Archivio mensile:Ottobre 2006

A proposito di Kamasutra

Certe volte mi chiedo cosa passi veramente per la testa dei miei ragazzi.

Spesso sono distratti, confusi, accavallano nozioni e informazioni raccolte dalla televisione, da internet, dalle letture (in verità piuttosto rare) e dalle mie (e dei miei colleghi) spiegazioni e poi restituiscono un’immagine della realtà che risulta, a dir poco, originale ed estremamente creativa:

Qualche anno fa, durante un’interrogazione sui fatti salienti della Seconda Guerra Mondiale, un ragazzino, che probabilmente aveva mescolato nozioni di vaga provenienza orientale affermò, con la massima serietà, che i giapponesi avevano attaccato a sorpresa Pearl Harbour utilizzando i Kamasutra.

E’ facile capire quale sia stato l’imbarazzo dei più nel tempo impiegato per realizzare che il “piccolo genio” intendeva alludere logicamente ai Kamikaze.

Ma talvolta le trovate sono ancora più surreali.

In tempi recenti una ragazzina alla quale era stato chiesto di definire un soffitto “a volte” dichiarò candidamente che si trattava di un soffitto “non sempre”.

Potenza dell’intelletto umano….

Maledetto lunedì.

Come ogni lunedì mi avvio verso la scuola.

Grazie al passaggio all’ora solare non è notte fonda, ma comunque la via di accesso all’istituto è popolata da rari gruppi di ragazzini muniti di “cartelle a rotelle” che dovrebbero proteggere le loro deboli spalle dall’eccessivo peso del sapere.

Le lezioni cominciano alle 8, ma io preferisco arrivare con largo anticipo: mi piace sedere nell’aula professori vuota, sorseggiare un caffè e godermi l’insolita pace della scuola “prima che cominci a correre ed urlare”.

Ad una ad una arrivano le colleghe (è notorio che il personale della scuola è quasi tutto al femminile), lo sguardo vagamente perso nel vuoto ciascuna si appropria di una sedia.

I discorsi da aula professori al mattino sono sconvolgenti: una volta parlavamo di notti insonni trascorse ad accudire neonati, pappe e pannolini, oggi, visto che l’anagrafe non è un’opinione, si confidano gli acciacchi, si discutono le norme che regolano la pensione e si consigliano elisir di eterna giovinezza, dopo aver coscienziosamente inforcato gli occhialini da presbite che fanno tanto “maestrina dalla penna rossa”.

Ogni tanto nel gruppo si insinua qualche “nuova” collega che ha l’età dei nostri figli ed ostenta un muto fumetto: “ma quando si levano di torno queste cariatidi?”.

Le suddette cariatidi toglierebbero il disturbo volentieri, ma…suona la prima campanella, ciascuna arranca verso il proprio cassetto per munirsi degli attrezzi del mestiere e poi si getta in trincea.

E’ cominciata un’altra settimana.

Code, ovvero la sagra della creatività

Diciamolo francamente: noi italiani siamo refrattari alle code, non è scritto nel nostro D.N.A, non ci piace o forse, semplicemente, non riusciamo ad accettare l’dea di perdere del tempo per aspettare il nostro turno.

Dove la coda è gestita istituzionalmente (vedi la dicitura: prendere il numero dalla chiocciolina ed aspettare il proprio turno) c’è poco da fare, bisogna rassegnarsi.

E’ vero, anche in questo caso è possibile ugualmente assistere ad invereconde pantomime:

  • scatti da centometrista per accaparrarsi il biglietto
  • esperimenti di telecinesi per influenzare il display luminoso
  • tentativi patetici di aggiudicarsi il numeretto di qualcuno che, sopraffatto da necessità fisiologiche, deve rinunciare all’attesa
  • diffusione di notizie false e tendenziose atte a sfoltire la fila

Tuttavia la fantasia italica dà la più sublime prova di sè quando la gestione della coda non è regolata, ma è affidata alla civiltà degli astanti.

Scena: cassa del supermercato, interno giorno (o sera, fa lo stesso)

Personaggi: un numero variabile, ma sempre eccessivo, di persone.

Arriva una signora trafelata: “Scusate potrei passare? devo preparare la cena”

Di solito la gentile richiesta viene formulata alle dieci del mattino, manco la signora dovesse preparare il Pranzo di Babette.

