sua bellezza intrinseca, basti pensare a certi laghetti alpini incontaminati, ai torrenti limpidissimi che lasciano intravedere sul fondo ciottoli levigati, alle cascate che precipitano paurose in gole impervie, ai piccoli stagni popolati di folaghe e germani celati dai fitti canneti.

Per questi motivi è indispensabile trovare il modo di conservare questo bene prezioso.

Riflessi sull'acqua

Cara vecchia Europa…

Ho preso spunto dal post di Kromeboy e ho disegnato la mappa dei paesi europei che ho visitato.

europa
In particolare mi piace la Francia e adoro la Normandia e la Bretagna, ma amo anche il Salisburghese, la Germania con la dolcissima Baviera, la Polonia dove tornerei a visitare Cracovia, la Romania con i monasteri della Bucovina, la solare Andalusia e le poderose dighe olandesi: insomma l’Europa mi piace proprio tutta.

Al mio amatissimo vecchio continente vorrei fare tanti auguri per l’anniversario della firma dei Trattati di Roma, che sancì la nascita dell’Unione Europea:

Buon Compleanno Europa

normandia

crea anche tu la mappa dei paesi che hai visitato…con World 66

Dietro ad ogni grande uomo…c’è una grande donna.

Adoro i gialli, soprattutto quelli della Christie e di Simenon, i racconti dove, oltre al lavoro deduttivo del detective si può respirare un’atmosfera, gli ambienti sono tracciati con mano sicura e i personaggi non sono incidentali comparse di contorno, ma vengono rappresentati con un profilo psicologico credibile.

Hercule Poirot, il detective creato dalla Christie, è gloriosamente single, anche se fuggevolmente si parla di un innamoramento per una vera o presunta contessa russa, ha come spalla il fido Hastings (se possibile ancora più tonto di Watson), ma si affida alla solerzia della segretaria, la signorina Lemon, più “precisina” del suo capo, che da tempo immemorabile sta mettendo a punto un “nuovo” sistema di catalogazione dei casi.

Invece Maigret, il commissario di Simenon, ha moglie: una moglie discreta, silenziosa vestale della casa dove il commissario si rifugia nei momenti critici di un’indagine, rientrando ad orari improbabili, paziente e servizievole anche quando il marito balza dal letto allo squillo del telefono, nel cuore della notte o si aggira per le stanze immusonito quando non riesce a venire a capo di un caso.

Lei è sempre lì (per me ha il volto televisivo di Andreina Pagnani), pronta a cucinare a qualsiasi ora, in fiduciosa attesa del ritorno del guerriero, se esce di casa lo fa solo per fare la spesa e andare dal medico, ogni tanto il commissario l’accompagna al cinema (dove si annoia mortalmente e pensa ad altro), solo raramente la chiama Louise (altrimenti è per tutti la signora Maigret).

Se va a Vichy a passare le acque il marito ne approfitta per indagare su un omicidio, se va in vacanza rischia la peritonite e il marito intanto indaga su una morte sospetta in corsia, quando, arrivata la pensione, la famigliola si rintana in una sperduta casetta di campagna (senza telefono e luce elettrica) il commissario riesce a trovare il modo di piantarla in mezzo ai lavori dell’orto e correre dietro a qualche assassino.

Lei sorride indulgente di quel marito geniale che, senza i suoi manicaretti, senza le camicie stirate e profumate di fresco, senza le pipe ordinate e pulite sulla mensola non riuscirebbe a muovere un passo, e resta in disparte ad aspettare che l’indagine finisca.

L’altra moglie che mi incuriosisce tantissimo è la signora Colombo (logicamente la consorte dell’omonimo tenente televisivo): in questo caso è addirittura invisibile, senza nome ed età, forse persino inesistente (ogni tanto mi chiedo se non sia una proiezione della mente malata del detective).

Me la immagino ancora più paziente della signora Maigret, indaffarata a sistemare i vestiti stazzonati del marito, rassegnata a non vederlo mai indossare l’impermeabile nuovo, occupata a raccattare cenere di sigaro in ogni ambiente della casa.

Senza queste grandi donne quanti omicidi sarebbero restati insoluti!

Corsari e pirati.

Tra i miei ricordi in bianco e nero, risvegliati da un post di Placida Signora, c’è sicuramente lo sceneggiato-musical, trasmesso dalla TV dei ragazzi nel 1961, dal titolo: “Giovanna la nonna del Corsaro Nero“.

Si trattava di un racconto a puntate (francamente non ricordo quante) imperniato sulla mitica figura della vecchietta (definita “nonna sprint”) decisa a vendicare i nipoti, il Corsaro Rosso e il Corsaro Verde, impiccati dal feroce governatore di Maracaibo e appesi ad un incrocio allo scopo di fungere da semaforo.

La protagonista (la brava attrice Anna Campori) era accompagnata dal fido maggiordomo Battista (Giulio Marchetti) che ripeteva un intercalare buffissimo “mi sia consentito il dire, signora Contessa” e dal Nostromo Nicolino (Pietro De Vico), balbuziente senza pietà e pasticcione.

Erano tempi non “politically correct” e se, da una parte, l’anziana signora poteva essere impunemente definita “…la vecchia che è più forte di un bicchiere di gin” (evidentemente i problemi di alcolismo giovanile erano di là da venire), dall’altra si irrideva bellamente la balbuzie del nostromo.

Erano tempi in cui si attendeva pazientemente la puntata settimanale, armati di pane , burro e zucchero (con buona pace di colesterolo e glicemia), perchè le merendine confezionate non esistevano (almeno in casa mia) e il sovrappeso infantile non è mai stato uno dei miei problemi.

I miei ricordi talvolta si confondono con un’altra storia di pirati, la ben più cruda (per quei tempi) “Isola del tesoro” dove troneggiava Ivo Garrani, nel ruolo di Long John Silver.
Era una storia terribile, con colpi di scena continui, con capovolgimenti di fronte inaspettati, sui quali aleggiava minacciosa la canzone dei pirati “…quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto”…e io mi immaginavo un’immensa bara galleggiante che vagava per l’Oceano senza pace.

Questo spiega perchè, tutto sommato, mi sono sempre sentita a mio agio tra pirati e corsari, in fondo erano amici d’infanzia.