Ho visto cose…

La migliore in assoluto: una gentile vecchina in coda dietro di me, io ho fra le mani un litro di latte, lei un carrello stracarico.

“Dove ha preso il latte” Le indico il banco frigo…”Che strano! Io non l’ho visto”…momento di silenzio carico di suspence “me lo potrebbe prendere lei che sa dov’è” Mi accingo un po’ riluttante alla mia buona azione quotidiana e, quando torno, logicamente, la vecchina mi ha fregato e ha già posato con noncuranza una tonnellata di derrate alimentari sul nastro trasportatore della cassa.

Così va il mondo

Viaggi d(‘)istruzione

Per quanto uno s’ingegni ad inventare scuse fantasiose prima o poi, ineluttabile come il destino, capita di dover partecipare ad un viaggio d’istruzione. Conosco solo pochi esemplari, nella complessa fauna del mondo docente, che possono vantare l’incredibile primato di non aver mai accompagnato una classe fuori dai cancelli dell’istituto.

Io non appartengo a questa categoria!

Uno degli aspetti più deprimenti dei viaggi è la scelta della meta, nel senso che alcune mete non si scelgono, si ripresentano puntualmente ogni tre anni.

Un esempio?

Prima che la Riforma (con la R maiuscola, quella epocale) cancellasse per sempre la storia antica dai programmi della scuola media (ops…secondaria di primo grado), verso il mese di novembre, mese peraltro particolarmente favorevole agli spostamenti di massa, gli allievi di prima erano trascinati più o meno contro la loro volontà ad una visita a marce forzate del Museo egizio di Torino.

Intendiamoci, io adoro il museo egizio di Torino, ma visitarlo con la propria classe può diventare un’esperienza mistica:

“Prof…ma la mummia è vera?”

“Di cosa è fatta?”

“Cosa usavano per incartarla?”

“Ma questa mummia l’hanno trovata a Torino?”

Come rispondere a questa genuina sete di conoscenza? Tante volte, specchiandomi nelle teche del museo, scoprivo nei miei occhi un’espressione che, in quanto a vivacità, poco aveva da invidiare alle suddette mummie.

Come non ricordare malori e svenimenti (solitamente attribuiti ad oscure maledizioni), allucinanti peregrinazioni nelle brume del Parco del Valentino (per forza, se ci si ostina ad andare a Torino in novembre…), colluttazioni con energumeni solitamente ubriachi e dagli sguardi truci (la Juve approfittava delle nostre visite didattiche per ospitare qualche squadra proveniente dal Nord Europa, dotata di tifosi non particolarmente pacifici e sobri)?

Qualche volta il viaggio d’istruzione dura più di un giorno e allora,…ma questa è un’altra storia.

Ma Emporio…chi?

Lezione abbastanza sonnolenta di storia, sto descrivendo alla classe il villaggio operaio di Crespi d’Adda.

Come spesso accade non ci sono reazioni apprezzabili da parte dei miei allievi, una ventina di ragazzini di terza media (ops…della scuola secondaria di primo grado), ho qualche difficoltà ad attirare la loro attenzione.

Abbastanza rassegnata mi accingo ad elencare gli edifici: la fabbrica, la chiesa, le villette, il mausoleo, l’emporio…

“Scusi prof” voce dal fondo della classe, ragazzino sveglio, informato, mediamente interessato (o motivato, come si dice in gergo) “Scusi prof, ma Emporio non è un nome proprio?”

Lo guardo con aria interrogativa, francamente non capisco.

“Ma sì” continua imperterrito “Emporio come Emporio Armani, lo stilista”

Temo che sarà un anno difficile.

Oggi…

Oggi inauguro il mio blog (un altro?).

Se ne sentiva la mancanza vero?

Forse no, ma comunque sono qui, anch’io come tanti, per raccontare quello che vedo, quello che sento, quello che penso, quello che mi rende felice, quello che mi rattrista e quello che mi fa infuriare.

Stretta fra casa e scuola questo blog potrebbe diventare la mia uscita di sicurezza o anche solo la mia ora d’aria.

Fin d’ora saluto e abbraccio, con incredula gratitudine, chi avrà la ventura, o sventura di capitare qua e di leggere questi post un po’ farneticanti.

p.s. Un caloroso ringraziamento al mio guru Sergio Longoni che si occupa della gestione tecnica di questo sito.